QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

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numero 94 - febbraio 2022

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #94

Rassegna stampa #94

Credenze dei bambini sui prodotti di origine animale

Numerose evidenze dimostrano che il consumo da parte dell’uomo di prodotti di origine animale è una delle principali cause dei cambiamenti climatici. Per questo motivo, uno dei comportamenti più efficaci che è possibile adottare per mitigare il proprio impatto sull’ambiente è proprio la diminuzione o l’eliminazione dei prodotti animali dalla propria dieta, sostituendoli con prodotti di origine vegetale. Nonostante le evidenze scientifiche però, le persone si sono dimostrate spesso riluttanti a modificare la propria dieta, anche quando ben consapevoli della relazione esistente tra il consumo di carne e le ripercussioni in termini di cambiamenti al clima. Come mai questa resistenza tende a persistere? Per rispondere a questa domanda i ricercatori hanno strutturato uno studio il cui scopo era quello di andare ad indagare le convinzioni dei bambini sugli alimenti di origine animale. Quest’ultime possono offrire un nuovo punto di vista utile a comprendere meglio le resistenze degli adulti. Infatti, durante la prima infanzia, i bambini stanno ancora sviluppando una piena comprensione dei valori associati al consumo di carne nella loro cultura e, in aggiunta, potrebbero non aver accesso allo stesso insieme di strategie che gli adulti impiegano per attenuare il disagio generato dal consumo di carne. Per indagare ciò, sono stati proposti a 176 bambini di età compresa tra i 4 e i 7 anni due compiti indipendenti di smistamento di una serie di carte laminate raffiguranti immagini di vari prodotti alimentari (animali vs. vegetali; culturalmente accettabili vs. culturalmente non accettabili). Ai bambini è stato chiesto da un lato di discriminare se gli alimenti proposti provenissero da animali o piante e dall’altro se gli oggetti fossero commestibili o meno. I risultati mostrano una generale difficoltà dei bambini nella comprensione di base degli alimenti; in particolare, sono stati riscontrati alti tassi di errore per i cibi di origine animale, soprattutto nei bambini più piccoli. Allo stesso modo è stata riscontrata una certa difficoltà nel discriminare i cibi culturalmente accettabili da quelli non accettabili, con una particolare tendenza a classificare gli animali (a prescindere del loro status culturale) come fonte di cibo che “non va bene da mangiare”. I dati rilevati, quindi, ci aiutano a comprendere cosa i bambini conoscono dei processi di produzione, contribuendo a rafforzare la conclusione che questi dimostrano una fondamentale mancanza di consapevolezza di molti degli aspetti di produzione degli alimenti. In conclusione, evidenze simili possono essere utili per una riflessione legata all’importanza di instaurare già dalla prima infanzia abitudini virtuose che possano aiutare a mitigare i cambiamenti climatici.

Hahn, E. R., Gillogly, M., & Bradford, B. E. (2021). Children are unsuspecting meat eaters: An opportunity to address climate change. Journal of Environmental Psychology, 78, 101705.

 

L’importanza della resilienza: funzionamento psicologico e personalità durante la pandemia da Covid-19

