Rassegna stampa
Rassegna stampa #90
Rassegna stampa #90
Il ruolo del comportamento materno nel mediare la relazione tra status socioeconomico e attenzione condivisa (joint attention)
Da numerosi studi riportati in letteratura, emerge come lo status socioeconomico (SES) sia un forte predittore per lo sviluppo e il benessere del bambino: influenza non solo il suo sviluppo cerebrale, cognitivo e sociale, ma anche la sua salute fisica. Ma come avviene tutto ciò? Una risposta arriva dallo studio del comportamento genitoriale: alcune ricerche mostrano come genitori con status socioeconomico alto, messi a confronto con genitori con SES basso, mettano in atto con più facilità comportamenti stimolanti, emozioni positive e sensibilità nei confronti dei propri figli. Inoltre, sono state rilevate delle differenze anche durante le interazioni, in particolar modo quando genitori e bambino stabiliscono momenti di attenzione condivisa (joint attention), ovvero quando entrambi contemporaneamente focalizzano l’attenzione su un oggetto, un evento, un simbolo ecc. L’attenzione condivisa è un’importante forma di interazione genitore-bambino che funge da precursore in numerose funzioni cognitive, sociali e comunicative (es. linguaggio, teoria della mente, funzioni esecutive, intelligenza). Nonostante ciò, i fattori che influenzano la quantità e la qualità dell’attenzione condivisa sono sconosciuti. Per questo motivo, il presente studio si pone l’obiettivo di indagare, attraverso l’analisi dei comportamenti materni, se lo status socioeconomico predìca la formazione e il mantenimento di interazioni di attenzione condivisa in bambini di 12 mesi e nelle loro madri. Per fare ciò, 50 madri e i rispettivi bambini sono stati registrati durante una sessione di gioco libero della durata 5 minuti. Gli autori hanno successivamente codificato le interazioni madre-bambino e le caratteristiche dell’attenzione condivisa. I risultati mostrano come le madri con status socioeconomico alto si sono dimostrate maggiormente sensibili, stimolanti a livello cognitivo e hanno mostrato più emozioni positive. Inoltre, hanno speso maggior tempo durante la sessione di gioco in momenti di attenzione condivisa con il proprio bambino, dando vita ad interazioni più lunghe e di miglior qualità.
In conclusione, questo studio contribuisce alla letteratura rilevando come lo status socioeconomico abbia degli effetti indiretti sulle interazioni madre-bambino rispetto all’attenzione condivisa.
La crescita personale come risposta alla pandemia da COVID-19
I più recenti studi sugli impatti psicologici della pandemia da COVID-19, mettono in luce un considerevole aumento di distress emotivo nella popolazione: il 15-25% della popolazione generale riporta di aver fatto esperienza di ansia o stress in risposta al COVID-19. In generale, è possibile affermare che buona parte della popolazione durante la pandemia ha sperimentato un generale incremento dei livelli di stress. La pandemia COVID-19 ha quindi sicuramente avuto un impatto negativo diffuso, ma è possibile riscontrare in alcuni casi anche persone che riportano cambiamenti positivi nella propria vita (es. maggior soddisfazione per la propria vita, creazione di legami più stretti con gli altri). Questi ultimi vengono chiamati post-traumatic growth (PTG) e fanno riferimento al potere trasformativo della sofferenza. Infatti, lo sperimentare un evento stressante porta ad innescare un cambiamento psicologico, in termini di maggior apprezzamento di famiglia e amici, miglioramento delle proprie capacità di resilienza, miglioramento della spiritualità, maggiore confidenza nelle proprie capacità di gestire eventi avversi, maggiore apprezzamento per la vita e riconoscimento della possibilità di intraprendere nuove possibilità e percorsi nella propria vita. Poiché la pandemia è stata concettualizzata come potenziale fattore di stress, si ipotizza che molte persone abbiano potuto sperimentare anche dei cambiamenti positivi in seguito alle proprie esperienze durante la pandemia. Nella presente ricerca lo scopo è andare a valutare la crescita personale in persone che riportano alti livelli di stress correlato al COVID-19 e stimare se la crescita sperimentata è da considerarsi reale o illusoria (ovvero caratterizzata da strategie di coping disfunzionali che sfociano in alti livelli di stress). Ai partecipanti, adulti Canadesi e Statunitensi con alti livelli di stress correlati al COVID-19, è stato chiesto di rispondere ad alcune domande relative al post-traumatic growth (PTG), disabilità e stress sia a livello generico sia su quello relativo al COVID-19, inserite all’interno di uno studio longitudinale più ampio. I risultati mostrano che il 77% dei partecipanti ha riportato di esperire uno o più cambiamenti positivi nella propria vita come risultato della pandemia COVID-19: prevalentemente lo sviluppo di un maggiore apprezzamento per gli operatori sanitari, per il valore della propria vita, per amici e famiglia, maggiori sentimenti di gratitudine e fiducia in se stessi; in altri casi la crescita è legata a una maggiore volontà di esprimere le emozioni, a essere una persona più positiva, a trovare nuove opportunità e a stabilire un nuovo percorso di vita. Inoltre, dai dati sono emersi due principali cluster: da un lato coloro che hanno sperimentato una reale crescita personale, dall’altro coloro che sperimentano una crescita illusoria. I due non differiscono dal punto di vista della desiderabilità sociale, ma il cluster di crescita illusoria riportava valori associati ad un incremento dell’abuso di alcolici in concomitanza con la pandemia. In conclusione, le evidenze raccolte in questa ricerca portano a suggerire che la crescita personale, che è possibile sperimentare in concomitanza ad eventi stressanti come la pandemia COVID-19, non sempre corrisponde ad una crescita reale, ma può essere anche illusoria. Questi dati hanno importanti implicazioni per lo sviluppo di strategie per incrementare la resilienza in situazioni stressanti e traumatiche, nonché per lo studio del fenomeno del post-traumatic growth (PTG), in eventi traumatici quali le emergenze sanitarie.
