Rassegna stampa
Rassegna stampa #76
Rassegna stampa #76
In che modo la fiducia delle persone può aiutarci a contenere il coronavirus
Come tutti ben sappiamo, i comportamenti umani influenzano fortemente la trasmissione del coronavirus: il rispetto delle misure adottate dalle autorità è, quindi, una componente chiave per la gestione del rischio di contagio da COVID-19. Numerosi studi hanno dimostrato come le modalità comunicative delle autorità influenzano in larga parte i comportamenti delle persone circa il rispetto delle direttive imposte. All’interno di un contesto di gestione del rischio, come quello che stiamo vivendo, la fiducia verso le istituzioni è un fattore chiave, e aumenta di importanza nelle situazioni in cui le persone non hanno le conoscenze per interpretare le informazioni a disposizione. Per questo motivo, numerosi studi incoraggiano le autorità a trattare le informazioni circa la pandemia in maniera trasparente, così da informare la popolazione ad aumentare il grado di fiducia delle persone: in questo modo, si ottiene anche una maggior probabilità che le persone mettano in atto comportamenti in linea con le disposizioni atte al contenimento della pandemia stessa. Per capire come aumentare la cooperazione delle persone in questi contesti, sono stati proposti diversi modelli teorici; il modello TCC prevede che la cooperazione sia influenzata sia dalla fiducia delle persone verso le autorità che dal grado di percezione soggettiva del rischio: all’aumentare della fiducia e del grado di vulnerabilità personale si ha un maggior rispetto delle direttive imposte dall’autorità. Nonostante ciò, alcuni ricercatori hanno evidenziato come il ruolo della fiducia verso le istituzioni sia più importante rispetto a quello della vulnerabilità personale. In questo contesto il ruolo degli esperti è cruciale: infatti, numerosi studi attestano come le persone si fidino maggiormente degli esperti del settore, piuttosto che dei politici. Alla luce di questa rassegna, quindi, emerge la necessità di comunicare in maniera trasparente alla popolazione i rischi e la situazione in essere rispetto alla pandemia e ai comportamenti da mettere in atto; così come, appare giustificato l’ampio ricorso ai virologi da parte dei mass media: infatti, la popolazione si fida maggiormente del parere degli esperti, e questa fiducia permette di ottenere un maggior rispetto delle imposizioni che si hanno per il contenimento della pandemia.
La trasparenza sui dati della COVID-19 è un bene o un male?
In questi ultimi anni, l’esplosione di internet ha permesso a milioni di persone di informarsi attraverso la rete circa malattie e possibili modalità di guarigione. Questa grande disponibilità di informazioni ha intaccato la fiducia che le persone riponevano verso i medici: infatti, ognuno di noi ha a disposizione delle informazioni per verificare o falsificare ciò che il medico prescrive. In questo momento così difficile, però, non si hanno molti dati circa il coronavirus e, insieme alla larga diffusione di fake newsciò determina un aumento della fiducia delle persone verso la medicina tradizionale. Numerosi studi hanno mostrato come al concetto di fiducia si leghi quello di credibilità: le persone possono accordare fiducia solo a interlocutori che ritengono credibili: per questo motivo, in paesi dove il problema della corruzione è maggiormente sentito si ha una bassa fiducia verso le istituzioni, anche in situazioni di emergenza come quella che stiamo vivendo. Inoltre, il modo con il quale viene gestita l’emergenza fornisce numerose informazioni alle persone che sono in grado di aumentare o diminuire la fiducia che forniscono alle istituzioni. Altri studi hanno evidenziato come le persone assegnino elevata fiducia alle statistiche circa il numero di contagi che si registrano ogni giorno, e sulla base di questi numeri sviluppano delle inferenze personali sulla probabilità di essere contagiati: queste valutazioni hanno un’ampia base emotiva e sono le principali cause dei comportamenti che mettono in atto; questi, inoltre, variano con il passare del tempo. Infatti, le direttive per il contenimento del virus vengono ampiamente rispettate nelle fasi iniziali, nelle quali si ha una maggior percezione soggettiva di rischio unita a statistiche drammatiche, mentre tendono a essere progressivamente ignorate con il passare del tempo in virtù del fatto che molte persone non si sono ancora contagiate, diminuendo la propria percezione soggettiva di rischio, e da statistiche di contagio incoraggianti. In sintesi, i risultati di questa rassegna forniscono indicazioni tra loro contrastanti: da un lato è necessario aumentare la fiducia delle persone verso le istituzioni, ad esempio attraverso una grande trasparenza nella diffusione dei dati relativi al contagio, dall’altro è necessario non diminuire la percezione soggettiva di rischio, come accade quando i dati relativi al contagio migliorano, al fine di determinare maggiori comportamenti in linea con le prescrizioni delle autorità. Alla luce di ciò, quindi, sembrerebbe utile un programma di comunicazione improntato alla trasparenza nelle fasi iniziali, per acquisire fiducia nel momento in cui i dati sono negativi e aumentano la percezione di rischio personale, per poi diminuire la comunicazione di questi dati nel momento in cui la fiducia è già stata acquisita e la loro costante comunicazione può portare ad un minor rischio soggettivo percepito.
