QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

Qi, il magazine online di Hogrefe Editore.
Ogni mese, cultura, scienza ed aggiornamento
in psicologia.

numero 74 - febbraio 2020

Hogrefe editore
Archivio riviste

Rassegna stampa

Rassegna stampa #74

Rassegna stampa #74

Narcisismo e Facebook: chi causa cosa?

In questo periodo storico, l’utilizzo dei social network è un’attività quotidiana di milioni di persone: tra questi, Facebook risulta tuttora essere il social network maggiormente utilizzato nel mondo. Le interazioni sociali veicolate attraverso Facebook possono contribuire all’aumento del narcisismo delle persone coinvolte. Le persone narcisiste sono caratterizzate da un’elevata autostima, da senso di superiorità e dal bisogno di attenzione e ammirazione da parte degli altri; Facebook, quindi, offre una serie di rinforzi positivi in tal senso con il rischio di creare una dipendenza dall’utilizzo del social network stesso. La dipendenza da Facebook è stata ampiamente studiata in letteratura nella popolazione generale, mentre si hanno meno ricerche in riferimento al suo sviluppo in persone narcisiste. Per questo motivo, degli studiosi tedeschi hanno messo a punto una ricerca al fine di indagare l’associazione tra dipendenza da Facebook e narcisismo. Ad un campione di 450 utenti di Facebook hanno somministrato degli strumenti per misurare il tratto di personalità del narcisismo, la frequenza con la quale viene utilizzato Facebook, il coinvolgimento emotivo verso Facebook stesso e la dipendenza da questo social network. I risultati hanno evidenziato una relazione positiva tra il narcisismo e la dipendenza da Facebook; in particolare, è emerso come sia il narcisismo a causare un maggior rischio di dipendenza da questo social network, e non viceversa. In aggiunta a ciò, il narcisismo mostrava anche di causare un aumento sia nella frequenza di uso di Facebook che di coinvolgimento emotivo. Per concludere, questo studio evidenzia come non sia Facebook a rendere le persone maggiormente narcisiste, quanto questo tratto di personalità causi un maggior utilizzo del social network, un maggior coinvolgimento emotivo circa le relazioni interpersonali che si creano, con una maggior probabilità di sviluppare una dipendenza. 

Brailovskaia, J., Bierhoff, H-W., Rohmann, E., Raeder, F., & Margraf, J. (in press). The relationship between narcissism, intensity of Facebook use, Facebook flow and Facebook addiction. Addictive Behaviors Reports. 

 

La percezione soggettiva di insicurezza lavorativa determina il basso tasso di natalità in Italia

La relazione tra numero di figli e condizioni economiche è di sicuro interesse in questo momento storico dove il tasso di natalità è particolarmente basso; in particolare, in tutta Europa l’incertezza lavorativa e il fatto che molte persone non abbiano dei contratti lavorativi a tempo indeterminato sono additate come delle cause circa il non avere figli o il rimandare la nascita del primo figlio. Queste relazioni sono note a livello macroeconomico, mentre gli studi che hanno preso in considerazione la percezione soggettiva di incertezza economica e lavorativa hanno mostrato dei risultati tra loro contrastanti in merito al posticipare la data del primo figlio: in primo luogo, questo è dovuto al fatto che questi studi si sono concentrati principalmente su persone non occupate piuttosto che su persone con una percezione di insicurezza lavorativa. Tre studiosi fiorentini hanno quindi analizzato una gran mole di dati al fine di comprendere meglio le relazioni che legano tra loro questi fattori. I risultati hanno mostrato come il 7% delle persone posticipi la nascita del primo figlio a causa della propria percezione di incertezza lavorativa; tutto ciò presenta degli effetti ancora più importanti nelle persone che svolgono la libera professione che manifestano una percezione di insicurezza lavorativa più marcata. Il posticipare la data del primo figlio, inoltre, si osserva maggiormente in persone con un elevato titolo di studio, toccando una quota del 16%. Inoltre, in linea con le ipotesi degli studiosi, la percentuale di donne che decide di posticipare il primo figlio per ragioni dettate dalla propria incertezza lavorativa è maggiore rispetto alla percentuale degli uomini. Per concludere, questo studio quantifica un sentimento presente nell’immaginario collettivo: ovvero, quante sono le persone che posticipano il proprio desiderio di diventare genitori a causa della percezione della propria instabilità lavorativa: l’importanza di questo studio risiede, principalmente, nel fatto di non aver preso in considerazione solo persone disoccupare e di non aver preso in considerazione livelli macroeconomici, come la crisi globale, ma la percezione soggettiva di stabilità lavorativa delle persone. Alla luce di ciò, quindi, appare sempre più pressante la richiesta sia di fornire maggior stabilità lavorativa alle persone, soprattutto donne, quanto di render possibili miglioramenti nella percezione soggettiva al fine di combattere il basso tasso di natalità che ogni anno si registra in Italia.

