QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

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numero 6 - marzo 2013

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #6

Rassegna stampa #6

I correlati psicologici degli omicidi a sfondo sessuale

Gli omicidi a sfondo sessuale non sono una novità e vengono perpetuati da secoli anche se il fenomeno ha iniziato a suscitare l’interesse dei ricercatori solo a partire dalla metà degli anni ottanta, tanto che tutt’ora manca una definizione condivisa in merito a ciò. Infatti, molti autori adottano un approccio “concreto” secondo il quale si ha un omicidio a sfondo sessuale solo quando prima o dopo l’omicidio ci sono prove di attività sessuale. Un approccio più recente, invece, considera omicidi a sfondo sessuale anche quei casi nei quali si ha un movente di questo tipo pur non in presenza di atti fisici riconducibili alla sfera sessuale. Da un punto di vista psicologico, è centrale mettere in luce come numerose ricerche si siano concentrate sull’identificazioni di possibili disturbi quali antecedenti di omicidi a sfondo sessuale. In particolare, in una rassegna condotta da tre ricercatori inglesi è emerso come, a livello psicologico, si individuino tre macro categorie di antecedenti: i disturbi di personalità, la psicopatia e le parafilie. Per quel che concerne i disturbi di personalità in letteratura si ritrovano opinioni contrastanti: mentre da un lato gli studiosi concordano sulla presenza di disturbi di questo tipo nelle persone che si sono rese protagoniste di omicidi a sfondo sessuale dall’altro lato non c’è un sostanziale accordo in merito all’identificazione di tali disturbi, tra i quali i disturbi antisociale, borderline, narcisistico e schizoide sembrano essere quelli più comuni nella popolazione di omicidi sessuali. A differenza di ciò, più chiaro sembra il legame con la psicopatia: la psicologia evolutiva ha indicato la preferenza per relazioni a breve termine, la promiscuità sessuale e la mancanza di empatia propri del disturbo come antecedenti teorici dell’omicidio a sfondo sessuale. Per quanto riguarda le parafilie si ha un sostanziale accordo in merito alla centralità del sadismo, soprattutto in relazione agli omicidi multipli; oltre a ciò, sono stati evidenziati legami con altre parafilie come il feticismo, l’esibizionismo e il voyeurismo. In sintesi, scopo di questo articolo non è quello di identificare come possibili omicidi persone con queste caratteristiche, quanto quello di fare luce su un comportamento, purtroppo, in costante aumento solo dalla cui profonda comprensione si può pensare di prevenire e combattere.

Kerr, J. K., Beech, A. R. & Murphy, D. (2013). Sexual homicide: Definition, motivation and comparison with other forms of sexual offending. Aggression and Violence Behavior, 18, 1-10.

 

Il comportamento suicidario nei giovani immigrati: una prospettiva di intervento

La prima età adulta, dai 18 ai 25 anni, è un periodo caratterizzato da una crescente vulnerabilità a diversi problemi come ad esempio il comportamento suicidario.  La ricerca scientifica ha evidenziato l’importanza di esaminare la natura culturale e contestuale di tali comportamenti, come ad esempio l’esposizione a stressor culturali quali la discriminazione. A dispetto di ciò, sono pochi gli studi che si sono concentrati sul costrutto di hopelessness, inteso come la mancanza di apprezzamenti sul presente e la presenza di aspettative negative, di scarsa considerazione di sé, spesso rinforzate dallo stesso contesto sociale e da scarse relazioni interpersonali; tali studi hanno comunque evidenziato una relazione tra questo costrutto e i comportamenti suicidari senza però identificare gli antecedenti del costrutto di hopelessness. A tal fine due studiosi americani hanno somministrato una serie di strumenti ad un ampio campione di persone di età compresa tra i 18 e i 25 anni. I risultati di questo lavoro evidenziano come gli stressor culturali predicano il costrutto di hopelessness e che tale costrutto medi la relazione con i comportamenti suicidari: ad esempio, la percezione di essere discriminati, che non sembra correlare con comportamenti suicidari, contribuisce in maniera molto forte a sviluppare il sistema cognitivo basato su aspettative negative già evidenziato. In base a ciò, la centralità di questo lavoro risiede da un lato nel crescere del fenomeno dell’immigrazione, con tutti i correlati psicologici che questa situazione comporta, e dall’altro nella possibilità di prevenire comportamenti suicidari. In particolare, percorsi mirati all’incremento di strategie di coping per fare fronte a tali problematiche sembrano essere in grado di mitigare il problema. Per concludere, questo lavoro attesta come la psicologia possa realmente contribuire al miglioramento della qualità della vita delle persone e come la ricerca psicologica possa fornire importanti contributi agli psicologi clinici che si trovano a dover affrontare queste difficili situazioni.

