Rassegna stampa
Rassegna stampa #99
Rassegna stampa #99
Il controllo del peso durante la pandemia
La pandemia tuttora in corso ha modificato la vita di tutti, con numerose conseguenze negative sulla nostra salute fisica e psicologia. In particolare, persone con problemi di salute mentale sono maggiormente a rischio di sviluppare ulteriori problematiche legate alla pandemia; tra queste, comportamenti alimentari non corretti. Alcuni studi hanno evidenziato come la pandemia abbia contribuito all’insorgere di disturbi alimentari in persone che non avevano una storia clinica di questo tipo. Nonostante gli adolescenti e i giovani siano i più vulnerabili rispetto alle problematiche alimentari, solo pochi studi hanno indagato le conseguenze del COVID-19 su questi aspetti. Per cercare di fare luce sul tema, alcuni ricercatori hanno condotto uno studio su un campione molto ampio di ragazzi, di età compresa tra 14 e 24 anni. Il 40% di questi ha dichiarato di aver modificato le proprie abitudini alimentari al fine di controllare il proprio peso corporeo; tra questi, molti ragazzi hanno dichiarato di non essere comunque stati in grado di farlo e di non essere riusciti ad abbinare dell’attività fisica per il mantenimento del proprio peso. A questi numeri si aggiunge il fatto che circa un terzo dei partecipanti ha dichiarato di aver paura di cambiamenti del proprio corpo, così come un partecipante su due ha notato delle modifiche nei contenuti dei social media durante la pandemia, che hanno avuto l’effetto di promuovere maggiormente dei comportamenti orientati al controllo del peso corporeo. Nonostante ciò, una larga parte degli adolescenti ha dichiarato di aver avuto dei problemi in tal senso e di aver peggiorato le proprie abitudini alimentari e di aver diminuito l’attività fisica. Per concludere, questo studio ha messo in risalto un aspetto di un tema molto importante al giorno d’oggi: ovvero, le abitudini alimentari e l’obesità che, nei paesi occidentali, colpiscono un numero sempre maggiore di adolescenti; la pandemia, insieme alle restrizioni che ne sono derivate, ha sicuramente acuito questo tipo di problema in persone maggiormente a rischio, mentre non sono emerse grosse criticità in adolescenti che conducevano uno stile di vita maggiormente sano.
L’efficacia dell’EMDR nel trattamento dei disturbi psicologici derivanti dal COVID-19
Da quando è iniziata la pandemia da COVID-19, studiosi e ricercatori di discipline diverse hanno condotto moltissimi studi per comprendere meglio il fenomeno e le conseguenze fisiche e psicologiche. Ad esempio, è stato osservato come la quarantena e l’isolamento sociale abbiano delle conseguenze psicologiche a lungo termine, come ansia, paura, stress, irritabilità e depressione. Queste conseguenze risultano di gran lunga superiori in persone che hanno contratto il COVID-19 e che sono state ospedalizzate per questo motivo. L’EMDR si è da tempo dimostrata una terapia molto efficace per il trattamento di questa tipologia di problematiche; nonostante ciò, non ci sono studi che hanno indagato l’efficacia dell’EMDR in persone che hanno contratto il COVID-19 per il trattamento delle conseguenze psicologiche. A tal proposito, un team di ricercatori ha condotto uno studio su un piccolo gruppo di pazienti ricoverati a causa del COVID-19 effettuando un trattamento basato sull’EMDR. I risultati hanno mostrato come la terapia EMDR abbia determinato un miglioramento statisticamente significativo in tutte le variabili indagate, come ansia, depressione, paura e stress. Questi miglioramenti, assolutamente non trascurabili, sono stati osservati dopo soltanto quattro sedute di EMDR. In sintesi, questa ricerca evidenzia in maniera chiara e forte come l’EMDR si sia rivelato molto efficace e utile nel trattamento delle conseguenze psicologiche legate all’ospedalizzazione da COVID-19. L’efficacia dell’EMDR è stata ampiamente dimostrata nella letteratura scientifica nazionale e internazionale, ma questo studio ne amplia la portata anche per pazienti per i quali non c’era una solida letteratura scientifica a riguardo. L’utilizzo dell’EMDR appare dunque consigliato anche per il trattamento di patologie, quali il disturbo post-traumatico da stress, insorte dopo aver contratto il COVID-19, mettendo a disposizione dei professionisti una preziosa risorsa scientificamente fondata.