La pandemia da Covid-19 ha trovato la maggior parte della popolazione mondiale impreparata, non solo in termini di minaccia per la salute e richieste ai diversi Sistemi Sanitari Nazionali, ma anche in termini di individui che si trovano costretti a misure di distanziamento sociale che hanno interrotto o modificato profondamente routine quotidiane, limitato la comunicazione interpersonale e limitato la disponibilità di servizi sociali di supporto. Dalla letteratura esistente è possibile notare come la ricerca sui fattori personali del processo di stress si è concentrata prevalentemente sugli stili di coping e altre modalità di adattamento come la resilienza, l’autoefficacia e la motivazione, considerati come fattori specifici del contesto e quindi correlati allo stress. Al contrario i tratti di personalità disposizionali sono stati studiati in modo meno esteso. Per questo motivo i ricercatori si sono posti di chiarire il meccanismo sottostante attraverso cui le dimensioni di base della personalità predicono gli indicatori del funzionamento psicologico degli individui durante la pandemia da COVID-19, considerando anche il benessere soggettivo e lo stress percepito. Per fare ciò, sono stati presi in considerazione 2.722 adulti sloveni di età compresa tra i 18 e gli 82 anni, ai quali è stato chiesto di compilare il Big Five Inventory, la Connor-Davidson Resilience Scale, la Perceived Stress Scale e il Mental Health Continuum. I risultati mostrano che la resilienza potrebbe rappresentare un meccanismo sottostante che spiega come i tratti fondamentali della personalità contribuiscono al funzionamento psicologico durante la pandemia da Covid-19. Infatti, come ipotizzato la resilienza ha mediato completamente o parzialmente la relazione con tutti i tratti dei Big Five. In altre parole, i Big Five “traducono” le tendenze comportamentali disposizionali, emotive e cognitive decontestualizzate e stabili in un adattamento caratteristico contestualizzato alla situazione stressante (resilienza), che modella il funzionamento psicologico dell’individuo. In particolare, una maggiore coscienziosità, una maggiore apertura, una minore gradevolezza e, soprattutto, un minore nevroticismo sembravano predisporre i soggetti a considerarsi competenti, determinati ad affrontare le avversità causate dalla pandemia Covid-19 e a percepire le avversità come gestibili, contribuendo così alla riduzione dello stress e all'aumento del benessere.
In conclusione, la resilienza può essere un importante fattore protettivo necessario per una risposta adattiva di un individuo ad una situazione stressante come, ad esempio, la pandemia o le misure di distanziamento sociale che ne sono conseguite.

Zager Kocjan, G., Kavčič, T., & Avsec, A. (2021). Resilience matters: Explaining the association between personality and psychological functioning during the COVID-19 pandemic. International Journal of Clinical and Health Psychology, 21(1), 100198.

 

Individuare i fattori di rischio per bambini inibiti in età prescolare

I disturbi d’ansia si caratterizzano come il problema di salute mentale più comunemente diffuso in età evolutiva, con tassi di prevalenza intorno al 30% entro i 18 anni. Nonostante in letteratura sia ben documentata l’efficacia dei trattamenti per l’ansia infantile, la ricerca sulla prevenzione di questi disturbi rimane relativamente limitata. I programmi di prevenzione risultano importanti in quanto gli individui soffrono di ansia per diversi anni prima di accedere al trattamento. Per quanto riguarda i bambini, è stato dimostrato che quelli che mostrano un temperamento comportamentale inibito durante la prima infanzia hanno un aumento del rischio di sviluppare successivamente disturbi d’ansia. Per questo motivo, nella presente ricerca, gli studiosi si sono posti l’obiettivo di esaminare l’efficacia di un programma di intervento precoce adattato dal programma The Cool Little Kid per rivolgerlo a bambini con comportamento inibito e ai fattori dell’ambiente familiare associati ad un aumento del rischio di sviluppare ansia. I partecipanti erano 86 bambini con comportamento inibito di età compresa tra i 41 e 57 mesi e le loro madri. La selezione dei bambini è avvenuta mediante la somministrazione di un questionario di screening per valutare il temperamento inibito che determinava o meno l’inclusione nel programma. I partecipanti poi sono stati assegnati casualmente ad un intervento basato su tecniche cognitivo-comportamentali o a una condizione di controllo in una lista di attesa di sei mesi. L’intervento consisteva in nove sessioni da un’ora per un periodo di 11 settimane condotte da personale qualificato. Sette sessioni richiedevano la partecipazione solo della madre, mentre due quella sia della madre sia del bambino. A conclusione dell’intervento, i risultati non hanno mostrato sostanziali differenze tra il gruppo di controllo e il gruppo sottoposto all'intervento. Al contrario, al follow-up il gruppo di intervento aveva un numero significativamente inferiore di bambini valutati dal medico di disturbi d’ansia e un minor numero di sintomi di ansia del bambino segnalati dalla madre rispetto alla baseline, ma questo cambiamento non era significativamente diverso dal cambiamento osservato nel gruppo di controllo della lista d’attesa. In conclusione, nel corso dello studio l’ansia è diminuita in tutti i bambini indipendentemente dal gruppo. Vengono discusse numerose potenziali ragioni per questo risultato insieme alle implicazioni per la ricerca e la pratica clinica, lasciando spazio ad ulteriori studi per indagare maggiormente l’efficacia di interventi di prevenzione per disturbi d’ansia in bambini inibiti.

