Osservatorio Orientamento
Speranza, ottimismo, resilienza e prospettiva temporale in tempo di crisi
Speranza, ottimismo, resilienza e prospettiva temporale in tempo di crisi
In seguito ai lavori della conferenza internazionale “Vocational designing and career counseling: Challenges and new horizon”, realizzata a Padova nel settembre 2011, molti studiosi lì convenuti si sono di fatto chiesti quanto abbia ancora senso parlare di consulenza professionale, di orientamento e di career counseling dati i tempi di crisi che stiamo attraversando ed in considerazione del fatto che queste attività richiedono entusiasmi, speranze, ottimismo, resilienza e prospettiva temporale. (Documenti e materiali di questa Conference sono liberamente scaricabili dal sito del La.R.I.O.S dell’Università di Padova)
Tali interrogativi nascono dalla constatazione che le certezze che avevamo fino a qualche tempo fa non esistono più. Noi, di fatto, eravamo abituati a ritenere che sia le persone che i contesti fossero abbastanza stabili, e che nei paesi più ricchi, almeno, esistessero per tutti ampie possibilità di scelta e di realizzazione. A differenza di quanto accadeva fino a pochi decenni fa, come d’altra parte abbiamo già ricordato nel primo numero di Qi, ora il futuro è decisamente più imprevedibile, instabile, incerto e minaccioso in quanto stiamo passando da una prima modernità costruita sull’idea di sicurezza, di certezza, di spazi definiti per la persona e la comunità, ad una seconda modernità, caratterizzata da insicurezza, incertezza e caduta di ogni confine (Beck, 2000).
I rischi di disagi e malesseri diventeranno molto probabilmente più frequenti e più consistenti anche in considerazione del fatto che le nuove generazioni sembrano ispirarsi soprattutto a valori di tipo meramente estrinseco (Bartolini, 2010, p. 25).
Tutto questo, a nostro avviso, deve essere considerato con attenzione da coloro che sono impegnati nelle cosiddette professioni d’aiuto e da quanti si propongono di fornire supporti alle persone più deboli e maggiormente a rischio di disagio psicosociale, in quanto non possono più procedere come erano abituati a fare in tempi più ricchi di opportunità e possibilità. Ora più che mai questi professionisti dovrebbero abbandonare visioni di tipo assistenziale e proporsi soprattutto in termini di agenti di cambiamento particolarmente interessati a promuovere lo sviluppo di condizioni favorenti l’inclusione e la partecipazione anche sul versante formativo e lavorativo. Piuttosto che limitarsi ad indicare ambiti “promettenti” di inserimento (ma esistono? È di fatto possibile prevederli?) in ossequio, magari, a generici principi di meritocrazia (competitività?) o alla corrispondenza persona-ambiente (“L’uomo giusto al posto giusto!”), chi si occupa oggi di orientamento, di consulenza professionale e di formazione dovrebbe promuovere la diffusione di efficaci strumenti di coping puntando all’incremento della resilienza delle persone e delle abilità necessarie a fronte a difficoltà, a scegliere, a progettare e costruire il proprio futuro. Dovrebbe facilitare la comprensione e lo sviluppo delle risorse per aumentare le loro probabilità di una vita piena di significato e qualità. In effetti l’obiettivo del lavoro di molti di noi è essenzialmente quello di far sì che le persone riconoscano ed amplino le proprie competenze riuscendo al contempo a capitalizzare, per se e per altri, i propri punti di forza.
In un futuro come quello che si sta delineando, la speranza, l’ottimismo (non ovviamente quello ottuso di cui ci parla anche Seligman), la resilienza e la prospettiva temporale dovranno per altro fare i conti con l’idea di rischio. Chi si occupa di processi career decision making o di progettazione del futuro si trova a dover attribuire al rischio significati neutri, se non addirittura positivi considerandolo essenzialmente come sfida o una scommessa con se stessi e con i propri contesti. Da questo punto di vista mentre in alcuni ambiti si tratterà di eliminare e ridurre i rischi, in altri, forse, si tratterà di dibattere e studiare come affrontarli, come contenerli se non proprio accettarli. In tutto questo anche la ricerca deve fare la sua parte in quanto sebbene sia vero che nel corso di questi ultimi anni lo studio dei costrutti che ci stanno qui a cuore è andato progressivamente aumentando, i nodi da sciogliere e le cose da fare sono ancora decisamente molte. Eccone solo alcune che dovremmo tenere presenti:
- Nel counseling, nella formazione e nell’apprendimento, in psicoterapia, nell’orientamento, ma anche in sociologia, in economia e in filosofia si parla sempre più spesso di speranza, ottimismo e resilienza… le definizioni a cui queste diverse visioni si riferiscono sono sovrapponibili? Sono possibili definizioni operazionali in grado di consentire effettivamente confronti, dibattiti ed analisi multidisciplinari?
