Rassegna stampa
Rassegna stampa #53
Rassegna stampa #53
Il sexual harassment come comportamento sempre più socialmente accettabile
Nonostante nella letteratura scientifica siano presenti numerosi studi sul sexual harassment, identificato come una delle problematiche sociali più serie, attualmente non esiste una definizione unanimemente condivisa di sexual harassment: da un punto di vista psicologico viene definita come un’esperienza psicologica basata su comportamenti offensivi a sfondo sessuale. In letteratura sono stati identificate tre tipologie differenti di sexual harassment: il gender harassment, l’attenzione sessuale non voluta e la coercizione sessuale. Il primo è stato definito come l’insieme di comportamenti ostili, offensivi, intimidatori verbali e non verbali verso le donne; l’attenzione sessuale non voluta si manifesta in comportamenti verbali e non verbali ripetitivi e insistenti come la richiesta continua di appuntamenti, telefonate, messaggi e proposte a sfondo sessuale; la coercizione sessuale, invece, è la forma più esplicita di sexual harassment nella quale una persona in una posizione di potere richiede dei favori sessuali ai propri subordinati. Sulla base di queste tipologie, tre ricercatori spagnoli hanno condotto uno studio per indagare la relazione che hanno con la strategia di coping della vittima e le possibili reazioni di chi perpetua questo tipo di comportamento. Per fare ciò hanno somministrato una batteria di test ad un campione di 138 donne di età compresa tra 18 e 58 anni. I risultati hanno confermato la presenza di differenze in base alla tipologia di sexual harassment: in particolare, le donne riconoscevano più frequentemente l’attenzione sessuale non voluta come sexual harassment rispetto al gender harassment; di notevole importanza il fatto che il gender harassment non venga riconosciuto dalle donne come forma di sexual harassment indicherebbe, secondo gli autori, una abitudine a questa tipologia di comportamenti che vengono percepiti come normali e leciti nel rapporto tra un uomo e una donna. Per questo motivo, quindi, le donne che subiscono questa forma di sexual harassment non sviluppano vere e proprie strategie di coping per affrontare la situazione, divenendo maggiormente indifese e vittime degli abusi. In sintesi, da questo studio emergerebbe un quadro molto preoccupante circa l’attuale relazione esistente nel posto di lavoro tra uomini e donne: la normalizzazione di condotte proprie del sexual harassment porterebbe ad un incremento di questa tipologia di comportamenti, senza che le vittime possano in realtà sviluppare delle efficaci strategie di difesa, in quanto si potrebbe ritenere socialmente accettabile e normale questa tipologia di relazione.
L’integrazione sociale in un paese multi etnico: il caso della Malesia
In quest’epoca si assiste in tutto il mondo al proliferare di una società multiculturale e multietnica: per questo motivo, sono sempre maggiori gli studi che hanno evidenziato l’importanza della tolleranza etnica, dell’adattamento culturale e della messa in atto di politiche volte alla promozione dell’integrazione sociale in questa tipologia di comunità. Alcuni studiosi hanno definito l’integrazione sociale come un processo finalizzato a creare unità, inclusione e partecipazione a vari livelli sociali; l’integrazione sociale, quindi, si riferisce al fatto che persone con differenti caratteristiche personali quali lo status socio economico, l’età, il genere, l’etnia, la religione abbiano le stesse opportunità, diritti e sevizi. Un gruppo di ricercatori malesi ha messo a punto uno studio che aveva l’obiettivo di indagare il livello di integrazione sociale tra i giovani malesi: infatti, la Malesia è un paese particolarmente esposto a questa tipologia di problematiche data la sua natura multietnica. A tal proposito, in questo lavoro è emerso come solo un quarto delle persone sia malese. Il primo fattore di integrazione sociale identificato è stato quello di utilizzare la lingua malese per parlare, anche con persone che condividono una differente lingua madre. Nonostante ciò, è emerso come le persone di origini differenti tendano a mantenere orgoglio e appartenenza verso il proprio paese di origine, che si declina nella messa in atto di comportamenti e rituali caratteristici di tali culture. A tal proposito, gli aspetti di integrazione sociale meno messi in atto riguardano il modo di vestirsi, il condividere differenti gusti musicali o artistici così come l’impegnarsi in attività culturali proprie di una cultura differente dalla propria. Di particolare interesse, il fatto che la maggior parte delle persone dichiari di apprezzare culture diverse e di apprezzare lo scambio culturale, ma questo non si traduce in comportamenti volti ad una reale integrazione sociale: in dettaglio, quando si hanno ripercussioni nella vita quotidiana le persone non sono disposte a scendere a compromessi al fine di favorire una reale integrazione sociale. Per concludere, questo studio fornisce una fotografia della situazione attuale circa l’integrazione sociale in un paese dove tale problematica è particolarmente importante fornendo importanti spunti pratici che possono permettere l’identificazione e la messa in atto di strategie mirate per migliorare l’integrazione sociale.
