Rassegna stampa
Rassegna stampa #9
Rassegna stampa #9
Perché i giocatori continuano a giocare nonostante le conseguenze negative?
Uno dei pochi settori che non risente della perdurante crisi economica è il gioco d’azzardo: negli ultimi anni si è assistito ad una crescita esponenziale di giochi, lotterie e concorsi vari sottovalutando l’impatto che questi hanno in molte persone. Infatti, allo stesso tempo sono aumentate le persone che hanno sviluppato la patologia di dipendenza dal gioco d’azzardo. La complessità di questa patologia, e la resistenza delle persone coinvolte, è data anche dal fatto che il conoscere e l’aver sperimentato delle conseguenze negative derivanti dal gioco non è sufficiente a ridurre quest’abitudine nei giocatori in quanto queste persone tendono a non associare gli effetti negativi alla causa scatenante. Con l’obiettivo di comprendere meglio questo fenomeno, alcuni ricercatori belgi hanno messo a punto uno studio condotto su 25 adulti giocatori d’azzardo patologici e su altrettanti adulti senza lo stesso problema. I risultati hanno messo in luce come si abbiano delle differenze statisticamente significative per quel che riguarda le associazioni implicite positive mentre tale pattern non è stato riscontrato in merito alle associazioni implicite negative: in altre parole, i giocatori sono maggiormente portati ad associare al gioco d’azzardo delle caratteristiche positive ma, allo stesso tempo, non associano in misura minore degli altri delle caratteristiche negative. Ciò, quindi, conferma l’ipotesi che i giocatori non elaborino le informazioni negative associate al gioco e/o non riescano a trovare il nesso che lega queste variabili. Per quel che concerne le conseguenze del gioco, sono state rilevate differenze significative in merito alla depressione e all’ansia, sia di stato che di tratto: ovvero, i giocatori d’azzardo hanno dei livelli più elevati delle altre persone in entrambe le variabili analizzate. Per concludere, questo lavoro fornisce degli spunti importanti soprattutto in merito alla spiegazione dei meccanismi soggiacenti il gioco d’azzardo in modo tale da contribuire ad un miglioramento dell’efficacia del trattamento della patologia derivante che, purtroppo, sembra non conoscere freno.
La manipolazione del ricordo è possibile
Nella letteratura scientifica nazionale ed internazionale si ha un sostanziale accordo in merito al fatto che la memoria non è stabile o indelebile ma piuttosto è malleabile e soggetta a modificazioni nel corso del tempo. Nonostante ci siano moltissime cause per queste mutazioni, un fenomeno molto studiato è quello relativo all’effetto delle false informazioni (misinformation effect); questo effetto riguarda il fatto che esporre le persone ad informazioni false provoca dei cambiamenti nel ricordo di quanto realmente accaduto. La pervasività di tale effetto è molto alta tanto che le persone possono ricordare erroneamente colori, visi di persone e addirittura fatti non realmente accaduti; inoltre, ciò accade non solo per episodi lontani nel tempo ma anche per ricordi di fatti accaduti recentemente e anche molto importanti, stressanti e personalmente rilevanti. Allo scopo di indagare questo fenomeno un pool di ricercatori statunitensi ha condotto uno studio su un ampio campione di militari che hanno ricevuto una formazione professionale specifica per resistere all’esposizione verso informazioni false, tendenziose o di propaganda. In maniera sorprendente i risultati evidenziano la presenza del misinformation effect anche in questo tipo di persone: dal momento che sono stati registrati dei ricordi errati, dopo la manipolazione indotta dagli sperimentatori, in molti militari: in particolare, circa il 30% dei rispondenti aveva dei ricordi erronei in merito ad oggetti presenti nel fatto da ricordare e ben l’80% delle persone non era in grado di identificare il volto delle persone coinvolte nella storia. Concludendo, questo lavoro attesta la potenza della mente umana nel modificare i ricordi di fatti a cui la persona ha assistito anche in individui che per ragioni professionali dovrebbero essere maggiormente resistenti a tali modificazioni, con forti implicazioni in numerosi rami della psicologia, prima tra tutte, ovviamente, la psicologia giuridica.