- Si tratta di costrutti multidimensionali o possono essere considerati sufficientemente indipendenti e monofattoriali?
- È possibile differenziare tipologie specifiche (particolarizzate, esplicitamente orientate ad un obiettivo o ad un desiderio) e tipologie generalizzate, aspecifiche. Esistono evidenze empiriche a questo riguardo? Queste eventuali e diverse tipologie agiscono in modo congiunto? Quanto risentono del tipo di situazione e problema?
- Quanta affidabilità può essere attribuita alle misure attualmente disponibili?
- Quali le “fonti” di sviluppo e le determinanti della speranza, dell’ottimismo, della resilienza? Quali ruoli debbono essere riconosciuti al genere, all’età o alla scolarità?
- È possibile e sino a che punto trattare questi costrutti in termini di tratto o di stato? Quali gli impatti delle determinanti socioculturali? Hanno qui senso analisi e ricerche cross-culturali?
- Quali relazioni esistono tra questi ed altri costrutti, come, ad esempio, quelli della qualità della vita, dell’adaptabilility, dell’orientamento verso il futuro, dell’autoefficacia, dell’assertività, dell’autodeterminazione, dell’empowerment, della capacità di ritardare la gratifica ecc.?
- Come è possibile incrementare tutto ciò?
Queste domande assumono un ruolo significativo se si pensa che nelle attività di consulenza il riuscire ad instillare speranza aumenta la probabilità che si riesca ad aiutare i clienti ad affrontare le incertezze del futuro (Nota, 2012). Nello studiare l’effetto placebo Jerome Frank (1973) affermò che “la mancanza di speranza può ritardare la ricerca di cure o anche accelerare la morte, mentre la speranza gioca un ruolo essenziale per molte situazioni di difficoltà” (p. 136). Talley (1992) osservò che il miglior predittore della soddisfazione per il trattamento ricevuto, capace di spiegare il 68% della varianza, aveva a che fare con questo item: “il consulente mi ha incoraggiato a credere che potevo migliorare la mia situazione”. Più recentemente Lopez e collaboratori (2004) hanno affermato che ‘‘qualunque sia il tipo di intervento di consulenza che viene realizzato, i cambiamenti benefici possono essere attribuiti, almeno in parte, alla speranza” (p. 389). Edey e Jevne (2003) arrivano ad affermare che la speranza è “la scintilla che fa sì che il cliente chieda aiuto, la benzina che fa andare avanti il motore, la spinta che aiuta il cliente a provare, è il seme che fa fiorire interessanti ed inspiranti interventi di counseling.” (p. 45).
Nello stesso tempo ben sappiamo che vi è una stretta relazione fra speranza, ottimismo e funzionamento psicologico. In particolare, i livelli di speranza sono in relazione con la percezione di competenza scolastica, sociale e sportiva e con migliori risultati scolastici. La speranza risulta positivamente associata con elevate abilità di problem solving e con maggiori livelli di creatività, e aiuta a far fronte agli eventi negativi di vita in modo migliore (Valle et al., 2006). Gli studi sull’ottimismo negli adolescenti sottolineano che esso si associa ad una minor presenza di sentimenti positivi, minori livelli di depressione, di ansia, di comportamenti disadattavi o con un minor ricorso all’abuso di sostanze (Carrieri, 2012). Per altro si registra una stretta relazione anche fra i livelli di ottimismo e speranza posseduti dai genitori e quelli posseduti dai figli (Ginevra, 2012). Sembrerebbe, ad esempio, che gli adulti che presentano un stile attribuzionale ottimistico hanno avuto sovente genitori maggiormente supportivi e che promuovevano indipendenza, autonomia ed ottimismo, e che, come hanno evidenziato Hasan e Power (2002), i livelli di pessimismo materni correlino significativamente con quelli dei figli.
Queste dimensioni e questi costrutti sembrano ricoprire ruoli significativi anche nell’ambito del trattamento e dell’integrazione di persone con menomazioni e disabilità croniche e progressive. Se presenti in modo positivo sono associati a minori livelli di disagio psicosociale anche in seguito ad eventi traumatici acquisiti non progressivi e sembrano accompagnarsi ad esiti positivi nei programmi abilitativi e riabilitativi (Sgaramella, 2012).
