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numero 2 - novembre 2012

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Riflessioni sulla leadership oggi

Riflessioni sulla leadership oggi


I leader sono come le aquile, non volano in stormo, li trovi sempre uno alla volta (Dipak Pant)
 
In questo momento di grandi difficoltà economiche e finanziarie, dove per le aziende è davvero arduo rimanere competitive, un bravo leader può fare realmente la differenza. In un mercato che è sempre più difficile e selettivo, solo le aziende che lo “guardano con occhi diversi” possono resistere e crescere.
Per anni si è puntato sulla pricing strategy, la strategia del prezzo, ma nel lungo periodo questa si è rivelata inadeguata. Occorre cambiare “rotta” e puntare sul vantaggio competitivo, cioè sulla capacità di distinguersi dagli altri. “O ti distingui o ti estingui” e c’è un solo modo per distinguersi: far crescere le persone, investire sul fattore umano, perché non vi è capitale che non nasca dall’atto di intelligenza umana e questo è la premessa per rispondere efficacemente ai bisogni reali in un’effettiva strategia della centralità sul cliente. Non si tratta di risparmiare ed ottimizzare i processi produttivi, ma di motivare e coinvolgere tutti i lavoratori. Di dare loro speranza e sogni. Essere come un faro che impedisce il naufragio in un mare tempestoso.
 
Avere il coraggio di superare la sacralità del profitto e rimettere al centro la “Persona”, sì proprio con la “P” maiuscola. I lavoratori, tutti, dal più umile al massimo dirigente sono l’azienda e, assieme all’imprenditore, formano un tutt’uno e mai andrebbero considerati come contrapposti. Occorre dunque una sorta di nuovo umanesimo della cultura aziendale che provochi un cambiamento profondo, come fu, nel Quattro-cinquecento, il Rinascimento per l’arte. In altri termini, occorre che i leader abbiano il coraggio di promuovere il passaggio da una cultura burocratica e paternalistica ad una cultura imprenditoriale che favorisce l’autonomia e l’assunzione di responsabilità rispetto a se stessi e all’organizzazione. Una leadership che, riguardo ai propri collaboratori, svolge funzioni di consulenza e incoraggia l’espressività creando un clima di scambio aperto e altamente motivato al fine di raggiungere gli obiettivi attesi.
 
I leader hanno dunque un ruolo cruciale affinché questa crisi si trasformi in un’opportunità per cambiare. Ma che cosa si intende per leadership?
Nonostante l’ampio repertorio di studi e ricerche che la letteratura presenta, la leadership è ancora oggi un argomento di notevole complessità concettuale ed è tutt’ora difficile identificare un unico modello teorico di riferimento.
La presenza di una pluralità di modelli è in parte dovuta alla natura stessa dell’oggetto di studio e in parte alle modalità di sviluppo dei diversi orientamenti di ricerca. Le numerose ricerche scientifiche sull’argomento, pur delineando in maniera più dettagliata diversi aspetti del fenomeno, non hanno ancora condotto alla formulazione di una teoria generale sulla leadership sufficientemente esplicativa delle molteplici evidenze empiriche né, tanto meno, si è pervenuti ad una definizione accettata e condivisa dalla letteratura scientifica.
Il concetto di leadership è infatti polivalente ed è stato interpretato in modi diversi a seconda delle teorie e degli approcci con cui è stato affrontato. Come sosteneva Stogdill già negli anni ’70 ci sono tante definizioni di leadership quante sono state le persone che hanno cercato di definirne il concetto.
 
Per orientarsi meglio nel panorama degli studi di questa complessa tematica, può risultare utile prendere come riferimento la classificazione formulata da Bass intorno sulle numerose definizioni di leadership. Tale classificazione, oltre a risultare alquanto esaustiva, ne esprime a pieno la dinamicità evolutiva. Le definizioni risultano abbastanza omogenee all’interno di ciascun gruppo e si distinguono in base al periodo in cui sono state elaborate:
 
1. Leadership come focus della dinamica di gruppo: il leader viene visto da autori come Cooley, Mumford, Blackmar, Brown, sino dall’inizio del ‘900 come protagonista, punto di polarizzazione, centro focale del gruppo. La tendenza in queste prospettive di studio è di considerare il concetto di leadership fortemente legato a quello di struttura e di dinamica di gruppo.
 
2. Leadership come personalità e i suoi effetti: questa definizione fa parte della Teoria dei Tratti secondo la quale si devono ricercare le caratteristiche che rendono le persone più capaci di altre nell’esercitare la leadership. Questi autori ricercano una definizione che descriva più le caratteristiche che il leader deve avere per essere tale, piuttosto che una spiegazione al termine di leadership.
 
