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numero 37 - maggio 2016

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #37

Rassegna stampa #37

Il fumo incide anche sul benessere accademico

In letteratura sono stati pubblicati molti studi circa la relazione tra la performance accademica e le abitudini di fumo degli studenti: in particolare è emersa una relazione negativa tra le due variabili, ovvero gli studenti con elevate performance accademiche fumano meno degli altri. Nonostante ciò, non ci sono lavori che si sono concentrati sulla relazione tra il fumo e il benessere accademico degli studenti. Per indagare questo aspetto, un pool internazionale di ricercatori ha esaminato un insieme di oltre 10000 studenti universitari di sei diverse città europee. I risultati hanno innanzitutto mostrato livelli diversi di benessere accademico tra gli studenti dei sei diversi paesi: in particolare, è emerso come gli studenti italiani siano tra quelli con il peggior benessere accademico rispetto ai colleghi degli altri paesi. Inoltre, è emerso come le studentesse mostrano maggiori livelli di burnout rispetto ai maschi e, al contempo, abbiano una maggior motivazione rispetto al percorso accademico. Per quanto riguarda il comportamento di fumo, sono emerse delle correlazioni molto interessanti e in linea con le ipotesi degli studiosi: il numero di sigarette consumate ogni giorno mostra una relazione positiva con il burnout accademico, e delle relazioni negative con la motivazione accademica e, soprattutto, con la performance accademica. A conferma di tale risultato, questo pattern di correlazioni resta invariato anche nei sottocampioni differenziati per genere, così come nelle singole realtà accademiche. Sulla base di questi risultati, quindi, emerge come una bassa motivazione accademica sia un fattore di rischio rispetto al comportamento di fumo, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Restando fermi all’interno del panorama accademico, questo studio conferma come il fumo sia in relazione con la performance accademica: il quantitativo di sigarette fumate quotidianamente è in relazione con un basso successo accademico.

Kinnunen, J. M., Lindfors, P., Rimpela, A., Salmela-Aro, K., Rathmann, K., Perelman, J., Federico, B., Richter, M., Kunst, A. E. & Lorant, V. (2016). Academic well-being and smoking among 14- to 17-year-old schoolchildren in six European cities. Journal of Adolescence, 50, 56-64. 

 

L’aiuto tra compagni di classe: modalità e finalità diverse

Gli studenti spesso incontrano delle difficoltà nel loro percorso scolastico e per questo motivo chiedono aiuto agli insegnanti o agli altri studenti. Mentre molte ricerche si sono concentrate sul comportamento di richiesta di aiuto agli insegnanti, meno lavori hanno analizzato la richiesta di aiuto agli altri studenti. Tali richieste vengono divise in tre categorie: la richiesta di aiuto adattiva, ovvero la tendenza a chiedere un aiuto appropriato nel momento del bisogno con la motivazione ad apprendere, la richiesta di aiuto come espediente, ovvero la tendenza a chiedere un aiuto per il raggiungimento di un obiettivo specifico senza una reale motivazione ad apprendere, e l’evitare di chiedere aiuto, ovvero la tendenza a non chiedere aiuto quando questo sarebbe appropriato. Oltre a ciò, la richiesta di aiuto agli altri studenti coinvolge necessariamente degli obiettivi sociali, come ad esempio l’entrare in relazione con studenti popolari a instaurare una relazione di dominanza con altri studenti. Al fine di indagare questi aspetti, due ricercatori hanno condotto uno studio su 345 studenti di 11 e 12 anni. I risultati hanno mostrato una relazione positiva tra la richiesta di aiuto adattiva e l’efficacia scolastica, il supporto degli insegnanti; la relazione diventa negativa con l’efficacia sociale: alla luce di ciò, quindi, i ragazzi che richiedono un aiuto adattivo mostrano delle minori competenze sociali degli altri. A conferma di questo tipo di relazione, è emersa una correlazione positiva tra l’efficacia sociale e l’evitare di chiedere aiuto: sembra confermato, quindi, che i ragazzi con maggiori abilità sociali evitino di chiedere aiuto ai compagni anche quando ne hanno effettivamente bisogno; il rischio di questo tipo di comportamento viene evidenziato dalla forte relazione negativa con l’efficacia scolastica: i bambini con scarse performance scolastiche, quindi, evitano di chiedere aiuto ai propri compagni pur sapendo di averne bisogno. Un risultato particolarmente interessante riguarda la richiesta di aiuto come espediente: questa è in relazione con obiettivi sociali connessi alla richiesta, come la popolarità o la dominanza, mentre mostra una relazione negativa con l’efficacia scolastica; alla luce di ciò, i ragazzi che richiedono aiuto solo per raggiungere un determinato obiettivo sono molto popolari e non sono interessati a migliorare realmente il proprio apprendimento. In sintesi, questo studio fa emergere delle dinamiche relazionali tra pari molto interessanti e ha molti risvolti applicativi: ad esempio, incoraggiare un reale aiuto tra compagni non solo per evitare dei fallimenti.

