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numero 8 - maggio 2013

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #8

Rassegna stampa #8

Il livello di scolarizzazione e la salute: cosa influisce su cosa?

Nella letteratura scientifica nazionale ed internazionale è stata ampiamente documentata un’associazione tra lo stato di salute delle persone adulte ed il livello di scolarizzazione: in base a ciò, è stato dimostrato come quest’ultimo incida sulla salute della persona in età adulta. Nonostante ciò, non è stata adeguatamente indagata la direzione di tale relazione: in altri termini, è lo stato di salute ad incidere sulla scolarizzazione o è quest’ultima a determinare in qualche modo il livello di salute della persona? Per cercare di rispondere a questa domanda, in modo tale da meglio comprendere le ragioni di un fenomeno sociale molto vasto e di ovvia rilevanza, due ricercatori statunitensi hanno messo a punto uno studio longitudinale di enormi proporzioni: infatti, gli studiosi hanno analizzato per periodo di dieci anni un campione composto da più di 70.000 persone che all’inizio della ricerca avevano un’età compresa tra i 5 e i 14 anni. I risultati di questo studio hanno evidenziato come allo stato di salute del bambino o dell’adolescente si associ una diversa probabilità di portare a termine il percorso di studi: in particolare, è emerso come i bambini, o gli adolescenti, con problemi di salute abbiano una minore probabilità di avere successo scolastico e di portare a compimento il relativo percorso formativo. Inoltre, gli stessi autori hanno cercato di fornire delle spiegazioni di tale associazione: ad esempio, una possibile ipotesi interpretativa riguarda il fatto che i bambini con problemi di salute abbiano meno possibilità di seguire in modo continuativo la scuola, abbiano minori possibilità di socializzazione, sia con gli insegnanti che con i pari come ad esempio partecipando a gruppi sportivi. Ciò sembrerebbe in qualche modo incidere in maniera negativa sulla relativa performance scolastica e accademica. In sintesi, il merito principale di questo lavoro, oltre ad un elevato rigore metodologico, è quello di aver rovesciato il nesso causale che si è soliti attribuire tra le due variabili: ovvero, non è solo il grado di scolarizzazione a determinare differenze nella salute delle persone ma è anche lo stato di salute del ragazzo ad influire sulla performance scolastica e accademica.

Lê, G., Roux A. D. & Morgenstern, H. (2013). Effects of child and adolescent health on educational progress. Social Science & Medicine, 76, 57-66. 

 

Il suicidio nei bambini autistici

I bambini autistici presentano un rischio maggiore degli altri bambini di avere anche altri problemi non direttamente connessi alla diagnosi di autismo come ad esempio la depressione, l’ansia, l’aggressività, l’irritabilità ed avere comportamenti aggressivi contro se stessi. Nonostante quindi la depressione sia molto comune nei bambini autistici non ci sono studi che abbiano indagato la relazione tra autismo e comportamenti suicidari, pur esistendo una chiara relazione tra questi e la depressione. A tale scopo un gruppo di ricercatori americani hanno condotto uno studio su un ampio gruppo di bambini autistici, sia ad alto funzionamento che a basso funzionamento, oltre che su un gruppo di bambini con diagnosi di depressione e su un gruppo di controllo. I risultati hanno evidenziato come il circa il 15% dei bambini autistici abbia avuto un passato di ideazione suicidaria, se non di tentativi veri e proprio di suicidio: questa percentuale è 28 volte maggiore di quella che si ha nei bambini del gruppo di controllo ma, allo steso tempo, è tre volte inferiore a quella registrata nel gruppo di bambini con diagnosi di depressione. Oltre a ciò, è emerso come il rischio di suicidio sia maggiore nei bambini con autismo di sesso maschile rispetto alle femmine, e nei bambini autistici provenienti da minoranze etniche. Invece, non sono state registrate differenze significative tra autistici ad alto funzionamento e autistici a basso funzionamento, così come non sono state riscontrate differenze in funzione dello status socio-economico di provenienza. Infine, per cercare di comprendere meglio le ragioni di tali differenze è emerso come la depressione sia il predittore maggiore dell’ideazione suicidaria nei bambini affetti da autismo. Per concludere, quindi, questo lavoro risulta particolarmente utile sia a fini di ricerca scientifica che di applicazione clinica dal momento che ha chiaramente messo in luce come nel trattamento dei bambini autistici si debba sempre tener presente come in questi casi ci sia un maggiore rischio di suicidio soprattutto in presenza di elevata depressione, variabile sulla quale bisognerebbe lavorare al fine di ridurre questo concreto e pericoloso rischio.