Il coronavirus uccide gli anziani non solo direttamente: l’aumento dei suicidi tra anziani durante l’epidemia SARS
L’epidemia di SARS diffusasi alcuni anni fa in oriente aveva molte cose in comune con la pandemia attuale causata dal coronavirus: infatti, la mortalità della SARS era molto più alta in persone di almeno 60 anni di età, come avviene con la COVID-19. Un aspetto connesso a questa epidemia in Oriente riguarda i suicidi delle persone di oltre 60 anni: si è assistito ad un picco di eventi suicidari in concomitanza con l’apice dell’epidemia SARS. Per comprendere come si legassero questi due fenomeni un gruppo di ricercatori ha condotto uno studio basandosi sui dati a disposizione nella regione Hong Kong durante l’epidemia di SARS. Questi hanno evidenziato come nel 2003 ci sono stati, durante il picco di epidemia SARS, oltre 300 suicidi tra persone di almeno 65 anni: è interessante evidenziare, come solo una persona fosse positiva alla SARS, mentre tutte le altre non avevano contratto tale virus. I ricercatori hanno quindi analizzato i bigliettini che tali persone hanno lasciato ai propri cari per spiegare questo gesto estremo: in linea con le ipotesi, una elevata percentuale di persone presentava dei sintomi psichiatrici e aveva già avuto esperienze di ideazione suicidaria. A prescindere da ciò, una gran percentuale di anziani ha dichiarati di aver paura di aver già contratto la SARS. Molte di queste persone non volevano in alcun modo andare in ospedale per paura di contrarre il virus, preferendo il suicidio al ricovero in ospedale. Inoltre, è interessante notare come lo stravolgimento della loro vita sociale fosse una delle principali cause di suicidio: infatti, molte persone hanno lasciato messaggi nei quali dichiaravano di aver paura dell’isolamento sociale, soffrivano particolarmente la riduzione dei contatti con altre persone, sino a descrivere come distrutta la propria vita sociale. Per concludere, questo studio condotto sulla SARS, che ha molti punti in comune con l’attuale pandemia, pone l’accento sulla necessità di prevenire un probabile aumento di suicidi delle persone anziane, principali vittime di questo virus: per fare ciò, è necessario fare in modo che queste persone non si sentano socialmente isolate, abbiano delle informazioni circa il loro stato di salute, in modo tale da combattere la percezione soggettiva di esser contagiati quando in realtà non è vero, e di aumentare la fiducia relativa alla possibilità di sopravvivere anche in caso di contagio.
I messaggi istituzionali funzionano davvero?
In questo particolare momento storico e sociale, l’importanza dei mass media come mezzo di comunicazione è sicuramente enorme. Le persone passano molto più tempo a casa, si informano di più e fanno un maggior uso dei mass media: hanno a disposizione tantissime fonti da cui trarre informazioni, come la televisione, i giornali nelle edizioni online, e il più vasto mondo di internet. Solitamente, le persone si interessano maggiormente in messaggi che provengono da chi condivide i propri valori e interessi, ance in momenti così particolari: ad esempio, durante l’epidemia di SARS un video rap sul virus aveva ottenuto un numero impressionante di visualizzazioni. Due ricercatori statunitensi hanno condotto uno studio per comprendere quali siano i messaggi maggiormente persuasivi, a prescindere dal contenuto degli stessi. I risultati hanno mostrato come fossero più efficaci messaggi prodotti da pari piuttosto che quelli istituzionali; questa caratteristica era anche in grado di influenzare la qualità percepita del messaggio in maniera controintuitiva: infatti, le comunicazioni istituzionali erano valutate come di qualità inferiore rispetto agli altri messaggi. Diversamente da ciò, i comunicati istituzionali generavano maggiori effetti sul comportamento: ad esempio, riuscivano a influenzare maggiormente gli atteggiamenti della popolazione. In aggiunta a ciò, è interessante evidenziare come al crescere della qualità percepita del messaggio si associava una maggior identificazione con il creatore del messaggio stesso, a sua volta associata all’atteggiamento generale verso il problema in questione. In sintesi, gli autori commentano tali risultati evidenziando come il contesto del messaggio non influenzi la capacità persuasiva generale dello stesso: per questo motivo, in modo tale da riuscire a persuadere il maggior numero possibile di persone, appartenenti a target tra loro molto diversi, consigliano di non concentrarsi solo su comunicati istituzionali e divulgati attraverso i classici mass media, ma anche sulla creazione di contenuti più fruibili da altre categorie di persone, come video di personaggi popolari su piattaforme digitali.