Considerazioni per lo studio dell’effetto dei cannabinoidi sull’ansia
La ricerca continua ad accumulare evidenze scientifiche che suggeriscono il potenziale dei cannabinoidi (CBD) nel trattamento dell’ansia. La Cannabis Sativa, è una pianta della famiglia delle Cannabaceae, le quali contengono centinaia di molecole conosciute anche come fitocannabinoidi, le quali hanno ricevuto numerose attenzioni per le loro potenziali proprietà terapeutiche. Tra queste ricordiamo il THC, il fitocannabinoide più studiato, che ha degli effetti psicoattivi come euforia, ansia, aumento delle energie a seconda della sua concentrazione. Un altro fitocannabinoide che sta riscuotendo interesse per le sue proprietà è il CBD, che sembrerebbe ridurre lo stress e l’ansia. Nonostante ciò, condurre ricerche sugli effetti del CBD è complicato, non solo dal punto di vista legislativo, che pone differenze da paese a paese, ma anche dal punto di vista metodologico: infatti, differenti procedimenti metodologici potrebbero portare a risultati differenti.
Allo stesso modo anche la ricerca sull’ansia è complessa: infatti il termine “ansia” è utilizzato per descrivere una varietà di esperienze emotive e diagnosi cliniche. Concettualizzare e operazionalizzare il costrutto di ansia richiede considerazioni attente e la consapevolezza della lunga tradizione di studi sull’ansia e stati correlati. In letteratura troviamo numerosi studi sugli effetti della CBD e studi sull’ansia, ma non studi che combinino le due cose. Lo scopo del seguente articolo è stilare una serie di considerazioni utili per coloro che vogliano creare dei progetti di ricerca che vadano ad analizzare l’effetto ansiolitico della CBD tra gli adulti.
Le sfide relative alla progettazione dello studio, ai metodi e alla sicurezza possono essere superate tramite un'attenta e sofisticata pianificazione dello studio. Inoltre, un'adeguata presentazione e interpretazione dei risultati è fondamentale per far progredire questo campo di ricerca. I ricercatori dovrebbero seguire delle buone pratiche di ricerca (ad esempio descrizione completa del metodo per consentire la replica, rendendo i dati disponibili pubblicamente) e interpretare i risultati in un’ottica di possibile generalizzazione, anche per quanto riguarda il campione di studio, il programma di dosaggio e la misurazione dell'ansia. In conclusione, secondo gli autori, perseguire ulteriori ricerche con CBD e altri fitocannabinoidi ha un significativo potenziale di miglioramento della nostra comprensione dell'uso globale e diffuso di CBD e cannabis, nonché delle potenziali applicazioni per aiutare milioni di persone a gestire l'ansia.
Processare le informazioni di esclusione sociale
L'esclusione dal gruppo dei pari è un'esperienza comune tra bambini e adolescenti. Ricerche in letteratura hanno mostrato una maggiore sensibilità all'esclusione sociale durante la tarda infanzia e la prima adolescenza a causa dell'importanza attribuita al gruppo dei pari durante queste fasi di sviluppo. Anche brevi e singoli episodi di esclusione sociale inducono sentimenti negativi, come la rabbia, che a loro volta aumentano la probabilità di generare risposte aggressive. Un'indagine sull'elaborazione delle informazioni sociali dei bambini può spiegare come questi elaborino le situazioni sociali che incontrano, in particolare quelle che possono innescare conflitti e rifiuto. Gli autori si sono posti l’obiettivo di utilizzare un approccio integrativo allo studio dello sviluppo morale e della cognizione sociale, costrutti che ad oggi sono stati connessi solo a livello teorico, ma non indagati empiricamente. Per collegare la ricerca in questi due ambiti, sono state prese in esame le associazioni tra elaborazione delle informazioni sociali, bullismo, senso di colpa e disimpegno morale in situazioni di esclusione sociale, attingendo a due quadri teorici: da un lato la Social Information Processing theory (SIP; Crick & Dodge, 1994), dall’altro la Social Cognitive Theory of Moral Agency (Bandura, 1999). Più specificamente, questo studio mira a comprendere il ruolo moderatore del bullismo, del disimpegno morale e del senso di colpa in relazione all'elaborazione dei segnali di esclusione sociale durante l'indagine dell’attribuzione di intenti ostili, della selezione di obiettivi antisociali e della generazione di risposte aggressive, in bambini e preadolescenti. I risultati suggeriscono che la selezione di obiettivi antisociali e la generazione di risposte aggressive sono positivamente correlati tra loro. Inoltre, i risultati dell'analisi della mediazione hanno mostrato che l'attribuzione di intenti ostili ha avuto un effetto indiretto sulla generazione di risposte aggressive attraverso la selezione di obiettivi antisociali. Sulla base del disegno di questo studio, non è possibile dedurre la causalità; tuttavia, il collegamento tra questi passaggi indica che i bambini e gli adolescenti che credevano di essere stati esclusi di proposito avevano anche maggiori probabilità di pianificare la vendetta, il che, a sua volta, porta a vedere le risposte aggressive come una possibile risposta agli stimoli di esclusione sociale. Questi risultati confermano la natura sequenziale teoricamente postulata dell'elaborazione dell'informazione sociale. Trattare il bullismo come un moderatore dell'associazione tra i diversi passaggi dell’elaborazione dell’informazione sociale aggiunge nuove e importanti conoscenze alla nostra comprensione dell’elaborazione di situazioni di esclusione sociale ambigue.