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numero 108 - gennaio 2024

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Il PAI nella valutazione clinica: studio di un caso

Il PAI nella valutazione clinica: studio di un caso

Il Personality Assessment Inventory (PAI) (Morey 2007,; ed. it. 2015) non rappresenta ormai più una novità tra gli strumenti utilizzati per la valutazione psicodiagnostica approfondita e sta trovando uno spazio ed un consenso sempre più ampi tra i self-report a disposizione dei professionisti.
Alcune delle differenze principali sono già state sottolineate da diversi AA ed appaiono evidenti anche a coloro che si approcciano allo studio e all’utilizzo di questo strumento. Si differenzia innanzitutto sia per la metodologia con cui è stato costruito ma anche per il modo in cui si presenta alla persona esaminata comprendendo item semplici, comprensibili con una bassa scolarità. Una caratteristica importante è rappresentata dalla possibilità di graduare la risposta su una scala Likert a quattro punti graduando, o sfumando, la netta contrapposizione esistente in altri questionari dovuta a risposte dicotomiche (V/F, Sì/No, Presente/Assente ecc.).
Il questionario, composto di 344 item, sviluppa 22 scale cliniche e non prevede alcun overlapping: nessun item contribuisce all’innalzamento di più scale ed “appartiene” ad una unica scala o sottoscala, evitando, quindi, confusive sovrapposizioni.
Completano l’esame del profilo una serie di indici che consentono di fornire ulteriori informazioni sullo stile di riposta (ad es., il Defensiveness Index), sullo stile di relazione (DOM e WRM) e su alcune condizioni cliniche potenzialmente pericolose (ad es., il Suicide Potential Index).
Il PAI – a differenza di altri self-report – offre la possibilità di confrontare i punteggi ottenuti dal soggetto sia con il campione normativo generale sia con il campione normativo clinico. La skyline del grafico, identificato da una linea nera continua, rappresenta infatti il profilo del campione clinico.

Un caso

Il caso in esame è relativo a una giovane donna che, accompagnata dai genitori preoccupati per alcuni comportamenti della figlia, chiede un aiuto psicologico finalizzato a contenere i propri “eccessi” e per far fronte a un periodo di crisi legato alla fine del rapporto col proprio fidanzato.
Ritiene la qualità della propria vita come “insoddisfacente” nonostante non abbia particolari problemi di natura relazionale ed economica.
La signora ha 28 anni, è primogenita di due sorelle, laureata in materia umanistica (Storia e letteratura italiana), si presenta ben curata nell’aspetto.
Non vengono riferiti particolari problemi a livello familiare a parte alcune discussioni talvolta violente con i genitori legate a scelte e decisioni prese soprattutto nel corso dell’adolescenza e tra i 23 e 26 anni, dopo la laurea. Nel corso di questo secondo periodo vengono riferiti anche due episodi definiti “dimostrativi” (assunzione volontaria eccessiva di benzodiazepine) che hanno comportato due brevi periodi di ricovero presso una struttura psichiatrica ospedaliera.
Riferisce di avere assunto queste dosi eccessive per “calmare” i pensieri e la tensione interiore che percepiva nonché per “controllare gli scoppi d’ira” che frequentemente e facilmente arrivavano.
Sempre durante tali periodi, riferisce uso occasionale in quantità eccessiva di alcol e talvolta anche di cannabinoidi. Tali sostanze non sono attualmente riferite come “problema attivo” non assumendo alcol o cannabinoidi da circa due anni.
Anche la relazione col proprio fidanzato è stata definita come “tumultuosa” e discontinua avendo nel frattempo, e talvolta contemporaneamente, avuto rapporti occasionali con altre persone senza però legarsi a loro. “Erano un diversivo, non mi sembrava di fare del male a nessuno”.
La diagnosi alla dimissione posta dal servizio psichiatrico è stata di Episodio Depressivo in occasione dell’assunzione di BZD e di Disturbo Borderline di Personalità in occasione del secondo ricovero.
Giunge alla nostra osservazione inviata dalla psichiatra che ha posto un dubbio diagnostico ponendoci un quesito utile ad effettuare una diagnosi differenziale e meglio inquadrare la terapia sia psicofarmacologica che psicoterapica.
Per rispondere alla richiesta della persona ed al quesito dello psichiatra inviante, abbiamo proposto ed utilizzato gli strumenti propri dell’assessment psicodiagnostico effettuando colloqui clinici, la raccolta di una anamnesi dettagliata, l’osservazione del comportamento (sia diretta che riferita dalla signora e dai genitori), una analisi trasversale e longitudinale dei sintomi laddove il tempo costituisce esso stesso un fattore diagnostico, nonché l’utilizzo di strumenti oggettivi finalizzati alla psicodiagnosi. In questo contesto, oggetto della nostra osservazione e discussione è il risultato del PAI alla luce sia delle osservazioni cliniche che del report narrativo proposto dalla piattaforma Hogrefe Test System (HTS-5) di Hogrefe.
Morey, autore del test, propone per prima cosa di rilevare la validità del test analizzando i valori delle prime quattro scale la cui finalità è quella di evidenziare eventuali distorsioni, enfatizzazioni o minimizzazione di patologia e la coerenza generale nel rispondere al test.
Questi “indici di validità” (v. fig. 1) permettono di valutare l’eventuale presenza di variabili che interferiscono con il processo di risposta. La paziente in osservazione ha compilato il questionario senza tralasciare alcun item, rispondendo coerentemente e dimostrando che ha chiaramente compreso il compito (INC = 51 T; INF = 44 T) senza cercare di presentare un’immagine di sé irrealistica o inesatta. Ha quindi fornito una descrizione di sé accurata rispetto a quanto ci saremmo aspettati per una storia clinica come quella raccolta in anamnesi (PIM = 42 T; NIM = 60 T; Defensiveness Index = 43 T).