3. Leadership come l’arte di indurre il consenso: questa prospettiva nasce con Munson negli anni ’20 e viene poi condivisa, in quel periodo, anche da altri come Moore, Allport, Bundel, Philips, Allen e Bennis. La leadership è definita come l’abilità di manipolare le persone così da ottenere il meglio con i minimi contrasti e la massima cooperazione attraverso il contatto face-to-face tra leader e subordinati. Viene vista, quindi,come un esercizio di influenza unidirezionale, mentre il gruppo e i suoi membri vengono messi in secondo piano e considerati come passivi.
 
4. Leadership come esercizio dell’influenza: l’utilizzo del concetto di influenza segna un passo decisivo nell’astrazione di quello di leadership; gran parte degli studiosi che operano negli anni ’50 (Stogdill, Shartle, Haiman, Bass, Tannenbaum, Weschler, ecc.) utilizzarono definizioni affini. Il concetto di influenza implica una relazione reciproca tra individui, non necessariamente caratterizzata da dominio, controllo o induzione al consenso da parte del leader.
 
5. Leadership come comportamento: questa definizione, caratteristica dell’Organizational Behavior emerse contemporaneamente alla precedente negli anni 1950: si cercava di spiegare quali fossero le attività e i comportamenti caratteristici dell’esercizio della leadership, quelli propri di un individuo orientato alle attività del gruppo.
 
6. Leadership come forma di persuasione: è un tipo di definizione che cerca di rimuovere ogni implicazione alla coercizione, focalizzando invece l’attenzione alla relazione. Ebbe come seguaci Schenk, Cleeton , Mason, Copeland, Odier, Koontz e O’Donnel. Più recentemente, negli anni ’80, la strategia persuasiva è stata indicata come una delle modalità di leadership da Bass e Barrett.
 
7. Leadership come relazione di potere: per spiegare questo tipo di affermazione, gran parte degli studiosi che l’hanno adottata a partire dagli anni ’60, come ad esempio French, Janda, Smith e Bass, hanno utilizzato due soggetti di riferimento, A e B, simulando tra loro relazioni di potere: se A induce B ad attuare dei comportamenti per raggiungere un obiettivo comune, allora A ha esercitato leadership su B.
 
8. Leadership come strumento per raggiungere l’obiettivo: quest’idea è comune a molti studiosi, quali Cowley, Bellows, Cattell, Davis, Urwick, che l’hanno inclusa nelle proprie definizioni e che più di altri hanno centrato la loro ricerca, sempre nello stesso periodo storico, sul raggiungimento dell’obiettivo; essi considerano la leadership come forza principale per stimolare, motivare e coordinare coloro che si muovono per raggiungere un obiettivo comune.
 
9. Leadership come fattore emergente dell’interazione: ciò che differenzia questa affermazione dalle precedenti è il nesso di casualità; infatti la leadership vene qui considerata un effetto dell’azione del gruppo e non più un suo elemento formante. Borgadus, Pigors, Anderson e Merton misero in evidenza che la leadership emerge dal processo di interazione tra individui e non avrebbe ragione di esistere senza di esso. Questa teoria si svilupperà a partire dal 1920 sino alla fine degli anni ’60.
 
10. Leadership come ruolo di differenziazione: Sempre dello stesso periodo storico fa parte la teoria dei ruoli, secondo la quale ogni individuo interagendo con altre persone o con un gruppo gioca un ruolo, solitamente diverso, dagli altri individui. Autori come Jennings, Gibb, Gordon, Sherif, Newcomb, Turner e Converse utilizzano definizioni che vedono nella leadership un attributo che differenzia i membri all’interno del gruppo.
 
11. Leadership come l’iniziazione di una struttura: Smith, LaPiere e Farnsworth, Gouldner, Bavelas, Homans, Hemphill, Stogdill approfondiscono questa affermazione con la quale si vuole intendere che la funzione di leadership è indispensabile per l’avvio di una struttura e per il suo mantenimento.
 
