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numero 113 - novembre 2024

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Sviluppo e valutazione del linguaggio verbale in condizioni speciali: il caso della sordità e della lingua seconda

Sviluppo e valutazione del linguaggio verbale in condizioni speciali: il caso della sordità e della lingua seconda

Lo sviluppo del linguaggio avviene in modo rapido e naturale in ogni bambina e bambino con sviluppo cognitivo nella norma che è immerso in un ambiente linguistico sufficientemente ricco ed accessibile. Si calcola che, in condizioni  normali, l’apprendente sia in grado di acquisire fino a nove nuove parole al giorno entro i primi 6 anni di vita (Carey, 1978). Questa fioritura lessicale, resa possibile da un’esposizione ad almeno un milione di parole all’anno (Gilkerson et al., 2017; Hart e Risley, 1992) si accompagna ad una crescente sensibilità linguistica, dimostrata non solo dal lessico utilizzato, ma anche, e soprattutto, dalla sistematicità e dalla creatività con cui espressioni linguistiche di senso compiuto vengono prodotte: una bambina di poco più di 3 anni (Antelmi, 1997, 2004), ad esempio, usa perfettamente al participio passato un verbo di sua invenzione “ciacchiucchiare” (storpiatura di “ciacciare” inteso come “rimestare”) con tanto di scatologica specificazione del luogo dell’evento espressa da un appropriato sintagma locativo (“nella popò”). Come dimostra l’ilare correzione della sperimentatrice che interagisce con la bambina (“ciacciucchiato nella popò, ah ah!”) questa espressione non era ragionevolmente mai stata sentita pronunciare da un adulto quando la bambina l’ha usata produttivamente per la prima volta.
L’abilità di produrre e capire un numero infinito di frasi grammaticali mai sentite prima nella lingua a cui si è esposti fin dalla nascita in modo accessibile (attraverso il canale uditivo per gli udenti che vengono esposti alle lingue orali, quello visivo per coloro che sono esposti alle lingue dei segni) è l’oggetto di studio di quella branca della linguistica che studia l’acquisizione della prima lingua (Guasti, 2007).
È noto come in condizioni di sviluppo normali, indipendentemente dalla lingua che si apprende, siano identificabili fasi universali che ciascun parlante attraversa e che ovviamente sono osservabili anche nell’acquisizione dell’Italiano (Belletti e Guasti, 2015; Guasti, 2007). Ad esempio, la fase della lallazione, quella dell’uso di parole in isolamento, la fase delle prime combinazioni tra due parole e quella dell’iper-regolarizzazione in cui la bambina regolarizza anche le forme irregolari, tipo “cadde” può diventare “cadò”.