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Fig. 1 - Gli indici di validità

La rappresentazione grafica di questa prime scale evidenzia la validità complessiva del test senza che l’esaminata abbia voluto enfatizzare i propri sintomi e senza che abbia proposto una decisa ed invalidante visione “peggiorativa” della propria condizione psicologica generale.
Il report narrativo automatizzato proposto dalla piattaforma conferma questa analisi e riporta quanto segue:
Il profilo è valido e può essere interpretato. Il buon grado di coerenza tra le risposte fornite evidenzia una giusta attenzione al contenuto degli item durante la compilazione del questionario.
Non emergono particolari tendenze a presentare un'immagine positiva di sé, né a minimizzare la presenza di difetti generalmente ammessi dalla maggior parte delle persone.
È stata posta una certa enfasi sulla patologia, tale da fornire l'impressione di una situazione psicologica abbastanza grave o da un quadro caratterizzato da sintomi bizzarri”.
Quest’ultima frase è legata al valore limite per la popolazione generale normale alla scala NIM (T = 60) ma ancora lontano dal valore della popolazione clinica indicato dalla linea continua posta a T = 94. Tale valore da solo, pur rilevato dal sistema, non inficia la validità complessiva del test e la sua interpretabilità.
Come riportato in altri lavori, “È importante ricordare che Morey (1996, 2007-2015) ha costruito le scale cliniche cercando di massimizzare la validità di costrutto, discriminante e di contenuto, dove le sindromi cliniche selezionate (scale cliniche) sono un costrutto multidimensionale espresso dalle diverse sottoscale. Si può ritenere che la scala misuri realmente quello che dichiara di misurare solo quando tutte le sottoscale che concorrono a una specifica scala raggiungono il livello di significatività clinica” (L. Abbate, 2017) ossia superano i 70 T. 

La figura 2 presenta l’andamento delle scale cliniche e si può immediatamente notare come vi sia un innalzamento di cinque scale cliniche: Disturbi ansia-correlati, Disturbo Borderline e Disturbo Antisociale, Problemi legati all’Alcol e Problemi legati alla Droga.

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Fig. 2 - Le scale cliniche

La signora presenta una ideazione organizzata e, al momento del test, non si rilevano indici di confusione o di altri fenomeni tali da compromettere stabilmente il rapporto con la realtà.
Non si rilevano punteggi indicativi di alterazioni senso-percettive.
Non sono presenti indici di depressione del tono dell'umore; parimenti, non sono presenti indici di tristezza, perdita di interesse nelle normali attività né anedonia.
Non emergono particolari preoccupazioni per la salute e il funzionamento corporeo.
Non vengono riferiti vissuti di inadeguatezza, di impotenza o di incapacità nel rispondere alle richieste dell’ambiente.
Non emergono componenti somatiche della depressione (alterazione del sonno o dell'appetito, calo di energia, rallentamento psicomotorio).
Il profilo non rileva disturbi formali del pensiero né altre manifestazioni di natura psicotica.
L’analisi ed il significato clinico dell’innalzamento delle scale citate non possono essere attestati né compresi se non si analizzano le componenti costitutive di tali scale analizzando cioè le rispettive sottoscale (v. figg. 3-4-5)

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Fig. 3 - Le sottoscale ARD

 

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FIg. 4 e 5 - Le sottoscale BOR e ANT

