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numero 90 - settembre 2021

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In ricordo di Saulo Sirigatti

In ricordo di Saulo Sirigatti

In ricordo di Saulo Sirigatti

L’ultima volta che l’ho incontrato, qualche anno fa, presiedeva un congresso. Lo andai a salutare al banco della presidenza. Mi fece una battuta sul fatto che adesso portavo la barba, poi, rivolto a Marco Giannini che gli sedeva accanto, disse, spiccio: “Via, cominciamo”. Nel 2010, lo vidi per caso appoggiato alla balaustra del centro congressi di San Diego a guardare verso il mare. Lo riconobbi da dietro, perché aveva l’abitudine di portare i capelli lunghi. Anche in quell’occasione, si era all’APA, avemmo uno scambio di battute (forse gli unici italiani ad essere lì quell’anno…) e mi salutò per rientrare al convegno e terminare quello che si era prefisso di fare: seguire una conferenza, incontrare qualcuno, parlare di MMPI.
Saulo Sirigatti era così: la battuta pronta e la rapidità nel passare dallo scherzo al piglio del professore universitario che non si vuole perdere in chiacchiere. Era, per generazione e personalità, un barone, qualunque cosa, nel bene e nel male, questa parola voglia significare. Avvezzo alla negoziazione e perfettamente a suo agio nelle questioni di politica universitaria o aziendale (a lungo è stato il consulente scientifico di O.S.), possedeva senso strategico e visione commerciale, inusuali in un accademico, tanto da parere quasi un manager d’esperienza. Ma i panni dell’accademico gli calzavano a pennello, comunque.
Una generazione di psicologi, che hanno oltrepassato da un po’ la sessantina (quelli di prima dell’istituzione dell’albo, per intenderci), gli devono molto, che ne siano o meno consapevoli. E anche il testing italiano. Se fu con Paolo Pancheri a introdurre l’MMPI in Italia, Sirigatti è stato colui che, per il ruolo che ricopriva in O.S., lo ha diffuso, facendo sì che diventasse il questionario di personalità più utilizzato in Italia. Fu lui a farsi, si direbbe oggi, “sponsor” di una metodologia di somministrazione e scoring dei test, che rispondesse alle necessità di valutazioni massive proprie dell’allora leva militare obbligatoria, di routine negli Stati Uniti ma quasi ignota nel nostro paese: moduli e macchinari per la lettura ottica, i primi test computerizzati… Ma soprattutto la formazione, direi la catechizzazione all’MMPI di quelli che, nell’Esercito, si chiamavano periti selettori, per mettere in moto una macchina che dalla seconda metà degli anni ottanta dura, pur nelle necessarie trasformazioni, sino ad oggi. Manager si è detto, certo, ma soprattutto accademico, anche nell’operazione MMPI, dove svolse un ruolo scientifico importantissimo, tanto nella relazione con la non sempre facile University of Minnesota Press, quanto – quando si trattò dell’MMPI-2 – nel fruttuoso rapporto con Jim Butcher (per non parlare della sua attività di ricerca al riguardo).
Tornando al debito che molti psicologi gli devono: ha sempre avuto ben chiaro il perimetro entro il quale lo psicologo poteva e doveva muoversi, quando quel perimetro non era ancora noto agli stessi psicologi. Clinica e psicologia dell’organizzazione, sviluppo di test e di batterie di item per prove concorsuali (il suo metodo di lavoro è utilizzato da chiunque si occupi di selezione per le amministrazioni pubbliche), riviste scientifiche e politica associativa (c’era per la costituzione dell’albo degli psicologi e per quella della Società Italiana di Psicologia della Salute). Il suo lungo sodalizio con O.S. e la direzione del Bollettino di Psicologia Applicata, la sola rivista italiana dedicata ai test, nei quali era subentrato a Francesca Morino Abbele, lo avevano reso inviso ad alcuni, ma non dava mostra di preoccuparsene. E quando venne il suo turno di lasciare, anche se non gli piacque, ne prese atto con quel certo distacco di chi sa di aver dato più di quanto gli fosse riconosciuto.  
Mi sono domandato se fosse un solitario, e quella fotografia che ho nella memoria di lui appoggiato alla balaustra a San Diego me lo confermerebbe, ma forse sbaglio. Come dicevo, non si faceva da parte nelle politiche universitarie e aveva i suoi obiettivi e ambizioni. È possibile che questo gli abbia creato sia nemici sia amici e seguaci: penso che abbia avuto tanto dagli uni, quanto dagli altri.
Lo ricordo per il suo saper stare nel mondo, a suo agio con il funzionario della casa editrice americana e con quello della commissione europea, nello stesso modo: la battuta, lo sdrammatizzare, il voltare pagina “perché adesso c’è da fare”. Lo ricordo nel suo studio pieno di libri, con quella bellissima finestra aperta sulla collina di Fiesole, e gli devo buona parte di quello che so e che so fare in questo mestiere. L’uomo dell’MMPI italiano è mancato nel pieno dell’estate.