QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

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numero 26 - aprile 2015

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Rassegna stampa

Rassegna stampa #26

Rassegna stampa #26

Cyber-bullismo e emozioni morali

La frequenza di cyber-bullismo fra gli utenti di internet è in forte incremento. Con lo sviluppo della rete infatti la connessione fra un individuo e l’altro è diventata più facile e immediata. Se questo da una parte soddisfa la naturale necessità dell’essere umano di stabilire contatti per evitare il sentimento di solitudine, dall’altra determina anche delle conseguenze negative. L’American Psychological Association definisce il bullismo come un comportamento aggressivo ripetuto messo in atto da un individuo, che causa sofferenza ad un altro. Può assumere la forma di contatto fisico, sarcasmo o di altri atti molesti all’interno del gruppo. Attraverso i cyber media si presenta come insulto, scherno o insieme di notizie volte a screditare la posizione di qualcuno. Le conseguenze in genere riguardano lo sviluppo da parte della vittima di depressione, bassa autostima, ansia, tendenze suicide e sintomi psicosomatici come emicranie e disturbi del sonno. Il bullismo sia nel mondo reale che in quello cibernetico rappresenta una grave violazione alle norme. È correlato con la valutazione morale dell’individuo. Un’emozione morale è un qualcosa che emerge quando un soggetto valuta il proprio comportamento basandosi su standard e valori morali. La ricerca corrente si chiede se qualcuna delle emozioni morali, per esempio la vergogna, la colpa o l’indifferenza abbia una correlazione con questo fenomeno e in che misura, soprattutto fra gli adolescenti. Su un campione di 160 soggetti, è stato osservato che gli uomini sono mediamente più coinvolti delle donne e i ragazzi delle high school più degli studenti universitari. Questo risultato può essere dovuto al fatto che, a parità di età, le femmine sono generalmente più mature dei maschi e che negli anni del college si è più capaci di gestire le emozioni, oltre che la propria aggressività, di fronte ai cambiamenti nelle situazioni sociali. Scendendo nello specifico, si è visto che la colpa costituisce il miglior predittore fra le emozioni morali nell’influenzare un individuo ad agire un comportamento di cyber-bullismo. Il sentimento legato alla peccaminosità nella vita reale non incide sui valori morali del soggetto navigante in internet a causa dell’esistenza dell’immaginazione dissociativa: esso potrebbe considerare ciò che sta facendo un semplice gioco. Per quanto concerne le altre emozioni morali, vergogna, indifferenza, esternazione e orgoglio hanno una correlazione negativa con il cyber-bullismo: quando i loro livelli sono elevati, la tendenza a mettere in atto un tale comportamento è minore. 

Suparlia, A. S. & Ramdhani, N. (2015) Does Moral Emotion Plays Role in Cyber-bullying?Procedia - Social and Behavioral Sciences, 165, 202-207.

 

Felicità soggettiva e memoria autobiografica

Lo studio intende investigare la relazione fra felicità soggettiva e memorie autobiografiche, partendo dal presupposto dell’autore che ciò che distingue le persone felici da quelle infelici riguardi tre possibili fattori:  il numero di memorie emotive positive, l’intensità di queste e le differenze nell’espressione o nella trasmissione degli eventi emotivi. Generalmente le persone felici percepiscono, pensano e valutano determinati eventi della loro vita in modi più positivi. Studi precedenti sulla memoria emotiva hanno mostrato che i nostri ricordi tendono ad essere distorti in positivo e che emerge una certa predilezione per quelli piacevoli. Quando gli individui si trovano in uno stato d’animo negativo (depressione, ansia sociale per esempio) invece tendono a focalizzarsi sulle memorie autobiografiche più negative (ricordo coerente con lo stato d’animo). Per questo nello studio corrente, l’autore ha cercato di neutralizzare lo stato d’animo dei partecipanti prima della prova di ricordo. Secondo alcuni studi l'intensità costituirebbe uno dei predittori più ricorrenti delle proprietà delle memorie autobiografiche: soprattutto da questa deriverebbe gran parte dell’effetto degli stati emotivi sui ricordi. Reazioni più intense e durature agli eventi sono associate a un migliore ricordo degli stessi. Dal momento che persone felici hanno relazioni più soddisfacenti, probabilmente queste saranno anche più motivate a condividere. Comunicare, anche per scritto i propri sentimenti ha un effetto benefico per la propria salute e il benessere. Il disegno della ricerca permette di valutare l’impatto sulle memorie autobiografiche dei diversi livelli di cambiamento nella felicità soggettiva. Il primo grande risultato è che la proporzione di richiami di eventi emotivi positivi incrementa all’aumentare del livello di felicità soggettiva. In maniera simile, individui infelici hanno un più ampio numero di ricordi negativi. Questo perché probabilmente le persone percepiscono e ricostruiscono memorie passate a partire dallo stato d’animo corrente. Il secondo dato indica che le persone meno felici tendono a raccontare le proprie esperienze in minor misura rispetto alle persone mediamente o molto felici. Questo suggerisce che esiste una relazione fra metodi di espressione emotiva e felicità personale. Persone infelici in genere non hanno molti contatti. L’ultimo risultato riguarda il fatto che l’intensità delle emozioni non presenta correlazioni con le differenze nella felicità individuale, ovvero l’intensità di emozioni positive e negative non rappresenta un fattore nel determinare la felicità di un soggetto nel ricordare eventi autobiografici.  

