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numero 88 - giugno 2021

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Uno psicologo a scuola

Uno psicologo a scuola

Camminando per i corridoi di una grande scuola secondaria di II grado ci si immagina anzitutto il chiasso dei ragazzi. Parlo per esperienza, mi chiamo Matteo Marini e sono psicologo scolastico da ormai dieci anni. Le voci dei ragazzi, tuttavia, negli ultimi mesi, non genervano il solito caos, si sentiva qualche voce qua e là, rotta dal rumore del movimento di qualche banco.

Sembrava più di passeggiare qua e là per una chiesa piuttosto che in una scuola.

Potremmo pensare che tutto questo silenzio sia un bene, che magari la disciplina ferrea abbia dato i suoi buoni frutti ma purtroppo non è proprio così. Parte delle classi erano a casa, in DAD, quelle in presenza erano sparse nei vari piani della scuola. 

Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo avuto occasione di sperimentare sulla nostra pelle gli effetti della pandemia sui ragazzi. La didattica a distanza ha picchiato duro sulla psiche degli studenti. In molti mi chiedono gli effetti di questa situazione sulle giovani menti e non è facile rispondere; dobbiamo infatti partire dal presupposto che gli adolescenti sono molto diversi l’uno dall’altro. Capisco che guardarli potrebbe suggerire l’esatto contrario, “sembrano fatti con lo stampino” è una delle affermazioni più comuni. Gli abiti alla moda sono sempre i soliti, esattamente come gli immancabili risvoltini ai pantaloni (anche nei mesi invernali!) Dietro questi elementi di apparenza, tuttavia, le differenze sono tangibili e si percepiscono dopo pochi minuti di colloquio.  

L’isolamento in molti casi va ad inceppare il meccanismo di definizione del sé degli adolescenti.

In altre parole, va a frenare quello che è uno dei percorsi più importanti della loro vita: quello di individuazione della propria identità. Restare nel proprio ambiente domestico (lontano dai luoghi scolastici e dai propri compagni di classe) ha portato ad un isolamento anzitutto psicologico, prima che fisico.

In tutto questo la Didattica A Distanza non è stata capace di sopperire alla denutrizione relazionale degli studenti.

Parlandoci chiaramente, le lezioni a distanza erano spesso disertate dai ragazzi, che risultavano presenti solo sulla carta. C’è chi è diventato campione di Sudoku, chi si dilettava su WhatsApp, chi su Instagram ecc. In molti soffrivano della comunicazione mediata da un monitor e il risultato era che il coinvolgimento (e l’apprendimento) erano scarsi. Ci sono stati anche gli irriducibili che hanno assistito indefessi ad ogni lezione, ma, oltre ad essere una minoranza, hanno percepito che i loro apprendimenti risultavano “vuoti come barattoli”.

Le materie apprese in altre parole sembravano prive di sostanza.

Rimane tuttavia il fatto che le materie scolastiche si possono recuperare, gli anni di vita no. Noi adulti negli anni siamo simili a noi stessi (a volte quasi uguali). Nel caso dei ragazzi, che vivono processi evolutivi molto rapidi, la sensazione di perdere gli anni più belli della propria vita è schiacciante. Frasi del tipo “C’è chi è stato peggio di noi” o “Recuperai la gita dei cento giorni il prossimo anno” aiutano solo ad aumentare il gap con i ragazzi, che tristemente confermano l’inevitabile concetto che i genitori non capiscono niente.

È vero, l’adolescenza non torna, le prime trasgressioni, i primi baci, le avventure giovanili e così via dicendo non tornano più. Sono state sottratte a questa generazione da questo virus proveniente dalla Cina.

Riflettiamo ad esempio sui livelli di coinvolgimento del cervello adolescente nei vari contesti sociali. Con i loro coetanei i ragazzi sperimentano paura, rabbia, tristezza, gelosia, gioia, delusione e così via. Il cervello vive quelle emozioni come sul tagadà, considerando la natura emotiva della mente adolescente. Mentre la testa sperimenta questo vortice emotivo, impara a gestire anche la sfera emotiva. Impara a conoscere le emozioni e a modularle affinché possano diventare una risorsa nella vita. Essere a scuola altro non è che un training per la vita, i ragazzi imparano a gestire situazioni complesse al fine di adattarsi al complesso mondo contemporaneo.

La scuola non è un fine bensì un mezzo per acquisire competenze emotive e sociali utili nella vita reale. 

In DAD tutto cambia. Il coinvolgimento è minimo e filtrato attraverso uno schermo, in altre parole la sfera emotiva langue.  

Questa “denutrizione emotiva” non è a costo zero per gli adolescenti. In certi casi si ha un incremento notevole dei disturbi d’ansia o depressivi. In altri casi subentra l’aggressività e l’incapacità di stare alle regole. Non è raro, inoltre, che l’isolamento sia talvolta scelto dagli stessi ragazzi; che vi sia quindi un isolamento sociale volontario nel quale l’adolescente rinuncia alla sua dimensione relazionale ed amicale.  

… e il mondo per come lo conosceva si allontana giorno dopo giorno.

Entro in un’aula e c’è una sensazione strana. Guardo i ragazzi. Molti risultano spenti. Occhi stanchi rivelano notti tormentate da molti incubi (in molti me lo confermano). Sono tristi non stanno bene, in molti non sanno con chi parlare di questa loro situazione. Parlo loro del servizio psicologico, abbiamo triplicato il numero di psicologi questo anno (siamo in 18 che fanno turni giornalieri per un totale di 120 colloqui la settimana). Non è facile seguire tutti i ragazzi che chiedono aiuto ma questo anno ci siamo impegnati affinché nessuna richiesta di aiuto cadesse nel vuoto. Molti psicologi si sono fatti avanti ed hanno accettato la sfida, ma adesso che siamo alla fine dell’anno, alle riunioni di staff la pesantezza emerge. Anche gli psicologi e le psicologhe della squadra perdono pezzi, è normale, siamo stanchi.

Il pomeriggio stesso arrivano numerose richieste d’aiuto.

Chi lo ha detto che i ragazzi non vogliono essere aiutati?