Nel contesto lavorativo, infine, non possiamo dimenticare quello che Luthans e Youssef (2007) chiamano “capitale psicologico”, ovvero quell’insieme di dimensioni quali la fiducia nel portare a termine i propri compiti, l’ottimismo nei confronti delle possibilità di successo, la resilienza e la perseveranza verso i propri obiettivi, la capacità di ri-formulare obiettivi, di far fronte ad ostacoli e problemi. Questi aspetti diventano via via sempre più importanti in quanto la relazione che si registrava fino a poco tempo fa fra successi imprenditoriali e aspettative nutrite nei confronti delle prestazioni dei lavoratori non sembra più essere sufficiente a favorire la buona riuscita della vita imprenditoriale e tutto questo si associa a pessimismo (Ferrari, 2012; Santilli e Soresi, 2012).
Per quanto ci concerne noi siamo convinti che sia proprio nei momenti difficili che, in realtà, è necessario parlare e fare ricerca su “tutte queste cose” al fine di mettere in moto energie, risorse e positività per la “progettazione e costruzione di un futuro di qualità”.
Tutto questo sarà oggetto di analisi e dibattito nell’International Conference "LIFE DESIGN: Instillare speranza e fortificare la resilienza" che l’Università di Padova sta organizzando con il patrocinio e il contributo delle più importanti associazioni scientifiche europee ed americane che si occupano di counseling, di orientamento e di career counseling.
Bibliografia
- Bartolini, S. (2010). Manifesto per la felicità: come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere. Baldini, Milano.
- Beck, U. (2000). Risk society revised: Theory, politics and research programmes. In B. Adam, U. Beck e J. van Loon (eds). The risk society and beyond: Critical issues for social theory. London, Sage.
- Carrieri, L. (2012, Gennaio). Speranza e ottimismo in età evolutiva: dallo sviluppo all’intervento. Comunicazione orale presentata alla Giornata di Studio in Speranza, ottimismo, prospettiva temporale e resilienza, Padova, Università degli Studi di Padova.
- Edey, W., & Jevne, R. F. (2003). Hope, illness, and counselling practice: Making hope visible. Canadian Journal of Counselling, 37, 44–51.
- Ferrari, L. (2012, Gennaio). Considerazioni a proposito dell’utilizzo della tecnologia. Comunicazione orale presentata alla Giornata di Studio in Speranza, ottimismo, prospettiva temporale e resilienza, Padova, Università degli Studi di Padova.
- Frank, J. D. (1973). Persuasion and healing: A comparative study of psychotherapy (rev. ed). Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press.
- Ginevra, M. C. (2012, Gennaio). Sviluppo professionale dei figli, speranza e ottimismo nei genitori. Comunicazione orale presentata alla Giornata di Studio in Speranza, ottimismo, prospettiva temporale e resilienza, Padova, Università degli Studi di Padova.
- Hasan, H., & Power, T. G. (2002). Optimism and pessimism in children: A study of parenting correlates. International Journal of Behavioral Development, 26(2), 185–191.
- Lopez, S. J., Snyder, C. R., Magyar-Moe, J., Edwards, L. M., Pedrotti, J. T., Janowski, K., et al. (2004). Strategies for accentuating hope. In P. A. Linley & S. Joseph (Eds.), Positive psychology in practice (pp. 388–404). Hoboken, NJ: John Wiley & Sons.
- Luthans F. & Youseef C.M. (2007) Emerging Positive Organizational Behavior. Journal of Menagment, 33, 321-349
- Nota, L. (2012, Gennaio). Il ruolo della speranza nelle attività di consulenza. Comunicazione orale presentata alla Giornata di Studio in Speranza, ottimismo, prospettiva temporale e resilienza, Padova, Università degli Studi di Padova.
- Santilli, S. e Soresi, S. (2012, Gennaio). Ottimismo e resilienza: strumenti per i datori di lavoro e le imprese. Comunicazione orale presentata alla Giornata di Studio in Speranza, ottimismo, prospettiva temporale e resilienza, Padova, Università degli Studi di Padova.
- Sgaramella, T. M. (2012, Gennaio). Speranza e ottimismo nelle disabilità: tematiche ricorrenti ed emergenti negli studi riabilitativi. Comunicazione orale presentata alla Giornata di Studio in Speranza, ottimismo, prospettiva temporale e resilienza, Padova, Università degli Studi di Padova.
- Talley, J.E. (1992). The predictors of successful very briefpsychotherapy: A study of differences by gender, age, and treatment variables. Springfield, Illinois: Thomas C. C.
- Valle, M. F., Huebner, E. S., & Suldo, S. M. (2006). An analysis of hope as a psychological strength. Journal of School Psychology, 44, 393–406.