L’intelligenza emotiva predice la qualità della vita?
All’interno del contesto della psicologia positiva riveste notevole interesse ilcostrutto dell’intelligenza emotiva che spiega come l’utilizzo corretto e la gestione delle emozioni sia connessa ad una miglior percezione della vita. L’intelligenza emotiva è stata definita, tra le altre, come l’abilità di percepire e valutare le emozioni con precisione, di generare e gestire emozioni al fine di favorire il benessere proprio e altrui. In letteratura non si ha un consenso unanime circa la relazione che lega l’intelligenza emotiva e la soddisfazione verso la vita, definita come i sentimenti e le emozioni provate in un dato momento rispetto alla propria esistenza: infatti, alcuni studi hanno osservato come l’intelligenza emotiva sia un predittore della soddisfazione, mentre altri lavori hanno identificato soltanto un legame indiretto con specifiche componenti dell’intelligenza emotiva, mentre altri ancora non hanno notato alcuna relazione tra questi costrutti. Con l’obiettivo di meglio dettagliare questa relazione, un team di ricercatori ha condotto uno studio su oltre 400 adulti somministrando una batteria di strumenti per la misurazione della qualità della vita e dell’intelligenza emotiva. I risultati correlazionali hanno mostrato una relazione positiva tra la qualità percepita della vita e tutte le sfaccettature del costrutto di intelligenza emotiva, con la sola eccezione dell’attenzione emotiva. Per comprendere il nesso causale tra queste variabili, gli studiosi hanno condotto diversi modelli di equazioni strutturali che hanno evidenziato come i soli predittori significativi della soddisfazione verso la vita siano le relazioni interpersonali, l’autostima e le emozioni positive, mentre la capacità di comprendere e di regolare le proprie emozioni avrebbe soltanto un effetto indiretto sulla qualità percepita della vita, mediato dalle emozioni positive; di particolare interesse, inoltre, il fatto che il supporto sociale non predica in alcun modo la percezione circa la qualità della vita. In sintesi, questo lavoro sottolinea l’importanza di variabili come l’autostima e le relazioni interpersonali nel migliorare la percezione della qualità della propria vita: sulla base si questi risultati, quindi, è possibile anche mettere in atto dei comportamenti atti al miglioramento di queste variabili anche al fine di generare, in maniera diretta o indiretta, una miglior qualità della vita delle persone.
La violenza urbana: relazioni con il consumo di cocaina e di alcol
Nel mondo viene ampiamente riconosciuta l’esistenza di un legame tra consumo di sostanze psicotrope e i comportamenti violenti; in dettaglio, numerosi studi hanno anche evidenziato un legame tra il consumo di alcol e di sostanze stupefacenti e la messa in atto di comportamenti rischiosi, dal momento che, ad esempio, queste sostanze riducono le inibizioni e aumentano l’aggressività. La portata degli effetti sopra descritti, inoltre, aumenta quando si ha un consumo congiunto di queste due tipologie di sostanze. Dal momento che in Brasile il problema della violenza urbana è tuttora molto attuale, un gruppo di ricercatori ha messo a punto uno studio al fine di indagare la presenza di associazioni tra il consumo di alcol e di cocaina e tale forma di violenza. Tra i molti risultati presentati in questo studio, è innanzitutto importante sottolineare come sia emerso che circa il 10% della popolazione brasiliana sia stata almeno una volta vittima di violenza urbana, e tale percentuale raddoppia se si considerano solo le persone che nell’ultimo anno hanno fatto uso di cocaina, mentre resta quasi invariata nel gruppo di persone con problematiche di dipendenza dall’alcol. A differenza di ciò, le stesse violenze sono state condotte da circa il 6% della popolazione. Ulteriori analisi hanno evidenziato come l’utilizzo di cocaina sia un predittore significativo sia dell’essere vittima di violenza urbana che di essere artefice di questa tipologia di comportamenti; a differenza di ciò, il consumo di alcol è risultato avere solo un effetto indiretto su tali variabili, mediato dalla presenza di sintomi depressivi. La rilevanza di questi risultati, inoltre, si ha anche nel fatto che restano stabili indipendentemente dall’età e dal genere delle persone. Per concludere, quindi, sembrerebbe che l’utilizzo di cocaina sia un fattore di rischio più elevato del consumo di alcol rispetto ai comportamenti di violenza urbana, siano essi attivi o passivi, mentre il consumo di alcol ha maggiori effetti sulla presenza di sintomi depressivi, che a loro volta predicono questa tipologia di comportamenti.