La percezione di grammaticalità come prerequisito della comprensione

Spesso quello che fa o che dice un parlante, cioè la sua esecuzione per usare il termine appropriato (Chomsky, 1965), non rappresenta sempre e completamente quello che “sa” della propria lingua. La conoscenza linguistica implicita, cioè la sua competenza linguistica, sempre per usare i termini chomskyani, può essere solo inferita indirettamente. Ad esempio, si ritiene che il bambino inizi a combinare le parole non prima di possedere un lessico mentale di almeno 50-200 parole (Bates, Dale e Thal, 1996). Per giungere a queste conclusioni bisogna utilizzare in modo appropriato, e spesso originale, il metodo sperimentale: ad esempio, ci si è resi conto di come neonati di appena 4 giorni di vita, nati in un ambiente francofono, riuscissero già a discriminare l’Italiano dall’Inglese solo basandosi su informazioni prosodiche, cioè intonative, delle lingue contrastate (Nazzi, Bertoncini e Mehler, 1998). Questi risultati sono stati ottenuti osservando le variazioni sistematiche nel ritmo della suzione non-nutritiva (al bambino veniva messo in bocca un ciuccio con un sensore che registrava le variazioni di pressione) o la preferenza del neonato nel guardare verso destra o sinistra a seconda dell’input linguistico ricevuto. I risultati sistematici hanno permesso di verificare intuizioni che non potevano trovare risposte nel comportamento linguistico esplicito dei più piccoli: non si poteva chiedere ad un neonato di 4 giorni se percepisse una differenza tra l’Italiano e l’Inglese… eppure i risultati sperimentali dimostrano che il neonato era in effetti in grado di distingue tra queste due lingue.
Allo stesso modo, se ad esempio ci troviamo di fronte una bambina con un ritardo nello sviluppo linguistico (cioè una ragionevole e osservabile discrepanza rispetto a quelle che sono le normali fasi di acquisizione), come facciamo a valutarne in modo affidabile il suo comportamento linguistico sapendo che la sua “esecuzione” potrebbe risentire di vari fattori esterni alla sua competenza linguistica?
Prendiamo il caso concreto di un bambino sordo profondo senza ausili uditivi. Gran parte dei test standard utilizzati per misurare in età scolare la sua competenza linguistica si basano su test di comprensione: si pronuncia una frase e si chiede al bambino di indicare una tra quattro immagini alternative costruite accuratamente per verificare se ha prestato attenzione a tutte le parti della frase pronunciata, all’ordine delle parole ecc. (Bishop, 2009; Chilosi et al., 2023). In questo caso, il bambino che non ha accesso al canale uditivo, o che ha un accesso limitato dal supporto acustico a questo canale, può non percepire alcuni aspetti fondamentali della frase di input o ricorrere a strategie compensative, tipo la sua conoscenza del mondo (ad esempio, di solito i bambini accarezzano gli elefanti e non viceversa), personaggi non ripetuti nelle immagini (se in sole due immagini su quattro ci sono gli stessi personaggi, forse dovrò concentrarmi solo su quelle immagini) per rispondere alle domande, alla fine non permettendo di valutare correttamente la sua competenza linguistica. In questo contesto, la valutazione che vorremmo fare, dovrebbe riguardare degli aspetti più astratti della “comprensione” di una frase e comunque inevitabilmente associati alla sua competenza linguistica.
La scelta di cosa valutare potrà quindi ricade su quello che è un prerequisito fondamentale della comprensione, cioè la percezione di grammaticalità di una frase. Prendiamo due frasi per fare un esempio concreto:

(1)    una strega mangia le mele

(2)    le mele mangiano una strega

Ogni parlante nativo dell’italiano sa benissimo che la frase in (1) significa qualcosa di diverso da quella in (2). Un test di comprensione ben fatto dal punto di vista linguistico potrebbe scegliere la frase (2) da proporre alla bambina e, tra le immagini alternative da mostrare, scegliere sia un’immagine in cui una strega mangia delle mele oltre all’immagine corretta in cui la strega è azzannata da alcune mele inferocite. La bambina che ha “conoscenza del mondo”, potrebbe scegliere la prima immagine (che in realtà rappresenterebbe la frase (1), non la (2)), oppure potrebbe scegliere la (2) semplicemente perché la diverte, o perché ha capito che “il test” gli richiede di fare cose strane, o perché nelle immagini alternative non ci sono streghe o mele o niente che assomigli ad un’azione del tipo mangiare.
Prendiamo adesso una frase un po’ diversa:

(3)    la mela mangiano una strega

Comparando questa frase con quella in (2), nessun parlante nativo avrà il minimo dubbio nel giudicare (3) come “agrammaticale” rispetto a (2). Per fornire questo giudizio non ci sarà bisogno di nessuna comprensione profonda della frase, ma solo della corretta interpretazione grammaticale delle sue parti, requisito fondamentale per capire cosa significa la frase. Questo approccio sperimentale adotta una “scelta forzata” tra coppie di frasi minimalmente diverse (coppie minime) in cui un solo e preciso aspetto morfosintattico viene variato: nel caso precedente l’accordo in numero tra soggetto e verbo è messo alla prova variando semplicemente il numero del soggetto che passa dal plurale “le mele” al singolare “una mela” e che in questo passaggio produce un risultato agrammaticale mantenendo il predicato al plurale “la mela mangiano…”. Questo metodo per elicitare risposte è molto semplice e solido sperimentalmente. Permette inoltre di fare generalizzazioni valide con relativamente pochi esempi (Sprouse e Almeida, 2017). In concreto, se mostro ad un bambino almeno 8 coppie minime diverse in cui solo il numero del soggetto viene variato per produrre una versione agrammaticale della frase (ad es. “la scuola è chiusa” vs “le scuole è chiusa”, “i signori ballano” vs “il signore ballano”…)  e chiedo al bambino di esprimere una preferenza per una delle due frasi in ogni coppia minima, se il bambino risponde coerentemente rispetto a quello che avrebbe detto un adulto ad almeno 6 contrasti su 8, allora possiamo concludere che questo aspetto della competenza linguistica dell’italiano che obbliga il soggetto ad accordarsi con il predicato (verbale, nominale o aggettivale che sia) in numero (singolare vs plurale) è stato acquisito.

La tarda e/o troppo povera esposizione al linguaggio orale nei bambini

Può succedere che per una condizione di deprivazione o riduzione uditiva congenita o a seguito di traumi nei primi mesi/anni di vita, l’ambiente linguistico orale a cui viene esposto il bambino non sia sufficientemente ricco per permettere all’apprendente di utilizzare a pieno la sua predisposizione naturale. Da un lato, la quantità delle produzioni accessibili potrebbe risultare inferiore a quella stimata come necessaria (Gilkerson et al., 2017; Hart e Risley, 1992), dall’altro tutti quegli elementi fonologicamente deboli (monosillabici, o che devono appoggiarsi ad altri per essere pronunciati), quali gli articoli, le preposizioni, i pronomi o le flessioni (gli elementi definiti funzionali, per distinguerli da quelli lessicali dotati di contenuto referenziale come nomi, verbi o aggettivi) possono venire ignorati, producendo effetti disastrosi sul processo di acquisizione linguistica (Chesi, 2006).
Pensate di dover processare una frase come quella in (3) sentendo solo i morfemi in (4):

(4)    mel mang streg

L’aspetto della povertà quantitativa dello stimolo linguistico ricevuto durante il “periodo critico” (Pinker, 1998) accomuna in qualche modo i sordi ai bambini che arrivano in Italia e che vengono esposti al linguaggio, per la prima volta, diversi anni dopo la loro nascita. Questi bambini avranno molto meno tempo a disposizione per sfruttare la naturale abilità che il cervello mette loro a disposizione per apprendere in modo naturale una lingua. Mentre per coloro che sono esposti uniformemente fin dalla nascita a lingue diverse il problema non si presenta (diventeranno tranquillamente bi- o pluri-lingue), in questi casi, la scarsa informazione linguistica ricevuta potrebbe comportare dei ritardi nell’apprendimento linguistico che dovrebbero essere monitorati in modo preciso. Sebbene questa condizione sia ben diversa da quella della sordità che produce effetti distinti sull’acquisizione linguistica (Volterra e Bates, 1989), in entrambi i casi è fondamentale aiutare la comunità (insegnanti, genitori e logopedisti) che interagisce linguisticamente con queste popolazioni fornendo informazioni valide sul livello della competenza linguistica raggiunta dall’apprendente. Il residuo di predisposizione all’apprendimento linguistico (vincolato all’età biologica della bambina) va sfruttato a pieno, provando a valutare al meglio gli interventi di supporto linguistico da intraprendere.
Un’impressionate risultato pare poter essere ottenuto ad esempio portando i bambini a riflettere sulla lingua a cui sono esposti utilizzando appropriate coppie minime. Nel caso dei sordi, questo può avvenire utilizzando le abilità di scrittura e lettura che, pur comportando un apprendimento lungo ed esplicito, che spesso porta un bambino a riuscire ad utilizzarle non prima dei 7 anni, rappresentano un valido ausilio per distillare quel dato linguistico primario che pare fondamentale per scatenare l’istinto linguistico senza bisogno di far riferimento, durante gli esercizi proposti, a nessuna complessa nozione grammaticale (Radelli, 1999). In pratica, mostrare semplicemente che le frasi (2) e (3) significano cose diverse pur essendo molto simili (coppie minime), è molto più utile che provare a spiegare che in Italiano il soggetto e il verbo devono accordarsi (Musola, Musella e Bortolazzo, 2021).

