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numero 29 - luglio 2015

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #29

Rassegna stampa #29

L’effetto delle interruzioni durante un compito sulla necessità di arrivare a una risoluzione

Gli esseri umani sperimentano oggi una frequenza di interruzioni maggiore che mai. Interruzioni attraverso e-mail, telefonate, messaggi di testo si verificano ovunque. Nella ricerca passata le interruzioni sono state frequentemente operazionalizzate come compiti secondari che gli individui devono completare prima di poter tornare all’attività principale oppure come meccanici fallimenti che disturbano l’esecuzione del task focale. In questo studio si intende esplorare la possibilità che le interruzioni sperimentate nei momenti culminanti di un compito o di un’attività possano produrre un maggiore bisogno di chiusura cognitiva, ovvero accrescano la necessità di scacciare l’ambiguità con una risposta risoluta. La motivazione a portare a termine un compito infatti è differente a seconda che ci troviamo o meno ad un punto particolarmente intenso, avvincente o importante di qualcosa. Questo perché tale tipologia di interruzione impedisce al soggetto di pervenire all’imminente soluzione. Quando all’individuo viene impedito di portare a termine il compito in cui è impegnato, l’insoddisfazione generata può portarlo a cercare una risoluzione in domini totalmente incorrelati e che niente hanno a che vedere con l’attivazione iniziale. Questi risultati hanno importanti implicazioni per la comprensione di come le decisioni dei consumatori possono scaturire dal dinamico, e spesso interrotto, corso degli eventi giornalieri. C’è chi ha rilevato che l’eventuale arresto determini nel consumatore una preferenza per il desiderabile rispetto al fattibile e chi ha sottolineato come frequenti interruzioni durante il processo di acquisto online producano alti livelli di insoddisfazione nell’acquirente. Altri fanno derivare le conseguenze emotive delle interruzioni dal valore che l’attività ricopre per il soggetto. Di sicuro l’insoddisfazione generata porta più facilmente a una decisione d’acquisto (anche in un altro settore) che alla reiterazione del processo di valutazione delle alternative circa il prodotto. Queste ipotesi sono state ampiamente confermate attraverso i 4 studi che hanno portato a termine gli autori: interruzioni in momenti culminanti determinano un incremento nella probabilità di decisioni d’acquisto in domini incorrelati, con il maggiore bisogno di chiusura a fare da mediatore nella relazione. Infine si produce un impatto proprio sul reale comportamento di scelta e non solo sulle decisioni. Questa ricerca è la prima a suggerire che il bisogno situazionale di chiusura possa influenzare il comportamento in un contesto non correlato al dominio nel quale tale bisogno ha avuto origine.

Kupor, D. M., Reich, T. & Shiv, B. (2015). Can't finish what you started? The effect of climactic interruption on behavior. Journal of Consumer Psychology 25(1), 113–119.

 

Differenze di genere nel riconoscimento della minaccia di infedeltà

Le persone generalmente aspirano ad avere relazioni sentimentali che richiedono un certo grado di impegno. Queste tuttavia sono minacciate dall’infedeltà del partner. La presente ricerca intende testare un nuovo modello di riconoscimento dell’infedeltà, l’ipotesi della sensibilità alla rivalità, la quale implica che le donne, dotate di maggiore sensibilità rispetto agli uomini per i segnali di infedeltà, tenderebbero a focalizzare la loro attenzione sui potenziali rivali (altre donne) in prossimità del loro compagno. Contrariamente gli uomini sarebbero maggiormente orientati verso strategie basate sulla dominanza per monitorare così le intenzioni della propria partner. Per le donne, la possibilità di scongiurare una minaccia ancor prima che si materializzi diventa fondamentale. A dimostrazione di quanto appena detto è stata messa a punto una serie di 4 studi: il primo per analizzare se in generale le donne sono più sensibili degli uomini verso l’infedeltà, il secondo per capire se sono anche più accurate nel cogliere i segnali di infedeltà, il terzo per sapere se tale maggiore accuratezza può essere estesa anche ad altre tipologie di minaccia e il quarto per testare proprio l’ipotesi della sensibilità alla rivalità di cui sopra. Gli autori hanno riscontrato come le donne effettivamente mostrino maggiore vigilanza nei confronti dei segnali di tradimento potenziale da parte del partner, considerando un maggior numero di eventi, anche quelli più ambigui, come caratterizzati dalla minaccia di infedeltà; hanno rilevato poi che queste sono più veloci e accurate nell’individuare scene costituenti una potenziale minaccia di infedeltà; infine è emerso che non sono migliori degli uomini nel rispondere ad altro genere di minacce, come per esempio agli animali velenosi. L’ipotesi della sensibilità alla rivalità è stata quindi verificata con l’ultimo studio, nel quale è emerso che le donne dirigono più facilmente la loro attenzione verso le altre donne presenti nell’ambiente che circonda il proprio compagno, identificandole come minacce, mentre gli uomini sono focalizzati principalmente sull’osservazione del comportamento delle proprie partner. Per le donne una buona strategia di difesa della propria relazione potrebbe essere quella di assicurarsi che altre donne non cerchino di sottrarre loro il partner, agli uomini invece basterebbe assicurarsi che la propria partner non sia sensibile alle avance di altri uomini. Questo è in linea col filone di ricerca sull’argomento che vuole le donne più impegnate nell’utilizzo di strategie indirette per la salvaguardia del loro rapporto. Inoltre tali risultati confermerebbero la maggiore empatia dimostrata dalle partner femminili in altri studi nel decifrare e cercare di prevedere le intenzioni e i sentimenti degli altri.  