Kiefer, S. M. & Shim, S. S. (2016). Academic help seeking from peers during adolescence: The role of social goals. Journal of Applied Developmental Psychology, 42, 80-88. 

 

Il testing effect non è legato alla modalità di presentazione degli stimoli

Il fenomeno del testing effect, ampiamente studiato nella letteratura scientifica, si riferisce al ricordo in memoria del compito e del materiale testistico precedentemente somministrato ad un rispondente. I risultati presenti in letteratura hanno dimostrato la presenza del testing effect in compiti verbali e non verbali quando questi vengono presentati su carta e matita e a schermo. A differenza di ciò, non si hanno risultati univoci sulla presenza del testing effect quando il materiale della prova viene presentato oralmente, senza richiedere nessun tipo di compito visivo: in alcuni casi è stato trovato un vantaggio per le persone che avevano già risposto alla prova, mentre in altri lavori tale vantaggio è calato vistosamente: in particolare, è emerso come il materiale presentato verbalmente venga ricordato per meno tempo, portando ad un vantaggio minore quando aumenta il tempo tra le due somministrazioni della prova. Per verificare questa ipotesi, due ricercatori hanno condotto uno studio su circa 100 studenti universitari ai quali veniva presentata una lista di 90 parole, sia visivamente a schermo che oralmente attraverso l’uso di cuffie. I risultati hanno evidenziato come, indipendentemente dalla modalità di somministrazione, i partecipanti avevano un vantaggio nella seconda somministrazione, a conferma della presenza del testing effect. Il risultato più importante di questo lavoro riguarda la differenza tra le due diverse modalità di presentazione: in particolare, è emerso come non ci siano differenze tra la presentazione visiva e quella orale, a conferma del fatto che il testing effect è lo stesso nei due casi e non dipende da come il materiale testistico viene presentato. Per concludere, gli autori si sono focalizzati sulle conseguenze applicative di questo studio: la presenza del testing effect, anche con presentazione orale, testimonia come il materiale venga comunque memorizzato dalla persona aumentando l’efficacia dell’utilizzo di materiale orale per l’apprendimento. Per questo motivo, quindi, i ricercatori consigliano di utilizzare non solo materiale visivo nell’insegnamento, ma di alternarlo con del materiale orale data la sua comprovata efficacia e la semplicità di utilizzo di questo tipo di stimolo.

Pierce, B. H. & Hawthorne, M. J. (2016). Does the testing effect depend on presentation modality? Journal of Applied Research in Memory and Cognition, 5, 52-58. 

 

Lo stress predice la dipendenza da nicotina

In letteratura scientifica c’è un ampio corpo di studi che ha indagato la relazione tra lo stress e l’uso di sostanze, evidenziando come l’elemento cruciale sia la modalità in cui l’evento stressante viene valutato e interiorizzato dalla persona, a prescindere dall’oggettiva forza di tale evento. Tra le molte conseguenza che comporta l’esposizione ad un evento stressante, una riguarda il fumo: ad esempio, i fumatori riportano maggiori livelli di stress dei non fumatori; infatti, è stata evidenziata una relazione tra la dipendenza da nicotina e lo stress percepito. Al fine di meglio comprendere la natura di questo fenomeno, un gruppo di studiosi ha messo a punto una ricerca su oltre 350 adulti fumatori. I risultati hanno mostrato, in linea con le ipotesi, che lo stress percepito ha un’influenza indiretta sul consumo da nicotina indipendentemente dal genere della persona: ovvero, questa relazione è la stessa sia nei maschi che nelle femmine. In particolare, sembra che la dipendenza da nicotina sia un tipo di risposta che permetta di non pensare agli eventi percepiti come stressanti, come se fosse un rifugio sicuro da utilizzare ogni qual volta il livello di stress si innalzi sopra un certo livello di guardia. La comprensione di questo meccanismo può aiutare nella pratica clinica a comprendere come modificare il comportamento di fumo nelle persone, andando a ridurne la dipendenza da nicotina. Ad esempio, gli autori suggeriscono che la centralità di questa relazione non risieda nell’evento stressante in sé, ma nella percezione che l’evento ha nelle persone e nelle strategie di coping che la persona mette in atto per rispondere all’evento stressante. Sembra infatti, che la dipendenza da nicotina sia una sorta di risposta automatizzata ad aventi percepiti come stressanti: a questo punto, il clinico può concentrarsi sulla riduzione della percezione stressante dell’evento e, al contempo, sul miglioramento delle capacità di coping adattive in modo tale da indirettamente combattere la dipendenza da nicotina.

Garey, L., Farris, S. G., Schmidt, N. B. & Zvolensky, M. J. (2016). The role of smoking-specific experiential avoidance in the relation between perceived stress and tobacco dependence, perceived barriers to cessation, and problems during quit attempts among treatment-seeking smokers. Journal of Contextual Behavioral Science, 5, 58-63.