Rassegna stampa
Rassegna stampa #82
Rassegna stampa #82
La discriminazione razziale toglie il sonno
Tra le tante problematiche di salute di questo periodo storico, c’è anche quella legata ai disturbi del sonno. L’incidenza di questi disturbi non è la stessa in tutti i paesi e varia in base anche ad altri fattori: ad esempio, numerosi studi hanno evidenziato come le persone appartenenti a minoranze etniche soffrano maggiormente di questa tipologia di disturbi, in particolare l’insonnia. Per meglio comprendere le cause di queste differenze un team di ricercatori ha condotto uno studio che analizza numerose variabili, come la discriminazione razziale percepita in un ampio campione di persone residenti nella città di Detroit. I risultati hanno evidenziato come l’indice di gravità dell’insonnia è maggiore nelle persone di colore. Allo stesso tempo, in linea con le ipotesi, queste persone hanno riportato un numero significativamente superiore di episodi di discriminazione razziale. Le analisi di regressione multipla hanno permesso di identificare altre variabili in grado di spiegare il maggior livello di insonnia: è emerso come la scolarità sia un predittore di questa problematica, evidenziando come al crescere del titolo di studio aumenti la probabilità, nelle persone appartenenti ad una minoranza razziale, di sviluppare insonnia. A prescindere da ciò, la discriminazione razziale percepita era comunque in grado di spiegare il 60% della varianza dell’indice di severità dell’insonnia, anche controllando per le altre variabili presenti nel modello. In sintesi, questo studio mette in luce un problema spesso sottovalutato: ovvero, i disturbi del sonno in persone appartenenti ad una minoranza. In particolare, nel caso specifico degli Stati Uniti, tra le tante conseguenze negative per le persone che si sentono discriminate a causa del colore della pelle si ha anche l’insonnia, con tutte le ripercussioni che la stessa può avere sulla qualità della vita.
Le conseguenze psicologiche della positività al coronavirus
La pandemia attualmente in corso ha causato migliaia di morti in tutto il Mondo, e ha modificato in maniera molto forte le nostre abitudini quotidiane, sia nelle persone che hanno contratto il virus che nelle altre persone. Tra coloro che sono risultati positivi al coronavirus, la maggior parte è risultata asintomatica: nonostante ciò, ha dovuto osservare un periodo di quarantena, dalla durata molto diversa ma di almeno 14 giorni, al fine di non diffondere ulteriormente il virus. Dal momento che questa pandemia è molto recente, sono stati condotti molti pochi studi psicologici in merito; tra questi, si inserisce un lavoro di tre studiosi che ha l’obiettivo di capire quali potessero essere le conseguenze psicologiche della quarantena in persone positive al COVID-19 ma asintomatiche. A tal proposito hanno somministrato una batteria di test psicologi per la valutazione di depressione, ansia e stress a 380 persone sottoposte a questa misura preventiva. I risultati hanno evidenziato come il 23% delle persone avesse sviluppato dei leggeri sintomi di depressione, e il 18% dei sintomi più seri, che diventavano importanti in 8 persone su 100. Per quanto riguarda l’ansia, 14 persone su 100 hanno mostrato dei sintomi importanti, il 15% dei sintomi moderati e il 10% dei lievi sintomi. In merito allo stress, il 47% delle persone mostrava dei sintomi importanti, il 22% dei sintomi moderati, il 7% dei sintomi lievi e solo il 24% non presentava alcun sintomo. Inoltre, l’analisi correlazionale ha evidenziato un’associazione molto forte tra ansia e depressione attestando come le persone che sviluppavano problematiche legate ad una delle due variabili avevano un’elevata probabilità di sviluppare problematiche anche nell’altra; le relazioni che legavano la depressione e l’ansia allo stress erano inferiori, seppur statisticamente significative. Per concludere, questo studio preliminare ha evidenziato come l’essere positivi al COVID-19, seppur asintomatici, causi delle problematiche psicologiche connesse al periodo di quarantena: in particolare, queste conseguenze sembrano essere più importanti sul versante relativo allo stress, rispetto a quanto evidenziato per ansia e depressione anche se, in questi casi, solo una persona su due non ha riportato sintomi ascrivibili dopo il periodo di quarantena. Alla luce di ciò, quindi, appare veramente necessario attivare dei servizi di controllo e support psicologico alle persone positive al coronavirus, a prescindere dal fatto che abbiano sviluppato dei sintomi specifici della malattia.
