Rassegna stampa
Rassegna stampa #55
Rassegna stampa #55
Il comportamento materno può influenzare la percezione dell’immagine corporea delle figlie?
La letteratura scientifica ha descritto l’insoddisfazione per il proprio aspetto fisico come un atteggiamento negativo nei confronti del proprio corpo derivante dalla discrepanza tra l’immagine corporea attuale e quella ideale, identificandola come uno dei maggiori fattori di rischio per lo sviluppo e il mantenimento di disturbi alimentari. È stato infatti dimostrato come spesso tra la popolazione femminile in età adolescenziale la distorsione della propria immagine corporea sia associata all’attuazione di strategie mirate alla perdita di peso, tra cui diete, eccessiva attività fisica e abuso di lassativi. Numerosi studi hanno, inoltre, evidenziato il ruolo centrale ricoperto dalla relazione genitori-figlie nella formazione di atteggiamenti e valutazioni negative per il proprio aspetto esteriore in età preadolescenziale. Attraverso la definizione di uno stile di vita che comprende dieta, esercizio e abitudine a commentare e giudicare le scelte e l’aspetto altrui, i genitori esprimono, infatti, le loro aspettative e le loro credenze circa l’aspetto fisico e i comportamenti alimentari ai loro figli fin dai primi anni di vita. Al fine di indagare in che modo il comportamento materno sia in grado di influenzare la soddisfazione per l’aspetto fisico, l’autostima, gli atteggiamenti e i comportamenti alimentari delle figlie è stato condotto uno studio su 50 ragazze di età compresa tra gli 8 e i 12 anni e le rispettive madri. Dai risultati è emerso che le ragazze le cui madri avevano rivolto loro molti commenti autocritici riguardo il proprio peso, forma fisica e dieta, mostravano uno scarso apprezzamento per il proprio corpo, una maggior insoddisfazione per il proprio aspetto e maggiori problemi alimentari rispetto a coloro a cui le madri non avevano rivolto alcun commento, dimostrando, quindi, come il comportamento materno possa avere un impatto immediato su atteggiamenti e comportamenti delle figlie.
Tali risultati hanno importanti implicazioni per i programmi di prevenzione dei disordini alimentari, in quanto suggeriscono di porre maggior enfasi sul dissuadere le madri dal mettere in atto comportamenti negativi ed incoraggiarle a sostenere delle abitudini alimentari salutari e avere un’opinione positiva della propria immagine corporea.
Il bullismo sul luogo di lavoro e lo sviluppo dell’insicurezza lavorativa
Il bullismo sul luogo di lavoro, comunemente definito come la continua esposizione di un individuo ad azioni negative da parte dei colleghi da cui ha difficoltà a difendersi, è stato riconosciuto come un fattore di rischio per la perdita del lavoro e l’esclusione dalla vita lavorativa con conseguenze anche a livello sociale e organizzativo per il soggetto, tra cui un indebolimento della salute fisica e mentale, una diminuzione della soddisfazione lavorativa, un incremento dell’assenteismo e dell’intenzionalità a lasciare il proprio lavoro. La letteratura scientifica ha evidenziato, inoltre, come la messa in atto di comportamenti di bullismo, in concomitanza con altre variabili interpersonali, quali conflitti interni e un abuso della supervisione, possa dare luogo ad un sentimento di insicurezza lavorativa, riconosciuta come l’incapacità percepita di mantenere una continuità in un luogo di lavoro ritenuto minaccioso. Allo sviluppo dei processi di bullismo sembrerebbe contribuire una leadership definita come laissez-faire, caratterizzata dal comportamento negligente e non reattivo del leader tale da ritenere accettabili i comportamenti negativi messi in atto. È stato recentemente condotto uno studio su un campione di 1775 soggetti, con lo scopo di indagare la relazione tra il bullismo sul luogo di lavoro e l’insicurezza lavorativa in un arco temporale di due anni e il ruolo di mediazione in questa relazione della laissez-faire leadership. I risultati hanno confermato le ipotesi iniziali, identificando il bullismo sul luogo di lavoro come un precursore dell’insicurezza lavorativa ed evidenziando il ruolo centrale giocato dalla leadership. Inoltre, l’impatto di tali comportamenti e delle relative conseguenze è risultato crescere durante l’arco dei due anni, supportato dal comportamento passivo evitante messo in atto dal leader. I risultati di questo studio portano con sé importanti implicazioni pratiche per manager, psicologi del lavoro e delle organizzazioni, personale HR e avvocati nella prevenzione di comportamenti di bullismo sul luogo di lavoro e delle sue conseguenza negative, tra cui l’incoraggiamento nel mantenere uno stile di leadership attivo e volto al problem solving nel momento in cui si sviluppano relazioni interpersonali problematiche o conflitti interni alla propria organizzazione.