Doyle, F. L., Dodd, H. F., Morris, T. M., Lazarus, R. S., Byrow, Y., & Hudson, J. L. (2021). Targeting risk factors for inhibited preschool children: An anxiety prevention program. Behaviour Research and Therapy, 147, 103982.

 

Come individuare i predittori dei livelli di preoccupazione e ruminazione durante l’adolescenza?

Il Covid-19 ha avuto un grande impatto sulla vita delle persone di tutto il mondo, comportando grandi cambiamenti come il distanziamento sociale e una didattica svolta a distanza. Questi cambiamenti hanno interessato in particolar modo la popolazione adolescente, richiedendo un approfondimento sui potenziali impatti sulla salute mentale. I sintomi d’ansia, in particolare la preoccupazione, sono molto importanti da analizzare in queste situazioni, data la costante copertura mediatica relativa ai tassi di infezione e mortalità associati alle preoccupazioni finanziarie ed educative incontrate da molte famiglie durante la pandemia. Dalla letteratura esistente, risulta che sia la qualità del sonno sia l’integrità della sostanza bianca siano associati ai sintomi di ansia e depressione, inclusa la preoccupazione. Per questo motivo, gli autori miravano ad indagare le associazioni tra qualità del sonno pre-Covid, integrità strutturale della sostanza bianca e livelli di preoccupazione e ruminazione sul Covid-19. Come parte di uno studio longitudinale più ampio iniziato precedentemente all’inizio della pandemia, i partecipanti sono sottoposti periodicamente ad una serie di test neuropsicologici e di neuroimaging. Sono stati selezionati 30 partecipanti adolescenti australiani, i quali avevano completato il Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI) e l'imaging del tensore di diffusione (DTI) prima della pandemia e in un momento successivo, hanno completato il PSQI e il COVID Worry Impact Questionnaire (CWIQ) un questionario di 9 voci progettato per misurare tre costrutti specifici, ovvero livello generale di preoccupazione, livello di preoccupazione specifica, ruminazione su Covid e sull'impatto percepito di Covid sulla salute e le finanze della famiglia. Questo questionario è stato somministrato a distanza durante il corso della pandemia. I risultati mostrano come la qualità del sonno era significativamente più scarsa durante il Covid rispetto al periodo pre-Covid. La latenza dell'inizio del sonno misurata pre-Covid era significativamente associata a preoccupazione e ruminazione Covid correlata. Mentre l'integrità strutturale di un certo numero di tratti di sostanza bianca (misurato pre-Covid) sono risultati significativamente associati a preoccupazioni specifiche per Covid e ruminazione. Questi risultati suggeriscono che gli adolescenti con scarsa qualità del sonno e l'integrità della sostanza bianca perturbata possono essere a rischio di una maggiore reattività a futuri eventi stressanti e gli interventi dovrebbero concentrarsi sul miglioramento della latenza dell'inizio del sonno.

Jamieson, D., Kannis-Dymand, L., Beaudequin, D. A., Schwenn, P., Shan, Z., McLoughlin, L. T., Lagopoulos, J., & Hermens, D. F. (2021). Can measures of sleep quality or white matter structural integrity predict level of worry or rumination in adolescents facing stressful situations? Lessons from the COVID-19 pandemic. Journal of Adolescence, 91, 110–118.