Ein-Dor, T., Perry-Paldi, A., Hirschberger, G., Birnbaum, G. E. & Deutsch, D. (2015). Coping with mate poaching: gender differences in detection of infidelity-related threats. Evolution and Human Behavior, 36, 17-24.

 

Ridurre lo stigma dei disturbi mentali al lavoro: una revisione dei programmi di intervento anti-stigma sul posto di lavoro attuale

Lo stigma è stato descritto come uno dei più grandi ostacoli per coloro ai quali  è stato diagnosticato un disturbo mentale, con conseguenze negative che incidono in tutti gli aspetti della vita, compresa l’attività lavorativa. Sebbene esistano molte iniziative volte a contrastare lo stigma nella popolazione, viene riconosciuta in particolare la necessità di interventi sul luogo di lavoro, volti a ridurre o ad eliminare lo stigma. Stanno infatti nascendo programmi di lavoro focalizzati e specifici per rispondere a questa esigenza. Questa ricerca descrive gli sforzi atti a ridurre lo stigma legato a disturbi mentali nei luoghi di lavoro, riportando vari interventi in ambito lavorativo che vanno dai programmi internazionali a quelli regionali, esaminando inoltre programmi di intervento espletati in formati differenti, da workshop a corsi e-learning, per citare alcuni esempi. Questi programmi anche se differenti hanno in comune l’obiettivo di ridurre lo stigma associato ai disturbi mentali e di conseguenza creare posti di lavoro maggiormente sicuri. Questa rassegna è stata messa a punto al fine di sensibilizzare e favorire una riflessione sui disturbi mentali e sullo stigma ad essi associati, e quindi per ragionare sull’implementazione di opportuni programmi anti stigma.  

Szeto, A.C.H. & Dobson, K.S. (2010). Reducing the stigma of mental disorders at work: A review of current workplace anti-stigma intervention programs. Applied and Preventive Psychology, 14, 41-56.

 

Dimensioni della disregolazione emotiva nell’anorressia nervosa e nella bulimia nervosa: una revisione concettuale della letteratura empirica

Sono diversi i modelli teorici esistenti che sottolineano il ruolo della disregolazione emotiva nei disturbi alimentari. Il presente articolo utilizza il modello multidimensionale di Gratz e Roemer (2004) di regolazione e disregolazione delle emozioni come quadro clinicamente rilevante al fine di rivedere la letteratura esistente circa la disregolazione emotiva nell'anorressia nervosa (AN) e nella bulimia nervosa (BN). In particolare, le dimensioni esaminate comprendono: (1) l'uso flessibile di strategie adattative e situazionali appropriate per modulare la durata e/o l’intensità delle risposte emotive, (2) la capacità di inibire con successo il  comportamento impulsivo e mantenere il comportamento orientato allo scopo nell'attivazione emotiva, (3) la consapevolezza, chiarezza, e accettazione degli stati emotivi, e (4) la disponibilità a sperimentare l’attivazione emotiva nel perseguire attività significative. L'attuale revisione suggerisce che sia AN che BN sono caratterizzate da ampi deficit di regolazione delle emozioni, con difficoltà nella regolazione emotiva attraverso le quattro dimensioni sopracitate. La rassegna propone una discussione delle implicazioni cliniche dei risultati, nonché una sintesi dei limiti della letteratura empirica esistente e infine dei suggerimenti per la ricerca futura. I prossimi lavori, utilizzando disegni multi-metodo, aiuteranno a chiarire la natura della disregolazione emotiva in AN e BN, e fornirà ulteriori dati sulla misura in cui i deficit di regolazione emotiva costituiscono un fattore di rischio per il funzionamento psicologico personale. I risultati di studi come questi consentiranno di migliorare gli interventi esistenti e fornire nuovi trattamenti evidence based per AN e BN.

Lavender, J.M., Wonderlich, S.A., Engel, S.G., Gordon, K.H., Kaye, W.H. & Mitchell, J.E. (2015). Dimensions of emotion dysregulation in anorexia nervosa and bulimia nervosa: A conceptual review of the empirical literature. Clinical Psychology Review, 40, 111-122.