Migliorare il sonno come intervento preventivo nella salute degli anziani
Il sonno influenza la salute. Una scarsa qualità del sonno o la sua mancanza possono predisporre a condizioni avverse di salute e avere così un impatto negativo sugli aspetti fisici, cognitivi, emotivi e sociali della vita. È stato osservato come questi aspetti legati al sonno abbiano un impatto negativo anche su alcuni disturbi psicologici come l’ansia e la depressione. La mancanza di sonno riguarda più del 45% della popolazione mondiale e assume una rilevanza particolare soprattutto se si considera la popolazione anziana. La mancanza di sonno negli anziani può influire negativamente sull’attenzione, sulle capacità di svolgere compiti quotidiani, sulla memoria o sulla concentrazione. Il benessere degli anziani, oggi, è una sfida per la sanità pubblica globale intesa a promuovere la salute e la qualità della vita. Il fatto di vivere più a lungo non implica necessariamente una correlazione con la qualità di vita, infatti, in molti casi le persone anziane sono dipendenti da cure mediche o assistenziali, per questo molti studi sono indirizzati ad indagare come alcuni problemi, tra cui la qualità del sonno, possano influire sulla loro salute. Tra questi studi, alcuni ricercatori portoghesi si sono occupati di indagare la relazione tra la qualità del sonno e la depressione nella popolazione anziana. Lo studio ha verificato l'ipotesi che la qualità del sonno media la relazione tra la depressione e la qualità della vita degli anziani in un campione non clinico portoghese. La qualità del sonno è stata considerata come una variabile interposta tra la depressione e la qualità della vita con il fine di comprendere il funzionamento degli anziani in una prospettiva di salute e in modo da assistere allo sviluppo di interventi per la prevenzione della depressione seguendo le linee guida promosse dall’OMS. Nello studio condotto è stato osservato che la qualità del sonno è in grado di mediare l'effetto della depressione con gli aspetti della qualità della vita quali la salute fisica, il benessere psicologico, le relazioni sociali e l’invecchiamento; da cui emerge l’importanza della qualità del sonno e il suo legame con la depressione. Alla luce dei risultati, prestare attenzione alle difficoltà legate al sonno e mantenere una buona qualità di questo potrebbero rappresentare un mezzo per promuovere la qualità della vita e prevenire possibili disturbi negli anziani.
Le funzioni esecutive nei giovani
La letteratura scientifica, recentemente, ha dedicato un’attenzione particolare alle funzioni esecutive che rappresentano processi top-down che permettono di regolare pensieri e comportamenti caratterizzati da abilità come la flessibilità cognitiva, l’inibizione della risposta e la capacità di aggiornare dinamicamente la memoria di lavoro. È stato osservato come questi processi risultino indispensabili nella vita quotidiana e come l’organizzazione latente di questi cambi a seconda dell’età. Molte sono le ricerche indirizzate verso una maggior comprensione del fenomeno durante la prima infanzia, tuttavia pochi sono invece quegli studi che si sono occupati di indagare il fenomeno tra gli adolescenti e i giovani. È in questa particolare fase di sviluppo, dove le funzioni esecutive si stanno ancora sviluppando, che si verificano molti cambiamenti a livello cerebrale, un accrescimento delle funzioni cognitive e del comportamento socio-emotivo. Molte risultano essere le questioni aperte riguardanti le funzioni esecutive, e poche sono le conoscenze relative all’organizzazione di queste e di come si relazionino durante l’adolescenza. Con il fine di indagare l’organizzazione di due dimensioni delle funzioni esecutive durante l’adolescenza, due ricercatrici italiane hanno esaminato, in un campione di 240 adolescenti di età compresa tra 14 e 19 anni, la struttura latente delle funzioni di inibizione della risposta e della memoria di lavoro e gli effetti dell'età e del genere. Dai risultati non sono emerse, nell’organizzazione di queste funzioni, differenze legate al genere: la struttura delle dimensioni esaminate è la stessa anche se si riscontrano delle differenze in alcune performance in compiti specifici. Per contro, si sono riscontrate differenze in relazione all’età che risultata predittiva nel cambiamento della struttura dell’inibizione della risposta, indipendentemente dal genere, e predittiva solo nei maschi per la memoria di lavoro, suggerendo che le ragazze raggiungano prima dei ragazzi la struttura mostrata in età adulta. L’età influisce non soltanto nelle performance ai compiti specifici ma anche nell’organizzazione della struttura latente. Perciò le funzioni di inibizione della risposta e memoria di lavoro si evolvono durante l'adolescenza media e tardiva: la funzione di inibizione della risposta sembrerebbe essere raggiunta entro l’età dell’adolescenza mentre la memoria di lavoro seguirebbe un corso di sviluppo più prolungato.