Bibliografia

  • Antelmi, D. (1997). La prima grammatica dell’italiano: Indagine longitudinale sull’acquisizione della morfosintassi italiana. Il mulino.
  • Antelmi, D. (2004). CHILDES Italian Antelmi Corpus [Dataset]. TalkBank. https://doi.org/10.21415/T56893
  • Bates, E., Dale, P.S. e Thal, D. (1996). Individual Differences and their Implications for Theories of Language Development. In P. Fletcher e B. MacWhinney (a cura di), The Handbook of Child Language (1st ed., pp. 95–151). Wiley. https://doi.org/10.1111/b.9780631203124.1996.00005.x
  • Belletti, A. e Guasti, M.T. (2015). The Acquisition of Italian: Morphosyntax and its interfaces in different modes of acquisition (Vol. 57). John Benjamins Publishing Company.
  • Bishop, D.V. (2009). TROG 2: Test for Reception of Grammar—Version 2 (II). Giunti Editore OS.
  • Carey, S. (1978). The child as word learner. Linguistic theory and psychological reality. In M. Halle, J. Bresnan e G. A. Miller (a cura di), Linguistic theory and psychological reality (pp. 264–293). MIT Press.
  • Chesi, C. (2006). Il linguaggio verbale non-standard dei bambini sordi. EDIZIONI UNIVERSITARIE ROMANE.
  • Chilosi, A.M., Cipriani, P., Giorgi, A., Fazzi, B. e Pfanner, L. (2023). TCGB-2: Test di comprensione grammaticale per bambini. Hogrefe.
  • Chomsky, N. (1965). Aspects of the Theory of Syntax (Vol. 11). MIT Press.
  • Gilkerson, J., Richards, J.A., Warren, S.F., Montgomery, J.K., Greenwood, C.R., Kimbrough Oller, D., Hansen, J.H.L. e Paul, T.D. (2017). Mapping the Early Language Environment Using All-Day Recordings and Automated Analysis. American Journal of Speech-Language Pathology, 26(2), 248–265. https://doi.org/10.1044/2016_AJSLP-15-0169
  • Guasti, M.T. (2007). L’acquisizione del linguaggio. Un’introduzione. Raffaello Cortina Editore.
  • Hart, B. e Risley, T. R. (1992). American parenting of language-learning children: Persisting differences in family-child interactions observed in natural home environments. Developmental Psychology, 28(6), 1096–1105. https://doi.org/10.1037/0012-1649.28.6.1096
  • Musola, D., Musella, V. e Bortolazzo, E. (2021). Stimolazione grammaticale per coppie minime: Morfologia di genere, numero e persona. Erickson.
  • Nazzi, T., Bertoncini, J. e Mehler, J. (1998). Language discrimination by newborns: Toward an understanding of the role of rhythm. Journal of Experimental Psychology: Human Perception and Performance, 24(3), 756–766. https://doi.org/10.1037/0096-1523.24.3.756
  • Pinker, S. (1998). L’istinto del linguaggio: Come la mente crea il linguaggio. Mondadori.
  • Radelli, B. (1999). Nicola non vuole le virgole: Dialoghi con i sordi: Introduzione alla logogenia. Decibel.
  • Sprouse, J. e Almeida, D. (2017). Design sensitivity and statistical power in acceptability judgment experiments. Glossa, 2(1), 1–32. https://doi.org/DOI: https://doi.org/10.5334/gjgl.236
  • Volterra, V. e Bates, E. (1989). Selective impairment of italian grammatical morphology in the congenially deaf: A case study. Cognitive Neuropsychology, 6(3), 273–308. https://doi.org/10.1080/02643298908253421