Tale classificazione storica, proposta da Bass negli anni ‘90, non prende tuttavia in considerazione gli studi più recenti. Negli anni Novanta, infatti, molti autori, fra i quali Hogan (1994), Bruscaglioni e Spaltro (1990), hanno focalizzato la loro attenzione su due concetti, quello di influenza e quello di persuasione, uniti alla necessità di considerare il raggiungimento dell’obiettivo. In quest’ottica tra le varie definizioni che la letteratura organizzativa mostra, estremamente significativa è quella formulata da Hogan che descrive il fenomeno della leadership come un modo di “persuadere delle persone a mettere da parte, per un periodo, i loro obiettivi individuali, con lo scopo di raggiungere un fine comune, importante per la responsabilità e il benessere del gruppo”.
 
Il concetto di leadership viene così differenziato da quello di dominio; il leader non è colui che obbliga le persone ad obbedirlo perché detiene il potere, ma è colui che ha come compito principale quello di costruire un gruppo orientato all’obiettivo e motivarlo al suo raggiungimento; i risultati rimangono sempre legati alla performance del gruppo.
Altrettanto interessante ed innovativo è il contributo di Spaltro e Bruscaglioni, che definiscono la leadership come quel fenomeno per cui una persona esercita influenza sulle altre e, dato per scontato che tutti ne esercitano, si distinguono come leader coloro la cui azione diventa particolarmente significativa.
 
Come si può vedere, gli approcci teorici si distinguono, in prima analisi, per il diverso livello di astrazione al quale la leadership viene considerata. Alcuni studi focalizzano l’attenzione sul leader come individuo, le qualità necessarie per interpretare tale ruolo, le differenze tra uomo e donna, i comportamenti tipici, le patologie e lo stress come egli venga percepito e valutato. Altre ricerche analizzano la leadership come fenomeno di influenzamento attuabile attraverso modalità predefinite, ovvero individuano le caratteristiche di diversi stili comportamentali e le differenti conseguenze nella loro applicazione.
 
Vi sono, infine, studi più complessi che ricercano un modello generale di leadership. Partendo dalla Teoria dei Tratti, secondo la quale si devono ricercare le caratteristiche che rendono le persone più capaci di altre nell’esercitare la leadership, si incontrano le teorie comportamentali che spostano l’attenzione da “come una persona è” a “cosa una persona è in grado di fare”. In base a questa prospettiva infatti il fattore necessario per la leadership efficiente e di successo si trova nel comportamento del leader stesso. Vi sono poi le teorie situazionali, la cui peculiarità si riscontra nel considerare l’efficienza della leadership in funzione della situazione in cui essa si esplica e non solo, in relazione allo stile adottato. Per concludere questo excursus storico sulla leadership non si può non menzionare un nuovo approccio, ovvero il modello della Leadership Trasformazionale.  Questa teoria compie un passo avanti rispetto alla Leadership Situazionale di Blanchard e Hersey degli anni ‘90 e cerca di falsificare la Teoria della Leadership dei Tratti particolari (psicologici e comportamentali). Ciò che porta di innovativo è la particolare situazione di influenza e di persuasione in cui sia il leader che i membri dell’organizzazione creano un legame nel quale la componente emozionale ha un notevole rilievo. Ciò che contraddistingue questo modello di leadership è la possibilità da parte dei leader di poter influire sui desideri e le aspettative di coloro che dirigono, in modo da poter andare oltre ai bisogni immediati per soddisfare bisogni di livello più elevato.
 
È a questo punto opportuno soffermarci un attimo sui recenti studi che sono stati sviluppati a partire dal Modello della Leadership Trasformazionale.
Negli ultimi anni la letteratura organizzativa ha pubblicato diversi lavori che vanno ad indagare alcuni aspetti della Leadership Trasformazionale, come la capacità di influenzamento, la stimolazione intellettuale, e la motivazione ispirazionale. Al riguardo, vi è una ricerca, pubblicata di recente da Tickle, Brownlee e Nailon (2005) che va a verificare le capacità reali del leader trasformazionale nel processo di influenzamento. I risultati hanno messo in evidenza quanto, in concreto, il Leader Trasformazionale riesca ad accattivarsi l’attenzione dei suoi follower ed influire sui loro desideri ed aspettative.
 
Interessanti sono anche i tentativi di misurazione delle percezioni da parte dei membri del gruppo alla Leadership Trasformazionale. È stato infatti svolto uno studio da Aldoory e Toth (2004),  che indaga sulle percezioni degli stili di leadership. Da questo contributo è emersa una forte preferenza nei riguardi della Leadership Trasformazionale.
 
