QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

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numero 4 - gennaio 2013

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #4

Rassegna stampa #4

Le interazioni sociali nei giochi online

Negli ultimi anni si è assistito ad un enorme cambiamento nel comportamento di gioco: dall’essere soli davanti al computer al giocare con altre persone dislocate in ogni angolo del pianeta.  Ciò necessariamente comporta un nuovo modo di relazionarsi con persone sconosciute che diventano inconsapevolmente i nuovi compagni di gioco. La ricerca psicologica si è principalmente occupata di indagare il sorgere di comportamenti aggressivi e antisociali in questo tipo di interazioni, mentre meno interesse è stato dedicato alla tipologia di interazioni sociali che si instaurano in questo nuovo contesto. Con questo scopo, due ricercatori statunitensi hanno messo a punto uno studio coinvolgendo un campione di studenti universitari allo scopo di monitorarne i comportamenti durante una sessione di gioco online monitorata e manipolata sperimentalmente dai ricercatori stessi. I risultati hanno evidenziato come i ragazzi apprendano le modalità più opportune di comportarsi all’interno del gioco online osservando le modalità relazionali maggiormente utilizzate dagli altri partecipanti al gioco. Inoltre, è emerso come giochino un ruolo decisivo le aspettative individuali circa la relazione che si può instaurare con gli altri giocatori: ad esempio, se un ragazzo è convinto che troverà delle relazioni di tipo cooperativo molto probabilmente le sue stesse modalità relazionali tenderanno a confermare quest’aspettativa; allo stesso tempo, se lo stesso ragazzo è convinto di immergersi in una situazione altamente conflittuale, i suoi comportamenti saranno diversi e maggiormente appropriati ad una relazione sociale di questa natura. Nonostante ciò, è emerso come i partecipanti abbiano riportato dei livelli di divertimento minori e dei maggiori livelli di frustrazioni nelle situazioni in cui le relazioni con gli altri giocatori non sono state positive, ovvero caratterizzate da comportamenti antisociali.  L’importanza di questi risultati è data soprattutto dal fatto che l’apprendimento e le motivazioni individuali giocano un ruolo centrale nella gestione delle relazioni interpersonali tra giocatori online: in altre parole, non necessariamente le relazioni si caratterizzano per aggressività e conflitto ma ciò dipende, in larga parte, dalle aspettative e dalle motivazioni dei giocatori stessi. Ciò che questo lavoro non prende in considerazione, purtroppo, è la tipologia di gioco: ovvero, è possibile che le relazioni sociali si differenzino per tipologia di gioco? I giochi maggiormente violenti possono indurre certi tipi di relazioni nei partecipanti? Una risposta attualmente non c’è, ma potrebbe essere molto utile in futuro per poter meglio comprendere questo emergente e complesso fenomeno in modo tale da poter evitare di fare di tutta un’erba un fascio.

Ross, L. T. & Weaver, A. J. (2012). Shall we play a game? How the behavior of others influences strategy selection in a multiplayer game. Journal of Media Psychology, 24 (3), 102-112. 

  

Il rischio di suicidio non è democratico

Il suicidio, negli USA, è l’undicesima causa di morte e questo trend, purtroppo, da un lato non sembra essere in diminuzione e dall’altro non sembra essere un fenomeno solamente americano. Numerosi studi presenti in letteratura hanno cercato di identificare alcune cause di suicidio, evidenziano, ad esempio, come sia connesso con storie di abuso di sostanze e di problemi con la giustizia. Un interessante lavoro di un gruppo di studiosi statunitensi ha messo in luce come il rischio di suicidio sia maggiore in determinate categorie di persone. Ad esempio, da questo studio sono emerse una serie di variabili che sembrano essere legate ad una maggiore probabilità di suicidio: in particolare, nei risultati che si riferiscono ad un ampio campione americano, il tasso di suicidi è maggiore nelle donne; tra le numerose variabili indagate è possibile sottolineare come tale tasso sia maggiore tra le persone con un fallimento matrimoniale alle spalle, con un titolo di studio basso, senza un lavoro fisso, con problemi di alcool o di sostanze stupefacenti, e che hanno subito abusi fisici o sessuali. Inoltre, da questo studio emerge come negli USA il tasso di suicidi sia maggiore tra le persone di razza bianca. Infine, un ultimo risultato è che non sono state registrate differenze significative tra consumatori e non di marijuana. Lungi dal voler descrivere una serie di caratteristiche prototipiche della persona maggiormente a rischio di suicidio, l’importanza di questo contributo è data dal cercare di far luce su un comportamento in costante aumento e che spesso viene trascurato in maniera eccessiva: in altre parole, il mondo della psicologia in particolare ha tra i vari obiettivi quello di farsi carico di questa problematica e, adoperando la corretta chiave di lettura, anche lavori di questo genere permettono una maggior conoscenza del fenomeno che è alla base di ogni tipo di intervento possibile.

