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numero 37 - maggio 2016

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Religion and organizational stigma at work

Religion and organizational stigma at work

recensione ok.jpg Stanley Bruce Thomson
Religion and organizational stigma at work
Palgrave Macmillan, 2015, Pp. VII+270
Euro 103.99 (Hardcover)

Questo volume tratta un argomento poco frequentato nel mondo della letteratura del management e dell’organizzazione del lavoro, un argomento che è spesso invisibile, condividendo con altri temi poco emergenti una certa noncuranza da parte degli studiosi. Il contesto di riferimento è, in realtà, ben noto, dato che siamo assai vicini a tutto ciò che ruota intorno al Diversity Management. Ma il Diversity Management, per come si è andato sviluppando nel corso del tempo, tende a focalizzarsi su variabili forti quali il genere, l’età, l’appartenenza culturale e la razza. Altre variabili sono oggi definite le nonvisible demographic characteristics: esse includono l’orientamento spirituale e religioso delle persone al lavoro, così come l’orientamento sessuale, lo stato di salute-malattia globale, e l’appartenenza a gruppi sociali trasversali. L’omissione – da parte dei ricercatori e degli studiosi – della considerazione di tali caratteristiche che, nonostante tutto, ogni persona porta con sé nel lavoro, costituisce il punto di avvio di questo originale testo di Stanley Bruce Thomson, docente presso la MacEwan University e la University of Alberta, in Canada: una persona che si occupa di svolgere ricerche in diversi campi della vita organizzativa tra cui l’etica e il Diversity Management.
Il testo è suddiviso in sette capitoli e chiuso da tre Appendici nelle quali sono illustrati diversi aspetti del progetto di ricerca su cui si basano le riflessioni dell’autore. Infatti, questo è un libro che pone insieme dati di ricerca e riflessioni approfondite, superando così la fin troppo diffusa contrapposizioni tra testi “di opinione” e lavori che si limitano a esporre i risultati di singole e specifiche rilevazioni. In apertura è posta anche una breve biografia redatta dallo stesso autore il quale vuole informare il lettore del proprio percorso scientifico e della strada che ha seguito per giungere al testo attuale.
Le prime pagine sono deputate ad illustrare il contesto generale nel quale ci si colloca e la Stigma Theory, definita come l’insieme delle caratteristiche personali che, all’interno di un dato sistema socio-culturale, sono percepite come difetti, carenze, o imperfezioni. Si tratta di un costrutto socialmente condiviso e prima ancora socialmente edificato che provoca stereotipizzazioni, pregiudizi, distorsioni percettive ed errori di giudizio basati sulla faziosità. Tutto ciò, a sua volta, provoca l’iniquità nel trattamento delle risorse umane che condividono un medesimo contesto professionale e/o organizzativo.
Sulla base di tale impostazioni il testo vuole rispondere a numerose domande tra le quali: quali sono le modalità con cui le persone gestiscono la propria e l’altrui appartenenza religiosa? Come sono identificate e riconosciute le diverse appartenenze religiose nella gestione delle relazioni professionali? Quali sono i problemi che derivano dalle differenze religiose dal punto di vista del lavoratore? In che modo le persone cercano di gestire il proprio credo religioso nel vivo della vita di lavoro?
Come si potrà vedere consultando il testo, al fine di dare una risposta adeguata a simili, complesse domande, è stato dato ampio spazio all’approccio della ricerca qualitativa e, quindi, all’utilizzazione delle interviste individuali. In sintesi, la realtà delle diversità religiose sul posto di lavoro è oggi qualcosa con cui molte imprese – soprattutto multinazionale – stanno facendo i conti; ma anche molte PMI italiane, segnatamente quelle che impiegano tecnici e manodopera che proviene dall’Est Europa e da oltre Mediterraneo, hanno già dovuto attrezzarsi pragmaticamente al fine (almeno) di consentire al proprio personale multietnico di praticare i riti delle proprie fedi religiose. Questo è però solo l’aspetto minimale, più visibile e concretamente risolvibile. Ciò che il lavoro di Stanley Bruce Thomson affronta si situa in un’area molto meno esplicita e chiama in causa le modalità personali, emotive e cognitive con le quali le persone si rivolgono verso il (cosiddetto) “diverso”.
In un periodo storico in cui le analisi sociologiche indicano l’aumento dei pregiudizi e delle diffidenze verso tutti coloro che non appartengono alla comunità di riferimento, e in cui si stanno alzando barriere di ogni genere per difendersi dagli “altri”, questo tipo di ricerche e di riflessioni appare più che mai valido ed attuale. Probabilmente il solo limite del lavoro di ricerca presentato dall’autore risiede nel fatto che il progetto, pur durato ben quattro anni, è stato localizzato in un’area meridionale dell’Australia, e ciò naturalmente propone la necessità di essere assai accorti nella generalizzazione dei risultati (per gli altri limiti del progetto di ricerca si veda la terza appendice del testo in cui l’autore, puntigliosamente, espone ciò che ritiene limitare i risultati).
Su un tema assai vicino a quello affrontato da Stanley Bruce Thomson si consiglia di consultare il bel volume di Gary E. Roberts, Developing Christian Servant Leadership (Palgrave Macmillan, 2015). Un testo dedicato a ciò che può essere tradotto come “leadership di servizio” (o “al servizio di”…), basata sul bilanciamento tra necessità di conseguire gli obiettivi di business, l’etica e la positiva considerazione verso le persone al lavoro, trattate come esseri umani sul cammino della crescita continua.