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numero 38 - giugno 2016

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #38

Rassegna stampa #38

La violenza in famiglia: il caso dei figli contro i genitori

In letteratura numerosi studi si sono concentrati sulla violenza in ambito familiare, soprattutto quando questa si verifica tra i partner e quando è agita dal genitore nei confronti del figlio. Negli ultimi anni stanno aumentando i casi di violenza da parte dei figli verso i genitori: nonostante ciò, non si hanno molte indagini su questo tipo di violenza familiare intesa come una qualsiasi azione dei figlio atta a causare danni fisici, psicologici o economici a uno o entrambi i genitori. Analogamente alle altre forme di violenza, anche in questo caso la vittima tende a nascondere il danno ricevuto e a non denunciare l’accaduto. A differenza di ciò, si riscontrano alcune variabili che divergono rispetto alle altre situazioni di violenza familiare, ma in letteratura non si hanno sufficienti lavori per giungere a delle conclusioni certe. Per questo motivo, due ricercatori spagnoli hanno condotto uno studio su un gruppo di giovani che in passato hanno manifestato dei comportamenti violenti verso i propri genitori. Per meglio comprendere questo fenomeno, è stata indagata l’importanza dell’esposizione a condotte volente (a scuola, a casa o in televisione) e la loro relazione con variabili socio-cognitive come l’impulsività, la capacità di anticipazione delle conseguenze di determinate azioni sociali. Per meglio dettagliare i risultati, questo gruppo di ragazzi è stato confrontato con un gruppo di controllo formato da ragazzi senza una storia di violenza. I risultati hanno mostrato come coloro i quali hanno agito dei comportamenti violenti verso i propri genitori siano maggiormente esposti a comportamenti violenti, abbiano una maggior percezione di rifiuto da parte dei genitori, una maggior percezione di ostilità sociale. L’importanza di questo lavoro risiede sia nel fatto che porta alla luce dei comportamenti violenti poco studiati sia nelle implicazioni cliniche che ne derivano. Infatti, gli autori evidenziano come la diminuzione dell’esposizione alla violenza e un maggior accettazione da parte dei genitori verso il proprio figlio possano fungere da fattori di protezione circa queste condotte violente.

Contreras, L. & Cano, M. (2016). Child-to-parent violence: The role of exposure to violence and its relationship to social-cognitive processing. The European Journal of Psychology Applied to Legal Context, 8, 43-50. 

 

La relazione tra narcisismo e burnout

Nella letteratura scientifica internazionale il fenomeno del burnout è da tempo oggetto di numerosi studi, che si sono principalmente focalizzati sulla sua misurazione, sulle modalità di prevenzione e trattamento. Inoltre, sono stati sviluppati diversi modelli teorici che hanno enfatizzato la centralità dei fattori lavorativi come predittori del burnout. Nonostante ciò, numerosi studi hanno mostrato come persone nelle stesse condizioni lavorative reagiscano in modo diverso, senza che tutte sviluppino burnout. Per questo motivo, sembrano divenire fondamentali le variabili di personalità in grado di spiegare le differenze individuali nelle risposte a condizioni lavorative simili. Anche se ciò sembra essere ormai assodato, sono pochi gli studi che si sono concentrati sulle dimensioni di personalità e sulla loro relazione con il burnout: in particolare, in letteratura è stata indagata la relazione con la depressione, mentre non si hanno altrettanti lavori sulle altre dimensioni di personalità. A tal proposito, un team di studiosi provenienti dalla Svizzera, ha messo a punto uno studio, condotto su oltre 700 persone con problemi di burnout, per indagare la relazione tra narcisismo e tale quadro patologico. Al fine di comprendere quanto il narcisismo possa essere considerato un predittore del burnout, sono state condotte delle analisi statistiche sofisticate che hanno permesso di valutare questa relazione eliminando l’incidenza di altre variabili, come quelle anagrafiche o quelle legate a sintomi depressivi, che in letteratura sono già stati evidenziati come predittori. I risultati hanno mostrato che il narcisismo è un predittore significativo del burnout, e di alcune sue sfaccettature: in particolare, il narcisismo è un predittore dell’esaurimento emotivo e della personalizzazione. A differenza di ciò, non risulta essere un predittore della mancanza di risultati. In aggiunta, è emerso come il potere predittivo del narcisismo sia addirittura maggiore di quello dei sintomi depressisi. Per concludere, quindi, emerge come i fattori di personalità, in particolare il narcisismo, possano essere dei predittori del burnout e quindi debbano essere considerati nella progettazione della terapia per la risoluzione di questa problematica.