Otake, K. (2015). Subjective happiness and autobiographical memory: Differences in the ratio of positive events and transmission as emotional expression. Personality and Individual Differences, 72, 171-176.

 

Visitare un museo è ancora un’esperienza piacevole

Le presenze nei musei e nelle gallerie d’arte sono in continuo aumento, per nulla minacciate dalle alternative online, costituite dai nuovi tour e gallerie virtuali. Il dato è ancora più entusiasmante se comparato con l’incremento delle attività culturali consumate attraverso i media digitali (musica, letteratura, giochi di ruolo), immediatamente fruibili indipendentemente dal luogo in cui ci si trovi. Nonostante questo, il valore psicologico dell’esperienza reale che si fa al museo rimane poco chiaro, poiché la visita culturale dal vivo e negli altri contesti non è ancora stata confrontata in tutta la sua estensione. Recentemente la crescente consapevolezza fra i ricercatori circa la rilevanza dei fattori ecologici per l’esperienza artistica, così come il ruolo sempre maggiore  nel campo delle scienze cognitive dei vincoli contestuali per la percezione, la memoria e l’azione hanno messo in discussione la teoria del formalismo (centralità delle proprietà formali, specialmente nelle combinazioni e arrangiamenti di linee, colori, forme, indipendentemente dal tempo e dal luogo). In questa ricerca gli autori esaminano il gradimento e il ricordo di una mostra d’arte quando è ospitata in un museo e quando invece è ammirata sotto forma di versione simulata al computer in laboratorio. In linea con i postulati dell’approccio della cognizione situata, essi hanno mostrato come l’esperienza artistica dipenda dalle risorse presenti nell’ambiente. Nello specifico si è trovato che le opere d’arte erano più eccitanti, positive, interessanti e piacevoli all’interno del museo che nella riproduzione in laboratorio. Per di più coloro che avevano visto la mostra nel museo successivamente erano in grado di richiamare in memoria più opere d’arte e nel farlo utilizzavano maggiormente le disposizioni spaziali come segnali per facilitare il ricordo. Pertanto imbattersi concretamente nelle opere presenti all’interno del museo accresce il livello dei processi cognitivi e affettivi coinvolti nell’apprezzamento dell’arte e arricchisce la quantità di informazioni incamerate nella memoria a lungo termine. Diverse sono le caratteristiche inerenti ad una visita a un museo che possono portare ai risultati osservati: la dimensione più imponente delle opere, l’originalità di queste e il fatto che l’ambiente in cui è esposto contribuisce ad accrescere lo status di un oggetto gradevole come opera d’arte. Infine aiuta anche il fatto di possedere aspettative sulla superiorità dell’esperienza in situ rispetto a quella virtuale.

Brieber, D., Nadal, M. & Leder, H. (2015). In the white cube: Museum context enhances the valuation and memory of art. Acta Psychologica, 154, 36-42.

 

L’abito fa il criminale?

Le procedure di identificazione del singolo sospettato sono considerate dai ricercatori delle scienze sociali più suggestive dei tradizionali confronti all’americana. Seppure la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America abbia dichiarato inaffidabili tali procedure, si stima che nel 77% dei casi di crimine con testimone sono preferite alle alternative. Il focus dello studio è sul ruolo giocato da un fattore in particolare che sarebbe in grado influenzare l’affidabilità di questa procedura di riconoscimento: secondo alcuni contributi precedenti sull’argomento infatti l’eventuale corrispondenza nell’abbigliamento del sospettato rispetto al soggetto ricordato dal testimone sarebbe alla base di un buon numero di false identificazioni. Molto spesso le descrizioni dei testimoni oculari comprendono dettagli sui vestiti dei colpevoli. Generalmente però le persone indossano abiti comuni, molto simili fra loro. Nella letteratura questo fenomeno è stato identificato come bias dell’abbigliamento. È stato rilevato che tale distorsione era accentuata quando i due soggetti del confronto si assomigliavano anche nell’aspetto o quando indossavano loghi o simboli caratteristici (es. Harley Davidson). Si stima che un’eventuale corrispondenza nell’abbigliamento possa influenzare la prestazione di riconoscimento in due modi: alterando l’abilità di discriminare fra colpevole e innocente oppure agendo sul bias nella risposta. Nello studio presente, ai partecipanti veniva fatto vedere un video simulato in cui era commesso un crimine. Successivamente si chiedeva loro di compiere un'identificazione del singolo sospettato sia in una condizione di corrispondenza degli abiti che in una condizione di non corrispondenza. La migliore abilità discriminativa si aveva quando colpevole e innocente indossavano abiti corrispondenti a quelli indossati durante la simulazione del crimine. Inoltre la probabilità che i partecipanti fossero accurati nell’identificazione aumentava se questi erano in grado di integrare gli stimoli come il cappello o la maglietta e la codifica del viso in una visione d’insieme. Nonostante questo, anche il contesto associato (ogni informazione periferica rispetto al compito cognitivo e quindi anche l’abbigliamento se non integrato adeguatamente nell’elaborazione) sembrava avere un peso nella scelta e la sua valutazione era alla base di molte false identificazioni. Questi risultati possono apparire in controtendenza rispetto alla conclusione generalmente accettata che la corrispondenza degli abiti danneggi la capacità del testimone di distinguere un innocente da un colpevole.  

Wetmor, S. A., Neuschatz, J. S., Gronlund, S. D., Key, K. N. & Goodsell, C. A. (2015). Do the clothes make the criminal? The Influence of clothing match on identification accuracy in showups. Journal of Applied Research in Memory and Cognition, 4, 36-42.