La famiglia di un militare vista da un figlio adolescente
Negli ultimi anni, solo negli Stati Uniti circa 800.000 bambini hanno vissuto con un padre impegnato in qualche missione miliare all’estero. Allo stesso tempo, si è sviluppato un ampio filone di ricerca in merito alle conseguenza che ciò ha sui figli adolescenti: ad esempio, è stato attestato come l’assenza di un genitore impegnato in missioni all’estero aumenti nell’adolescente, tra gli altri, la rabbia, l’ansia e la probabilità di avere problemi scolastici. Inoltre, è stato dimostrato come il supporto dei pari e della famiglia riescano a mediare questi effetti. Un problema in tal senso è dato dal fatto che gli adolescenti in genere valutano la proprio famiglia in modo maggiormente negativo rispetto ai propri genitori e grandi discrepanze in queste valutazioni possono portare, oltre ad un aumento dei conflitti familiari, sintomi depressivi e calo dell’autostima. Queste discrepanze sembrano aumentare nei periodi maggiormente stressanti. Partendo da queste premesse due studiosi americani hanno indagato le discrepanze nella valutazione della propria famiglia tra adolescenti e genitori con esperienze di lontananza causate da partecipazioni a missioni militari. Come primo risultato è emerso come nelle valutazioni non ci siano differenze legate al genere, mentre per quel che concerne gli episodi di rabbia gli adolescenti più grandi hanno mostrato una maggior frequenza rispetto a quelli più giovani. Analogamente a quanto avviene negli adolescenti di famiglie senza esperienze di questo tipo, le valutazioni in merito al funzionamento della famiglia e al supporto sociale fornito dalla famiglia sono maggiori nei genitori rispetto a quelle dei ragazzi stessi. Di maggiore interesse il risultato relativo alla storia di lontananza: le discrepanze, infatti, diminuiscono nelle famiglie dove ci sono stati due o più momenti di lontananza dovuti a missioni estere rispetto alle famiglie dove è in corso il primo episodio. Per quel che concerne gli episodi di rabbia negli adolescenti è stata registrata una differenza statisticamente significativa tra la percezione di frequenza di tali episodi nei ragazzi e nei loro genitori: in altri termini, i genitori percepiscono un numero minore di episodi di rabbia avuti dai loro figli rispetto alle relative autopercezioni. In sintesi, questo studio mette in luce un problema trasversale, ma comunque di primario interesse, relativo ai figli dei militari impegnati in missioni estere; la sua centralità è, purtroppo, dettata dall’attuale momento storico poiché che il numero di queste famiglie è in costante aumento anche in Italia.
Il consumo di cocaina nelle donne incinte: gli effetti sui figli adolescenti
L’utilizzo di sostanze come la marijuana o l’alcool negli adolescenti è un fenomeno in costante crescita, tanto che ne fanno uso dal 30% al 50% degli adolescenti; i rischi connessi all’uso di sostanze, purtroppo, sono ben conosciuti e dimostrati e aumentano se il consumatore è adolescente: ad esempio, l’uso di sostanze in questa delicata fase è connesso anche con problemi di delinquenza e con l’abbandono scolastico. Allo stesso modo, sono noti i problemi derivanti dall’utilizzo di sostanza da parte delle donne incinte; meno evidente, invece, è l’elevata percentuale di donne in gravidanza che consumano cocaina: infatti, è stato stimato come circa il 10% delle donne incinte faccia uso di questa sostanza. Nonostante ciò, sono pochi gli studi, e dagli esiti contraddittori, che hanno indagato l’effetto dell’utilizzo di cocaina delle donne in gravidanza sui futuri figli adolescenti. A tale scopo, un gruppo di ricercatori ha condotto uno studio su circa 300 donne incinte, il 20% delle quali facenti uso di cocaina. Innanzitutto è emerso come solo il 7% delle donne che facevano uso di cocaina durante il primo trimestre di gravidanza ha continuato ad usare la stessa sostanza nel semestre successivo; inoltre, tale sottogruppo di donne faceva anche maggiore uso di alcol, tabacco e marijuana. I risultati hanno evidenziato delle differenze significative nel consumo di marijuana tra adolescenti figli di donne che facevano uso di cocaina e adolescenti le cui madri non ne facevano uso: in particolare, a 13 anni il 20% di ragazzi del primo gruppo faceva uso di marijuana, contro il 10% del gruppo di controllo, e tale percentuale saliva al 40% a 15 anni, contro il 16% dell’altro gruppo di ragazzi. Un pattern simile è stato riscontrato anche in merito all’uso di alcol con percentuali leggermente maggiori in entrambi i gruppi. A differenza di ciò, non sono state riscontrate associazioni con l’uso di tabacco. Per concludere, questo lavoro mette in luce un aspetto spesso poco studiato dell’utilizzo di droghe, in particolare della cocaina, da parte di donne in gravidanza: oltre ai problemi già noti che con maggior probabilità affliggeranno i figli, come ad esempio delle mutazioni nelle funzioni esecutive, è anche più probabile che gli stessi diventino a loro volta consumatori, con tutti i problemi ad esso associati.