Vignoli, D., Tocchioni, V., & Mattei, A. (in press). The impact of job uncertainty on first-birth postponement. Advances in Life Course Research.

 

Come funziona la relazione tra titolo di studio e punteggio ai test di intelligenza

È ormai nota nella letteratura scientifica l’associazione che lega il titolo di studio ai punteggi ai test di intelligenza: in particolare, si ha un incremento di circa 3.4 punti di QI per ogni anno di studio. Nonostante ciò, alcuni studiosi sollevano dei dubbi circa la direzione di questa relazione; ovvero, questa correlazione potrebbe essere interpretata come le persone con punteggi più alti ai test di intelligenza siano quelle che decidono di studiare di più. Per meglio comprendere la tipologia di associazione tra il titolo di studio e i punteggi ai test di intelligenza, un gruppo di ricercatori danesi ha analizzato un ampio dataset composto da tre punteggi a test di intelligenza: uno effettuato a 12 anni di età, uno in adolescenza e uno in età adulta, oltre a informazioni circa la carriera scolastica e accademica delle persone. I risultati hanno confermato che persone con un elevato titolo di studio ottenevano dei punteggi più alti ai test di intelligenza: di particolare importanza, il fatto che questo andamento fosse praticamente sovrapponibile nelle tre distinte rilevazioni. In altre parole, già a 12 anni di età bambini che poi avrebbero studiato più a lungo degli altri ottenevano un punteggio di QI più elevato, e la differenza di punteggi QI era praticamente la stessa rispetto a quello che è stato osservato con i test somministrati durante l’adolescenza e in età adulta. Inoltre, è emerso come questa associazione non sia identica per tutte le persone: ai bambini che a 12 anni avevano un basso QI e che hanno ottenuto un elevato titolo di studio, si associa un miglioramento maggiore, in termini di punti di QI guadagnati per ogni anno di studio, rispetto ai bambini che hanno ottenuto lo stesso titolo di studio ma a 12 anni presentavano punteggi di QI medi o elevati. Per concludere, quindi, questo studio evidenzia come le differenze nelle performance ai test di intelligenza precedano il conseguimento del titolo di studio e come il proseguire il proprio percorso scolastico e accademico porti maggiori vantaggi da adulto ai bambini che da piccoli avevano delle basse performance ai test di intelligenza.

Hegelund, E. R., Gronkjaer, M., Osler, M., Dammeyer, J., Flensborg-Madsen, T., & Mortensen, E. L. (2020). The influence of educational attainment on intelligence. Intelligence, 78, 101419.  

 

I comportamenti alimentari nell’adolescenza

L’adolescenza è riconosciuta essere un periodo cruciale per la messa in atto di comportamenti inerenti la salute delle persone: in particolare, è emerso come adolescenti con problemi di obesità abbiano maggiori probabilità di avere gli stessi problemi in età adulta. Molti adolescenti non si alimentano in modo sano, consumando solo pochi quantitativi di frutta e verdura mentre eccedono nell’uso di prodotto contenenti grassi saturi. Nonostante ciò, la maggior parte degli studi sui comportamenti alimentari si è concentrata sulla popolazione adulta o sulla popolazione clinica, mentre solo poche ricerche hanno preso in esame gli adolescenti. Alla luce di ciò, un team di ricercatori ha condotto uno studio su un ampio numero di adolescenti indagando i loro comportamenti alimentari e i relativi indici di massa corporea. I risultati hanno innanzitutto evidenziato come non ci fossero differenze nella qualità della dieta e nell’indice di massa corporea in base al genere; a differenza di ciò, è emersa una relazione positiva tra la qualità della dieta e lo status socio-economico: al crescere di quest’ultimo, quindi, si associa una dieta maggiormente bilanciata ed equilibrata. Un risultato molto interessante è dato dal fatto che non è emersa un’associazione statisticamente significativa tra i comportamenti alimentari dichiarati dagli adolescenti e gli indici di massa corporea. Di particolare interesse, il fatto che l’autoregolarsi nell’alimentazione mangiando con moderazione non sia un predittore dell’indice di massa corporea, mentre lo è quella che gli autori chiamano disinvoltura alimentare: ovvero, il fatto di non preoccuparsi troppo di ciò che si mangia. Sulla base di ciò, quindi, emergerebbe come adolescenti che si impongono di mangiare con moderazione non abbiano un minore indice di massa corporea degli altri; mentre, gli adolescenti che non si preoccupano dei propri comportamenti alimentari sembrano essere dei soggetti maggiormente a rischio di sviluppare obesità. Per questo motivo, quindi, emergerebbe come sia importante rendere consapevoli gli adolescenti circa l’importanza dei propri comportamenti alimentari e delle conseguenze che questi hanno nella loro salute.

Lawless, M., Shriver, L. H., Wideman, L., Dollar, J. M., Calkins, S. D., Keane, S. P., & Shanahan, L. (2020). Associations between eating behaviors, diet quality and body mass index among adolescents. Eating Behaviors, 36, 101339.