Detto ciò, è opportuno fare un’ulteriore precisazione: tra le tante teorie formulate, quella della Leadership Trasformazionale è diventata oggi un importante punto di riferimento non solo nella letteratura manageriale, ma nelle aziende eccellenti che spesso si avvalgono di questo modello e si ispirano ad esso riuscendo a raggiungere ottimi risultati e a superare le grandi sfide competitive che il contesto organizzativo presenta.
Tali modelli esplicativi tentano di illustrare le modalità operative in base alle quali si potrebbe esercitare una leadership efficace per la produttività e la soddisfazione dei subordinati.
 
Come si può ben constatare, la letteratura manageriale classica e non, offre un panorama ricco di definizioni e contributi riguardo alla leadership. Tuttavia vi è ancora “un alone di mistero” che avvolge il concetto di leadership, mentre invece si inizia ad avere più chiarezza sui compiti che un leader deve svolgere.
Oggi più che mai, si è convinti che un’organizzazione ha bisogno, per operare efficacemente, di una leadership in grado di svolgere un’ attività di “manutenzione complessiva” come afferma Depolo (1998). Essa comprende certamente la messa a disposizione del gruppo dei mezzi tecnici necessari e una buona pianificazione delle attività da svolgere, ma prevede anche un investimento continuo sulle relazioni sociali, ovvero intraprendere quelle attività che sviluppano le potenzialità dei singoli e che li rendono empowered. In altri termini gli ingredienti necessari per lo sviluppo della leadership, o meglio, i fattori chiave che permettono lo sviluppo di una leadership efficace sono due:
  • pianificazione
  • empowerment
Come mostra la letteratura manageriale, da sempre le organizzazioni hanno come primario interesse il raggiungimento dei massimi risultati in termini di produttività. L’efficacia produttiva è la risultante dell’interazione tra processo tecnologico e processo sociale: il processo tecnologico agisce nello spazio sociale e il processo sociale prende forma nelle condizioni tecnologiche. Si tratta, in concreto, del mutuo condizionamento di due variabili di natura reciprocamente indipendente e irriducibile, ma interagenti in modo continuo.
 
Chi ha responsabilità direttive nelle organizzazioni, dunque, deve passare parte del suo tempo in compiti di “pianificazione”. Per pianificazione si intende quell’insieme di attività che mirano a creare, in modo chiaro e dettagliato, una visione condivisa delle priorità da rispettare nell’assolvimento dei compiti lavorativi nella squadra. Ragione per la quale un leader, se vuole ottenere risultati di buon livello di efficacia e di efficienza, deve definire accuratamente: le scelte strategiche (ragioni di mercato, tecnologiche, economiche, sociali), le scelte strutturali, i processi produttivi, l’organizzazione del lavoro (articolazione degli obiettivi, confini e relazioni tra sottosistemi operativi, divisione e integrazione del lavoro); infine ma non per questo di minor importanza, le mansioni.
La pianificazione del lavoro organizzato fornisce al leader, in definitiva, la possibilità di avere il controllo della realtà organizzativa e al tempo stesso l’occasione di rendere i membri del gruppo di lavoro partecipi nella conduzione delle attività lavorative per il raggiungimento degli obiettivi programmati. Infatti, definendo le mansioni di un soggetto, il leader ne stabilisce il ruolo all’interno del sistema sociale e quindi ciò che l’individuo deve fare nelle sue relazioni con gli altri e a livello “prestazionale” nel sistema del lavoro organizzato.
 
Se l’attività di pianificazione gioca un ruolo importante nel sistema organizzativo, altrettanto significativo è quell’insieme di attività, svolte dal leader, che mirano a creare le condizioni per lo sviluppo delle potenzialità dei membri della squadra e a fornire loro supporto, consulenza ed aiuto. In altri termini il leader deve dare avvio ad un processo di “empowerment”.
L’empowerment rappresenta la prima vera proposta per promuovere il lato umano, per rilanciare la filosofia del servizio e della learning organization. Infatti, il manager e il leader devono essere coach, allenatori/consulenti: il loro ruolo è quello di aiutare a crescere, creare occasioni, facilitare l’apprendimento, favorire l’appropriazione delle responsabilità e dei compiti. Il leader deve quindi prestare particolare attenzione a quelle attività che mirano ad aumentare le potenzialità dei membri del gruppo lavorativo, fornendo loro spazio e autonomia, deve sviluppare una comunicazione improntata sul dialogo e lo scambio, ed inoltre, deve motivare alla cooperazione per produrre quella prestazione utile a perseguire i risultati collettivi attesi.
In quest’ottica, il leader è colui che, investendo sul fattore umano, sulle persone e sulle relazioni, compie un piccolo ma significativo passo verso la realizzazione di un’organizzazione a “misura d’uomo”.

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