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Valutare la veridicità dei sintomi riferiti
Valutare la veridicità dei sintomi riferiti
Negli ultimi anni, la figura dello psicologo giuridico-forense ha assunto un’importanza sempre crescente all’interno del sistema giuridico, in particolare nella valutazione delle implicazioni di eventuali disturbi fisici e mentali. Lo psicologo giuridico-forense opera all’interno di un contesto complesso e multiforme, interfacciandosi con diverse realtà istituzionali, tra cui tribunali, enti pubblici, compagnie assicurative private ed istituti di previdenza sociale, che richiedono la sua consulenza specialistica. In quest’ambito, gli esperti si confrontano con un’interpretazione del proprio ruolo sostanzialmente diversa rispetto a quella tradizionale, svolta in contesti psicoterapeutici o clinico-riabilitativi.
Tale divario tra la pratica giuridico-forense e quella clinica ha generato una crescente richiesta di competenze specifiche per operare nel contesto peritale, testimoniata dall’ampliamento della letteratura scientifica sul tema. Riconoscendo il ruolo sempre più rilevante degli psicologi nell’ambito giuridico-forense, l’Ordine degli Psicoterapeuti tedeschi ha recentemente introdotto linee guida specifiche per regolamentare la formazione degli psicologi giuridico-forensi. Attualmente, tali raccomandazioni sono state adottate da quasi tutti gli organi competenti a livello statale (Westermann e Sabel, 2016) e rivestono un’importanza cruciale nel migliorare la qualità del lavoro peritale e garantire un approccio rigoroso e standardizzato.
In ambito giuridico-forense, le valutazioni clinico-psicologiche e neuropsicologiche risultano fondamentali nel fornire informazioni essenziali per l’analisi delle capacità cognitive, del funzionamento adattivo e dello stato mentale di un individuo. Tuttavia, uno degli aspetti più critici riguarda la valutazione della validità dei sintomi e dei deficit presentati dalla persona esaminata.
In tali contesti valutativi, infatti, vi può essere il rischio che una persona simuli o esageri i propri sintomi al fine di ottenere determinati vantaggi secondari.
La validità dei sintomi
A partire dalla fine degli anni ’80, diversi neuropsicologi, in misura maggiore rispetto ai professionisti di discipline affini, hanno avvertito l’esigenza crescente di sviluppare metodi specifici per distinguere tra presentazioni genuine dei sintomi, che rispecchiano reali condizioni patologiche, e presentazioni non genuine, distorte o motivate da secondi fini. Questo approccio, noto come “valutazione della validità dei sintomi”, ha assunto un ruolo di primaria importanza in campo neuropsicologico.
La validità dei sintomi si riferisce al grado di fiducia che un esaminatore ripone nell’accuratezza e nell’onesta della presentazione sintomatica di un individuo.
Nell’ambito psicodiagnostico, la validità del profilo assume un ruolo centrale. Essa si riferisce alla capacità dei risultati dei test di riflettere accuratamente il reale funzionamento cognitivo dell’individuo sottoposto a valutazione. Un test psicologico può restituire un profilo non valido per diverse ragioni. Una delle più comuni e un impegno non ottimale da parte dell’esaminando durante la somministrazione, come, ad esempio, nel caso in cui la persona stia compilando il test con un intento manipolativo.
Oltre ai metodi consolidati per la valutazione della validità dei sintomi cognitivi, che si concentrano sulla verifica delle performance raggiunte a livello individuale, i metodi basati sui questionari risultano particolarmente indicati per valutare la validità dei sintomi riportati (per una panoramica completa, si veda Dohrenbusch, 2018; Smith, 2008). In tempi recenti, il concetto di valutazione della validità dei sintomi si è evoluto anche da un punto di vista neurologico, includendo metodologie quali le misure elettrofisiologiche, il monitoraggio dei farmaci, l’osservazione del comportamento in caso di patologie dolorose, le prove di prestazione motoria e gli indicatori concreti al fine di verificare la coerenza e la plausibilità dei sintomi riferiti (Widder, 2011, 2017). Meritano, inoltre, di essere menzionate le interviste strutturate progettate per raccogliere informazioni cliniche (Akehurst et al., 2015).