McCullumsmith, C. B., Clark, C. B., Perkins, A., Fife, J & Crospey, K. L (in stampa). Gender and racial differences for suicide attempters and ideators in a high-risk community corrections population. Crisis. 

 

Non tutti siamo uguali di fronte ad un computer

Nella vita di tutti i giorni ci troviamo sempre più spesso ad avere a che fare con i computer: per lavoro, per gioco, per necessità. Di conseguenza, il possesso di abilità di base nel loro utilizzo è diventato un requisito fondamentale per accedere ad una gran mole di posti di lavoro e, nondimeno, per poter effettuare numerose operazioni in modo poco dispendioso, come ad esempio pagare una bolletta. Con l’intento di misurare queste abilità di base, un gruppo di studiosi tedeschi ha messo a punto un test a riguardo. Questo studio offre degli spunti molto interessanti. Innanzitutto, è emersa una correlazione abbastanza debole, seppur significativa, tra i punteggi ottenuti al test e misure di autovalutazione in merito alle stesse abilità: in altre parole, il dichiararsi abili utilizzatori di computer non sembra incidere molto sulle reali abilità possedute. Un risultato molto interessante riguarda le differenze di genere: in particolare, i maschi hanno ottenuto dei punteggi significativamente superiori a quelli delle femmine sia per quel che riguarda le abilità che la velocità di utilizzo; nonostante questo risultato non sia del tutto sorprendente, è centrale evidenziare come queste differenze, pur essendo significative, non siano molto forti: in altre parole, l’idea comune secondo la quale i maschi sappiano utilizzare il computer meglio delle femmine viene confermata solo in parte e tale distanza sembra essersi notevolmente ridotta.

Goldhammer, F., Naumann, J. & Keßel, Y. (in stampa). Assessing individual differences in basic computer skills: Psychometric characteristics of an interactive performance measure. European Journal of Psychological Assessment. 

 

L’esperienza lavorativa è un bene prezioso

In questo particolare momento socio-economico nel quale le persone tendono ad uscire dal mercato del lavoro ad età sempre maggiore, il tema dell’esperienza professionale e della sua relazione con la performance lavorativa acquista sempre maggiore rilevanza. In tal senso, sono presenti numerosi lavori nella letteratura scientifica nazionale ed internazionale che enfatizzano tale relazione mostrando come una crescente esperienza sia positivamente associata ad una migliore prestazione lavorativa: in particolare, è stato trovato un valore soglia di 10 anni al di sopra del quale si può parlare di elevata esperienza della persona. Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori tedeschi, ha evidenziato come l’esperienza giochi un ruolo primario nella performance lavorativa anche in mansioni dall’elevato contenuto fisico dove i lavoratori giovani sono oggettivamente avvantaggiati. Ad esempio, nelle professioni che necessitano di un elevato controllo motorio, che è stato evidenziato come decresca con l’età delle persone, la performance di lavoratori anziani ma esperti sia comunque superiore rispetto a quella ottenuta da lavoratori giovani ma con un minor livello di esperienza. In particolare, da questo studio è emerso che la prestazione lavorativa dei giovani sia significativamente migliore di quella delle persone meno giovani e, al contempo, che tale gap dovuto all’età anagrafica venga colmato dall’esperienza posseduta, tanto che il gruppo di esperti ha avuto delle prestazioni significativamente migliori del gruppo di non esperti pur avendo un’età anagrafica maggiore. In base a ciò, emerge come problema cruciale e cioè quello della trasferibilità dell’esperienza lavorativa: infatti, è necessario riuscire a formare dei giovani lavoratori basandosi sull’esperienza posseduta dalle persone che si occupano della stessa mansione da molti anni così da non disperdere tale fondamentale bagaglio.

Vieluf, S., Mahmoodi, J., Godde, B., Reuter, E. & Voelcker-Rehage, C. (2012). The influence of age and work-related expertise on fine motor control. GeoPsych, 25 (4), 199-206.