Mayes, S. D., Gorman, A. A., Hillwig-Garcia, J & Syed, E. (2013). Suicide ideation and attempts in children with autism. Research in Autism Spectrum Disorders, 7, 109-119. 

 

Le funzioni esecutive nelle persone con sindrome di Down

La sindrome di Down è una patologia genetica che, solo negli Stati Uniti, colpisce circa 6.000 bambini ogni anno: anche da qui scaturisce la rilevanza che hanno gli studi che cercano di comprendere meglio il problema e i suoi correlati in modo tale da provare a garantire condizioni migliori per le persone con questa sindrome. Ad esempio, alcuni studi hanno esaminato le funzioni esecutive nelle persone Down osservando come ci sia un peggioramento per quel che concerne memoria di lavoro, pianificazione e capacità di mantenere l’attenzione. Uno di questi è stato condotto da un gruppo di ricercatori italiano dell’Università di Padova. I risultati hanno dapprima confermato come le persone Down abbiano una minore memoria di lavoro delle altre persone. Ciò che ha maggiore rilevanza riguarda i meccanismi di inibizione che gli autori hanno concettualizzato non come un meccanismo unico e generale, ma scomposto in tre differenti componenti. Senza entrare nel merito che esula dagli scopi di questa breve recensione, da questo lavoro è possibile concludere come le persone Down abbiano uno svantaggio anche per quel che concerne i meccanismi di inibizione tanto che gli autori parlano di generale deficit inibitorio. Come sottolineano gli stessi autori, questo studio vuole fornire un contributo per la spiegazione di un fenomeno molto ampio e importante che deve essere ulteriormente approfondito; nonostante ciò, il merito principale di questo lavoro è l’aver allargato lo prospettive di studio ad un altro settore della psicologia che potrà fornire importanti contributi per il trattamento, oltre che  per la comprensione, della sindrome di Down.

Borella, E., Carretti, B. & Lanfranchi, S. (2013). Inhibitory mechanism in Down syndrome: Is there a specific or general deficit? Research in Developmental Disabilities, 34, 65-71. 

 

L’ottimismo attenua il dolore

Numerosi studi scientifici hanno dimostrato come l’ottimismo sia connesso a migliori condizioni fisiche e psicologiche, soprattutto nei momenti più difficili. Nonostante il sostanziale accordo in relazione a ciò, non sono del tutto chiari almeno due aspetti: la direzione della relazione, ovvero se è l’ottimismo a condizionare la salute delle persone o se è il benessere a favorire una visione ottimistica, e i meccanismi soggiacenti tale relazione. A tale scopo un pool di studiosi ha condotto una ricerca su un campione di studenti universitari olandesi. I risultati di questo studio hanno messo in evidenza, innanzitutto, come non ci siano differenze significative nei livelli di ottimismo in base al genere e all’età dei partecipanti. Inoltre, ciò che maggiormente interessa di questa ricerca, e che ha grande rilevanza applicativa, riguarda il fatto che è stata attestata una direzione causale: ovvero, è l’ottimismo ad essere la causa diretta del maggior benessere. Per quanto concerne i meccanismi sottostanti questa relazione sono state prese in considerazione due diverse ipotesi e i risultati sono molto interessanti; infatti, sembra che alla base del nesso che lega l’ottimismo ad una minore percezione del dolore sia il fatto che le persone ottimiste tendono a non processare informazioni negative e a concentrarsi maggiormente sulle informazioni positive. A differenza di ciò, l’ottimismo non influisce sulle aspettative di dolore: infatti, avere delle aspettative migliori determina una minor sofferenza ma, al tempo stesso, l’ottimismo non influisce direttamente sulle aspettative delle persone. In sintesi, questo studio fornisce scientificità a quella che forse, era una speranza da tempo: essere ottimisti nei momenti in cui tutto sembra andare storto può realmente migliorare l’evolversi della situazione!

Hanssen, M. M., Peters, M. L., Vlaeyen, J. W. S., Meevissen, Y. M. C. & Vancleef, L. M. G. (2013). Optimism lowers pain: Evidence of the causal status and underlying mechanisms. PAIN®, 154, 53-38.