Vivere in maniera armoniosa con la natura aumenta il benessere psicologico
Il modo in cui le persone si relazionano alla natura varia molto ed è legato a numerosi costrutti psicologici, quali benessere, vitalità e soddisfazione per la propria vita. Inoltre, questi aspetti acquistano ancora maggior rilevanza nel bel mezzo di una pandemia: infatti, è emerso come l’armonia di una persona con la natura sia positivamente associata al proprio benessere psicologico durante il COVID-19, fungendo da fattore di protezione circa le ripercussioni che questa pandemia ha sulla nostra salute mentale. Queste evidenze, però, sono supportate solo da una parte della letteratura scientifica: per questo motivo, dei ricercatori hanno condotto uno studio per comprendere meglio il ruolo protettivo della visione positiva della natura circa le conseguenze psicologiche del coronavirus, in un ampio campione di persone divise tra Stati Uniti e Giappone. In linea con le ipotesi, i risultati hanno mostrato come la pandemia abbia avuto un impatto negativo sulle sfere personali, lavorative ed economiche, sia in Giappone che negli Stati Uniti. Di maggior interesse i risultati in merito all’inserimento della variabile chiamata vivere in armonia con la natura: le regressioni multiple condotte hanno infatti mostrato come questa sia un predittore di tutti costrutti psicologici indagati; in particolare, vivere in maniera maggiormente armoniosa con la natura riduceva le possibilità di sviluppare sintomi stressanti e aumentavano il benessere psicologico delle persone. Questo studio condotto in piena emergenza da coronavirus ha il merito di aver posto l’accento su un tema molto dibattuto, ma raramente messo in relazione con il benessere psicologico: ovvero, il vivere in maniera armoniosa con la natura. Questo stile di vita ha mostrato di offrire benefici psicologici alle persone anche in periodo storico dove il benessere psico fisico è messo a dura prova.
Quali sono gli aspetti dell’apertura mentale che incidono sulla performance accademica?
All’interno del modello di personalità dei Big Five, il più utilizzato al mondo, i due fattori che più frequentemente vengono associati alla performance accademica sono la Coscienziosità e l’Apertura: in particolare, mentre si hanno numerosi studi che confermano l’impatto della Coscienziosità solo pochi lavori si sono focalizzati sull’Apertura. Per questo motivo, un ricercatore svizzero ha condotto uno studio su 424 studenti universitari per indagare l’effettiva presenza di una relazione tra apertura e performance accademica, cercando di capire il contributo e i meccanismi sottostanti a tale relazione. Per quanto concerne la Coscienziosità, i risultati di questo studio hanno confermato quanto emerso nella letteratura scientifica: ovvero, una correlazione positiva e statisticamente significativa con la performance accademica. In merito al reale obiettivo di questo lavoro, ovvero l’indagine in merito alla relazione tra performance accademica e apertura, l’autore pone innanzitutto una distinzione in merito all’apertura mentale distinguendola tra ricerca di stimoli intellettuali e ricerca di stimoli attraverso l’arte e l’immaginazione. Mentre la prima sfaccettatura mostrava delle correlazioni positive con la performance accademica, la seconda non presentava la stessa associazione tanto da risultare statisticamente indipendente alla performance scolastica. La significatività della relazione tra apertura “intellettuale” e performance accademica veniva confermata anche attraverso delle analisi multivariate che permettevano di controllare l’influenza delle altre variabili, potenzialmente intervenienti, su tale relazione. Per concludere, questo lavoro attesta come il macrofattore dell’Apertura sia positivamente associato alla performance accademica: in particolare, è emerso come l’aspetto dell’apertura maggiormente implicato in questa relazione sia la ricerca di stimoli intellettuali piuttosto che estetici ed artistici che, al contrario, non sembrano avere alcuna influenza sulla performance accademica.