Polanco-Roman, L. & Miranda, R. (2013). Culturally related stress, hopelessness, and vulnerability to depressive symptoms and suicidal ideation in emerging adulthood. Behavior Therapy, 44, 75-87.

 

Gli amici come fattore facilitante nel trattamento dei disturbi d’ansia nei bambini

Nella letteratura scientifica è stato ormai dimostrato come nei bambini i disturbi d’ansia siano connessi a problemi di natura sociale, emotiva, scolastica, fisica e psichica. Solitamente, per questi disturbi vengono impiegati trattamenti cognitivo-comportamentali anche se è emerso come, nonostante questo tipo di intervento, circa il 40% dei bambini continui a soffrire di problemi legati all’ansia. Al fine di migliorare l’efficacia dei trattamenti, due ricercatori australiani si sono concentrati sull’identificare alcuni predittori dell’efficacia del trattamento stesso come le relazioni tra pari, che risultava essere una variabile non molto indagata. Allo scopo di esaminare l’impatto che le relazioni tra pari possono avere in questa tipologia di problemi, gli autori hanno condotto uno studio su un ampio campione di bambini affetti da disturbi d’ansia. I risultati hanno evidenziato come i bambini che percepiscono le loro relazioni amichevoli come maggiormente qualitative riescano a superare meglio i loro problemi relativi ai disturbi d’ansia, in un tempo di sei mesi, rispetto ai bambini con gli stessi disturbi e sottoposti allo stretto trattamento ma con una percezione qualitativamente inferiore delle loro relazioni amicali. Oltre a ciò, un risultato ancora più interessante è dato dal fatto che gli esiti del trattamento non risultano essere correlati a misure della qualità dell’amicizia fornita dai bambini indicati come “migliori amici” dei partecipanti allo studio; in altre parole, quello che è centrale non è l’oggettiva quantità e qualità delle relazioni amicali instaurate quanto la percezione che di esse hanno i bambini affetti da disturbi d’ansia. In sintesi, quindi, da questa ricerca emerge come concentrarsi sulla percezione rispetto alle relazioni con i pari possa fornire un significativo vantaggio rispetto agli esiti di un percorso terapeutico, di tipo cognitivo-comportamentale, in bambini affetti da disturbi d’ansia.

Baker, J. R. & Hudson, J. L. (2013). Friendship quality predicts outcome in children with anxiety disorders. Behaviour Research and Therapy, 51, 31-36.

 

I video musicali e la percezione del proprio corpo: la centralità dell’autostima

Circa 150 milioni di persone guardano almeno un video musicale al mese: l’impatto di questo comportamento è stato dimostrato, nella letteratura scientifica di riferimento, essere in relazione ad una maggior accettazione della violenza contro le donne, ad atteggiamenti di genere stereotipati e ad una minore percezione dei rischi connessi alla guida sotto l’effetto di sostanze. Partendo da questi presupposti, un gruppo di ricercatori olandesi si cono concentrati sull’influenza che i video musicali hanno rispetto alla percezione del proprio corpo da parte delle ragazze conducendo uno studio su un campione di giovani studentesse universitarie. I risultati hanno evidenziato come le ragazze, dopo aver visto dei video musicali, abbiano una percezione peggiore del proprio corpo: l’esposizione a video musicali sembra quindi modificare la percezione che le ragazze hanno del proprio corpo. Inoltre, dopo aver visto video musicali le ragazze tendono a ritenere ideale un corpo più magro rispetto all’idea che avevano prima di vedere i video stessi. Un risultato particolarmente interessante è dato dalla relazione che l’autostima ha con queste variabili: dallo studio, infatti, è emerso come le ragazze con bassa autostima tendano a percepirsi più negativamente delle ragazze con alta autostima dopo la visione dei video musicali; infatti, nelle ragazze con elevata autostima la visione di tali video non prova cambiamenti nella percezione del proprio corpo mentre, la stessa visione, produce un peggioramento nella percezione del proprio corpo nelle ragazze con bassa autostima. Per concludere, gli autori di questo lavoro hanno enfatizzato l’importanza di mettere a punto dei programmi per l’aumento dell’autostima in modo tale da proteggere le ragazze dagli effetti negativi determinati dall’influenza dei mass media, che è stato dimostrato essere connessi con numerosi disturbi soprattutto dell’alimentazione, come l’anoressia e la bulimia.

Mischner, I. H. S., van Schie, H. T., Wigboldus, D. H. J., van Baaren, R. B. & Engels, R. C. M. E. (2013). Thinking big: The effect of sexually objectifying music videos on bodily self-perception in young women. Body Image, 10, 26-34.