Il viso che ispira fiducia
La cooperazione è una tipologia di comportamento che permette ad entrambi gli attori in gioco di ottenere dei benefici; perché ciò avvenga è necessario che entrambe le parti in causa possano fidarsi l’una dell’altra; per questo motivo, l’identificazione di partner affidabili è un concetto chiave nelle interazioni sociali. Molti studi in letteratura si sono concentrati sui processi psicologici che permettono ad una persona di identificare altri di cui potersi fidare: numerosi di questi, si sono focalizzati su gli aspetti del viso. È possibile che si possa identificare quali siano le persone meritevoli di fiducia basandosi solo sull’aspetto del loro viso? Per cercare di rispondere a questa domanda, dei ricercatori hanno condotto uno studio su un ampio campione di partecipanti che doveva valutare l’affidabilità percepita di una persona vedendo solo una fotografia del volto. Inoltre, i ricercatori hanno modificato le foto originali sulla base di precedenti risultati presenti in letteratura. Lo studio ha mostrato come i volti delle foto modificate ottenessero un giudizio di affidabilità significativamente superiore rispetto alle foto originali, attestando la presenza di specifici tratti del volto in grado di modificare la percezione di affidabilità delle persone; questo è tato confermato dal fatto che i volti modificati in maniera opposta hanno ricevuto delle valutazioni significativamente peggiori rispetto ai volti delle foto originali. Nonostante ciò, l’accuratezza delle valutazioni effettuate, a prescindere dal fatto che si trattasse di foto originali o ritoccare, è risultata molto bassa: in particolare, la bontà delle scelte così condotte era inferiore rispetto a quella delle scelte condotte in maniera totalmente casuale. Per concludere, questo studio attesta la presenza di tratti caratteristici del volto la cui percezione influenza in maniera importante la valutazione di affidabilità dell’interlocutore, pur sapendo che valutazioni basate si questi aspetti non risultano precise. La conoscenza di questi meccanismi, quindi, potrebbe permetterci di modificare alcuni tratti del nostro viso al fine di migliorare la percezione di affidabilità che le altre persone hanno di noi!
Perché adottiamo comportamenti rischiosi?
Nella letteratura scientifica è ben chiaro il fatto che il comportamento rischioso è in larga parte determinato dalla percezione soggettiva di rischio: all’aumentare della percezione del rischio si una diminuzione di comportamenti rischiosi. Nonostante ciò, esistono numerose situazioni nelle quali ciò non è applicabile: ad esempio, quando non si ha un’esperienza tale da aiutarci nella valutazione della percezione del rischio; inoltre, numerosi studi mostrano come ci sia una tendenza a sottostimare i rischi soggettivi per noi stessi, anche in presenza di dati oggettivi legati al rischio di un determinato comportamento. In aggiunta a ciò, numerose variabili possono mediare tale relazione come i vantaggi derivanti dal compiere l’azione rischiosa, la propensione al rischio e l’impulsività; quest’ultima mostra associazioni molto forti con i comportamenti rischiosi, come l’abuso di sostanze e il gambling. Per cercare di spiegare in che modo l’impulsività possa influenzare sia i comportamenti rischiosi sia la percezione soggettiva del rischio, alcuni ricercatori hanno condotto uno studio su un campione di adulti di età compresa tra 18 e 60 anni. I risultati hanno mostrato come le donne abbiano una percezione del rischio significativamente maggiore degli uomini e una minor probabilità di compiere azioni rischiose. In linea con i precedenti studi, è stata osservata una relazione negativa statisticamente significativa tra impulsività e percezione di rischio e comportamenti di evitamento del rischio: in particolare, sembra che l’impulsività influenzi maggiormente quest’ultima variabile rispetto a quanto avviene con la percezione soggettiva del rischio; di particolare interesse il fatto che questo pattern appare stabile nei due generi: nonostante le donne tendano a comportarsi in maniera meno rischiosa degli uomini, l’influenza esercitata dall’impulsività pare la stessa. Infine, analisi di regressione multipla hanno mostrato come i comportamenti a rischio dipendano dalla percezione di rischio, dall’impulsività, dal genere e dall’età: in particolare, persone più giovani tendono a comportarsi in maniera più rischiosa degli altri. Per concludere, questo studio permette di identificare un prototipo della persona propensa ad attuare comportamenti rischiosi: maschio, giovane e impulsivo. Sulla base di ciò, quindi, in presenza di particolari situazioni è consigliabile andare ad indagare variabili quali la percezione soggettiva del rischio e l’impulsività al fine di poter mettere in atto dei comportamenti preventivi circa l’adozione di condotte rischiose.