In origine, il termine “validazione dei sintomi” era praticamente sinonimo di “diagnosi di simulazione”. Questa quasi-identità si riflette nei nomi di alcuni dei test più utilizzati nell’ambito della valutazione dei sintomi non credibili, come il Test of Memory Malingering (TOMM; Tombaugh, 1996) e lo Structured Inventory of Malingered Symptomatology (SIMS; Widows e Smith, 2005). I risultati anomali ottenuti tramite la compilazione di questi test venivano spesso interpretati in modo univoco come prova di un comportamento falsificatorio. Tuttavia, quest’interpretazione e considerata, al giorno d’oggi, superata.
In tale contesto, assume particolare importanza il concetto di “bias delle risposte”, che si riferisce a tutti quei fattori che possono alterare la veridicità delle risposte fornite ai test o delle dichiarazioni rilasciate dagli individui sottoposti a valutazione. Secondo Bush e colleghi (2006), tali distorsioni si manifestano principalmente in situazioni in cui un partecipante cerca intenzionalmente di ingannare l’esaminatore fornendo risposte imprecise, incomplete o addirittura false o non si impegna a fondo durante il test, mostrando uno sforzo prestazionale insufficiente.
Applicazioni pratiche della valutazione della validità dei sintomi
Nel contesto della neuropsicologia, della psicologia clinica, della psichiatria e della neurologia, la valutazione approfondita e rigorosa dei sintomi manifestati dalla persona riveste un’importanza fondamentale.
Questo processo ha come obiettivo principale la verifica dell’accuratezza dei risultati ottenuti dalla valutazione e della correttezza nella presentazione dei sintomi riferiti. Tale verifica garantisce, inoltre, la solidità delle basi su cui si fonda il giudizio peritale.
Secondo Widder (2015), la valutazione della validità dei sintomi riportati è un elemento cruciale nella formulazione delle perizie. L’autore propone addirittura un’equazione per definire la valutazione neuropsicologica: valutazione neuropsicologica = (prevalentemente) convalida dei sintomi. Ciò significa che un’analisi approfondita della coerenza e della plausibilità di tutte le informazioni disponibili deve essere considerata un compito fondamentale del lavoro dell’esperto (cfr. anche Widder, 2018). Tuttavia, quest’aspetto è stato oggetto di dibattito in una parte della letteratura psichiatrico-peritale (ad es., Dressing, Foerster, Widder, Schneider e Falkai, 2011; Schmidt, Lanquillon e Ullmann, 2011; si vedano anche Merten, 2014; Merten e Merckelbach, 2013a). Nonostante ciò, il ruolo di grande importanza degli strumenti psicologici è universalmente riconosciuto, in quanto l’elevato grado di indipendenza dello sperimentatore, la replicabilità e la comunicabilità dei metodi psicologici li rendono particolarmente rilevanti per la convalida dei sintomi rispetto ad altri metodi non strutturati, come le checklist.
A livello internazionale, la valutazione della validità dei sintomi ha assunto un ruolo di massima importanza nell’ambito delle perizie psicologiche, psichiatriche e psicosomatiche. Diverse organizzazioni e illustri ricercatori hanno espresso la loro posizione in merito, definendo criteri standard e fornendo raccomandazioni specifiche (ad es., British Psychological Society, Professional Practice Board, 2009; Bush et al., 2006; Chafetz et al., 2015; Committee on Psychological Testing, 2015; Heilbronner et al., 2009).
L’enfasi sulla rilevanza di questa procedura e ulteriormente avvalorata dall’implementazione di molteplici linee guida (ad es., Schneider et al., 2016; Widder et al., 2016). Klöfer e Krahl (2017) hanno sottolineato l’importanza di ampliare la valutazione della validità dei sintomi oltre i confini tradizionali della valutazione neuropsicologica. Tuttavia, gli autori sottolineano come una valutazione approfondita e attendibile dei sintomi richieda, necessariamente, competenze specialistiche che vanno oltre la semplice conoscenza delle procedure neuropsicologiche standard. Alla luce di queste considerazioni, la formazione e la qualificazione dei professionisti che si occupano della valutazione della credibilità dei sintomi è diventata un requisito imprescindibile per un gran numero di istituzioni in Germania, requisito che non può più essere eluso dai professionisti che operano nell’ambito delle perizie psicologiche, psichiatriche e psicosomatiche.
Bibliografia
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