Schwarzkopf, K., Straus, D., Porschke, H., Znoj, H., Conrad, N., Schmidt-Truckass, A. & von Kanel, R. (2016). Empirical evidence for a relationship between narcissistic personality traits and job burnout. Burnout Research, 3, 25-33. 

 

Il gioco d’azzardo digitale e dal vivo

Il gioco d’azzardo digitale, ovvero attraverso un computer e una connessione a internet, è un’attività in costante crescita, non solo in Italia, tanto da essere una delle principali azioni svolte dalle persone che accedono al web. Questo tipo di comportamento non richiede interazioni sociali, come ad esempio il gioco d’azzardo dal vivo che necessariamente comporta delle interazioni tra le persone. Nonostante ciò, il fenomeno sembra essere in aumento a discapito di una diminuzione dei giocatori d’azzardo nei casinò. In letteratura, inoltre, non si hanno molti lavori che hanno indagato la relazione tra gioco d’azzardo online e dal vivo, sottovalutando l’importanza delle interazioni sociali in questo tipo di comportamento. Per questo motivo, un gruppo di ricercatori australiano ha messo a punto uno studio per esplorare la relazione tra il gioco d’azzardo nei casinò e quello digitale. La ricerca ha coinvolto oltre 500 giocatori con una durata di un anno. I risultati hanno mostrato che nella maggior parte dei giocatori d’azzardo che frequentano casinò, il gioco non ha un grande impatto economico nella propria vita, e solo un giocatore su 5 ha dichiarato di giocare per vincere dei soldi: tra questi, si ha una netta predominanza di maschi e di giovani, a riprova dell’importanza di variabili quali sesso e età. A differenza di ciò, la percentuale di giocatori online che dichiara di giocare per soldi è maggiore: probabilmente, ciò è dovuto alla mancanza di altre motivazioni, quali le relazioni sociali. A tal proposito, è importante sottolineare come i giocatori d’azzardo online riportino livelli più elevati di motivazione al gioco in pressoché tutte le sfaccettature analizzate: ovvero, oltre che per fare soldi, queste persone sono maggiormente motivate a giocare per passare il tempo, per distrarsi da giornate stressanti e faticose e per il brivido di giocare. In sintesi, questo studio evidenzia come modificando il canale utilizzato per giocare d’azzardo si abbia a che fare con persone diverse e dalle motivazioni differenti: per questo motivo, è quindi molto importante prendere in esame questi aspetti anche in ottica di prevenzione e di trattamento.

Gainsbury, S. M., Russell, A. M. T., King, D. L., Delfabbro, P. & Hing, N. (2016). Migration from social casino games to gambling: Motivations and characteristics of gamers who gamble. Computers in Human Behavior, 63, 59-67. 

 

Il ruolo dell’informazione visiva condivisa nella coordinazione dell’attenzione congiunta

Ricerche precedenti hanno identificato alcuni processi di coordinazione che rendono le persone in grado di mettere in atto azioni congiunte. Ma che cosa determina quali tra questi processi di coordinazione finalizzati all’azione congiunta vengono messi in atto dalle diverse persone coinvolte in una data situazione?
La presente ricerca intende verificare se variare le informazioni visive disponibili alle persone agenti possa produrre un cambiamento in riferimento ai processi di coordinazione. A questo scopo, a coppie di partecipanti è stato richiesto di mettere in atto un compito motorio che richiede che arrivino simultaneamente ad un target partendo da due diverse posizioni. Questa situazione, in cui è necessariamente richiesta la coordinazione motoria ai fini di un obiettivo congiunto, ha permesso di osservare che nel caso in cui i partecipanti di una coppia ricevevano feedback esclusivamente uditivi circa la tempistica con cui il proprio partner raggiunge il target, questi mantenevano costante la durata dei movimenti per facilitare la coordinazione. Quando invece ricevevano informazioni visive addizionali relative ai reciproci movimenti, attivavano un processo di coordinazione radicalmente diverso, esagerando i propri movimento per segnalare il proprio approssimarsi al punto di arrivo. Questi risultati indicano che la disponibilità di informazioni percettive condivise è un fattore di primaria importanza nel determinare come le persone coordinano i propri movimenti per ottenere un obiettivo condiviso.
Queste informazioni potrebbero costituire uno spunto di riflessione per coloro che si occupano di attività sportive, ma anche per chi si dedica all’ambito della riabilitazione motoria.

Vesper, C., Schmitz, L., Safra, L., Sebanz, N. & Knoblich, G. (2016). The role of shared visual information for joint action coordination. Cognition, 153, 118-123.