Queste sottoscale mettono in luce la possibilità di manifestazioni o tendenze impulsive o comunque di spinte ad agire senza adeguata riflessione.
Analogamente, vi è la conferma delle difficoltà relazionali (sia affettive che sessuali) che la paziente incontra nella propria vita indicate dalla elevazione delle scale BOR-A e BOR-N, rispettivamente 67 e 65 T.
È possibile che in particolari condizioni di stress si manifestino preoccupazioni e pensieri ripetitivi che interferiscono con i processi mentali (ARD-O = 60 T).
La paziente lamenta un’ansia diffusa (ARD-T) ed è presente una lieve forma di ruminazione mentale (ARD-O) che la porta a ripercorrere mentalmente singoli eventi nel tentativo inutile di padroneggiarli. È verosimile che l’ansia diffusa si trasformi rapidamente in allarme, causandole una forte tensione; è altrettanto verosimile che l’ansia che la affligge abbia importanti ripercussioni sia sulla percezione che ha di sé sia, come detto, sui rapporti interpersonali.
È presente un discreto livello di stress, da ricondursi a situazioni relativamente recenti.
Per ciò che riguarda lo stile di relazione, non sembrano manifestarsi marcate tendenze al ritiro né all'isolamento sociale; al contrario, possono manifestarsi disponibilità e ricerca attiva della relazione con l'altro. Tuttavia, le modalità di relazione talvolta sembrano caratterizzate da una scarsa capacità di empatia.
Le relazioni tendono ad essere intense e ambivalenti; è probabile che emerga, all'interno del rapporto, l'impressione di essere "sfruttati" o traditi.
L’elevazione delle scale DOM e WRM indica la prevalenza della tendenza ad assumere una posizione dominante nelle relazioni, sebbene siano presenti anche normali capacità di adattarsi alle esigenze e alle richieste altrui.
Relativamente all’immagine di sé, non sembrano presenti sentimenti di vuoto, profonda insoddisfazione, dubbi riguardanti le questioni fondamentali della vita o gli obiettivi esistenziali. Il sentimento della propria identità risulta stabile.
Sono tuttavia presenti aspetti di egocentrismo, che possono esprimersi in alcune occasioni con la tendenza a manipolare il rapporto.
Particolarmente interessante appare l’analisi delle scale relative all’uso di alcol e di sostanze. La raccolta dell’anamnesi ci conferma un uso pregresso di sostanze stupefacenti e di bevande alcoliche che pur non risultando attualmente problematico, è comunque presente sul piano emotivo ed esperienziale nella storia della persona esaminata.
Il report automatizzato mette in guardia sulla possibilità di comportamenti autolesivi: “Al momento dell'esame, emergono al test indici di presenza di rischio di comportamenti autolesivi e/o suicidari” (SUI = 63 T e Suicide Potential Index = 70 T) associato alla indicazione di assenza di agiti etero-aggressivi: “Non si rilevano indici specifici di impulsività riguardo a possibili agiti etero aggressivi”.
Il test nel suo complesso mette in evidenza indici clinicamente significativi.

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Fig. 6 - Indici clinicamente significativi

Se da una parte sembrano maggiormente evidenti i tratti ed i sintomi che possono parzialmente soddisfare i criteri diagnostici per un Disturbo Borderline di Personalità, attenendoci alle indicazioni dell’autore del test e alla manualistica corrente, la diagnosi di Disturbo Bordeline di Personalità non è possibile.
Ciò è legato al fatto che i punteggi alla scala BOR e le relative sottoscale non raggiungono i punteggi necessari per la formulazione di tale diagnosi. Morey indica infatti la presenza di una elevazione oltre i 70 T alla scala BOR ed almeno 3 sottoscale BOR alte.
Nel nostro caso, tuttavia, data la presenza di una chiara elevazione della scala BOR (BOR>70) la diagnosi di personalità è da considerarsi probabile per l’elevata presenza di tratti e sintomi riconducibili a tale disturbo.
Meno evidente ma clinicamente più importante e sostenibile è invece una seconda ipotesi diagnostica. È infatti da considerare l’'ipotesi di Disturbo Bipolare di tipo II.
Tale ipotesi deriva dall'elevazione della sottoscala BOR-A associata all'elevazione di MAN-A; questa combinazione sottolinea sostanzialmente una condizione di instabilità (BOR-A) associata ad una elevazione del tono dell'umore e dalla presenza di alti livelli di attività (MAN-A) espressa sia a livello di produzione ideativa che di attivazione comportamentale, dati confermati anche dalla raccolta anamnestica.
Anche il report automatizzato proposto da HTS-5 conclude con la stessa ipotesi basandosi su regole ed algoritmi ricavati dalla letteratura corrente.
Nella sezione 8 del report viene riportato infatti la seguente affermazione: “Ipotesi diagnostiche compatibili col profilo della persona esaminata: Il profilo suggerisce l'approfondimento delle seguenti condizioni cliniche: Disturbo Bipolare (Disturbo ciclotimico [301.13 - F34.0])”.

Bibliografia

  • Morey, L.C. (2007). Personality Assessment Inventory: Professional manual (2 ed.). Lutz, FL: Psychological Assessment Resources. Ed. it. a cura di A. Zennaro, A. Lis, C. Mazzeschi, M. Fulcheri e S. Di Nuovo (2015), Firenze: Hogrefe Editore.
  • Morey, L.C. (1996), An Interpretative Guide to the Personality Assessment Inventory. Lutz, FL: Psychological Assessment Resources
  • Morey, L.C. (2003). Essentials of PAI Assessment. Hoboken: Wiley & Sons.