QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

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numero 5 - febbraio 2013

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LinkedIn, febbraio 2013

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Cominciamo questo mese con una interessantissima e provocatoria discussione presente da qualche giorno nel gruppo “Addiction Psychiatry”. L’assunto è semplice e (forse volutamente) semplicistico: secondo le statistiche, il numero di tossicodipendenti è grossomodo uguale al numero di ADHD: si tratta di una coincidenza? La domanda è in realtà mal posta poiché il vero scopo della discussione è il confronto sulla già nota relazione tra ADHD e possibile dipendenza ma anche sul considerare il farmaco (“drug”, in english) in maniera laica e libera da moralismi: una sostanza psicoattiva che induce modificazioni del comportamento, al pari di quelle illegali dunque, e sui benefici che l’assunzione della sostanza comporta per chi la assume.
 
Nell’ultima settimana il gruppo “The Psychology Network” è stato popolato da una serie di domande per certi versi anche divertenti. Uno psicoterapeuta britannico si chiede le persone ansiose sono egoiste? La domanda gli è stata posta da un paziente in difficoltà nel gestire, oltre le proprie ansie, il senso di colpa derivante dal percepirsi inadeguato nel considerare gli altro. La domanda viene riproposta dal terapeuta in modo non banale, poiché si invita a riflettere su un punto che può fare la differenza all’interno del contesto clinico: questo egoismo diciamo può essere considerato come un tratto di personalità o un inevitabile sintomo del disturbo?
Una studentessa, sempre nello stesso gruppo di discussione, domanda “un sociopatico si accorge di esserlo?”, mentre una giovane psicologa britannica pone la questione su cosa fa uno psicologo quando si accorge di avere qualche tipo di disturbo; le risposte sono un po’ ovvie e si focalizzano su ciò che andrebbe fatto. L’impressione è che la domanda voglia porre l’accento sulla reale possibilità che lo psicologo possa avere un problema e in questo senso non vengono date opinioni.
 
Nel gruppo “Bipolar Disorder” invece segnaliamo questo interessante confronto (tutto interno agli Stati Uniti) tra pazienti o parenti di pazienti e professionisti iniziato da una persona che esprime in maniera molto sintetica ed efficace le sue difficoltà relazionali con il padre bipolare. Si tratta dell’ennesimo caso di scambio di opinioni tra professionisti e gente comune che evidenzia il differente valore che viene dato allo strumento del social networking nel mondo anglosassone rispetto all’Italia.
 
Venendo nel nostro paese, nel gruppo “Psicologi e Psicoterapeuti”, un didatta della Scuola di Psicoterapia Costruttivista propone una discussione su quali dovrebbero essere i criteri per definire una buona scuola. Considerando l’investimento in denaro e tempo che questi quattro anni comportano, e l’incredibile numero di scuole di psicoterapia esistente la domanda è tutt’altro che retorica. Non sono molte le risposte, ma il fatto che siano arrivate tutte in un tempo relativamente recente lascia sperare in prossimi sviluppi. L’argomentazione più interessante e originale è una riflessione sulla necessità di essere terapeuta anziché fare il terapeuta, stato che trascende il tecnicismo e che porta a considerare la psicoterapia una forma d’arte, in cui il proprio essere diventa mezzo di comprensione dell’altro.
Tutto questo per poi sentirsi dire che 60€ all’ora son troppe..
Sempre sul tema scuole di psicoterapia, nel gruppo ASP una neolaureata chiede consigli sulla scelta della scuola, dando la possibilità a molti colleghi di questo o quell’altro approccio di esprimere in maniera sintetica alcune caratteristiche chiave della loro scuola e di illustrare come gli apprendimenti iniziali si siano modificati con il tempo e l’esperienza, adottando conoscenze e metodi propri anche di altri approcci.
Come commento ci viene da proporre, tra il faceto e il serio, un servizio di orientamento alla scelta della scuola di psicoterapia: le scuole di psicoterapia, anziché farsi la guerra all’ultimo studente non potrebbero in qualche maniera consorziarsi e cercare di indirizzarsi vicendevolmente i futuri iscritti? Non sarebbe un vantaggio per tutti (allievi, scuole e futuri pazienti) se la scelta fosse il frutto di un confronto su chi l’allievo è anziché di un confronto di programmi didattici? La scelta di una scuola di psicoterapia non dovrebbe partire dalla conoscenza di sé e dei contenuti su cui sarà necessario lavorare nei 4 anni?
 
Passando a un ambito della psicologia a noi più vicino, ovvero la valutazione attraverso l’utilizzo di strumenti psicometrici, segnaliamo una discussione, all’interno del gruppo “HR Users of Psychometrics”, che spinge la riflessione sulla validità di strumenti e metodologie di assessment su confini tanto filosofici quanto in realtà di buon senso. Partendo dalla ricerca dell’esistenza o meno di punti di riferimento fondamentali (la nostra traduzione per base rate)per valutare incarichi dirigenziali di successo, la discussione si dipana attraverso oltre una ventina di interventi, mettendo in luce la necessità di una valutazione della propria cultura organizzativa, poiché lo standard di ciò che è considerato di successo, in termini di comportamenti sia attesi che espressi non è solo funzione della persona ma dell’interazione con la cultura organizzativa, peculiare di quel contesto.
All’interno della discussione è linkato un esaustivo scritto sul tema della acquisizione dei talenti.
 
Chiudiamo questo mese con un post all’interno di “Neuropsychology Group”, che pone una domanda epocale: “cos’è l’intelligenza?”. La domanda è posta da una persona che, dopo aver sofferto di un trauma cranico, ripercorre le fasi della sua riabilitazione analizzando i cambiamenti nel suo modo di pensare, di programmare e di eseguire i compiti. La discussione è molto lunga e cerca di chiarire le differenze tra intelligenza e funzioni esecutive, tra teoria dell’intelligenza e teoria della mente; vengono citati i concetti di “sinapsi sociale” e di “mente etica”.