Rassegna stampa
Rassegna stampa #24
Rassegna stampa #24
L’importanza di un buon sonno nei pazienti con disturbo bipolare o depressivo
In letteratura sono molti i lavori che hanno attestano una relazione tra i disturbi del sonno e problemi di disregolazione emotiva, tanto che i disturbi del sonno sono uno dei principali sintomi di episodi maniacali o depressivi. I pazienti solitamente dormono poco durante episodi maniacali, mentre hanno problemi di insonnia durante gli episodi depressivi, che non diminuiscono neanche durante la fase remissiva. Inoltre, i disturbi del sonno sono in relazione anche con la qualità della vita della persona e con il rischio di suicidio. Nonostante ciò, sono pochi gli studi che si sono concentrati sullo studio di tali problemi nella popolazione dei pazienti diagnosticati con disturbo bipolare o depressivo. A tal fine, un gruppo di ricercatori di Taiwan ha condotto uno studio per indagare la presenza di questo tipo di disturbi del sonno in pazienti diagnosticati e nei loro familiari per valutare anche la possibile ereditarietà di tali disturbi. I risultati hanno mostrato una debole ma significativa componente ereditaria sia nei pazienti con disturbo bipolare sia nei pazienti con disturbo depressivo. Inoltre, è emerso come i problemi riguardino soprattutto la durata del sonno, che diventa problematica se inferiore a 6 ore o superiore a 9 ore, e l’insonnia. In particolare, una percentuale compresa tra il 75% e 85% dei pazienti ha manifestato una bassa qualità del sonno. Per questo motivo, i problemi del sonno innescano una sorta di circolo vizioso che non fa altro che peggiorare la situazione dei pazienti affetti da disturbo bipolare o depressivo. Per questo motivo, gli autori suggeriscono, in questi casi, di monitorare la qualità del sonno intervenendo con farmaci che aiutino ad aumentarne la qualità e con una terapia cognitivo-comportamentale focalizzata sul problema dell’insonnia. In sintesi, quindi, questo studio non solo evidenzia l’importanza di un buon sonno in pazienti bipolari e depressi ma fornisce anche degli strumenti per evitare che si inneschi un circolo vizioso che non possa fare altro che peggiorare la già bassa qualità della vita di queste persone.
Abbuffarsi davanti alla televisione
L’abbuffarsi di cibo, che in inglese è detto binge eating, è un disturbo del comportamento alimentare che può diventare patologico. Si verifica quando le persone mangiano in modo smodato e senza alcun tipo di freno in poco tempo ed è considerato un elemento caratteristico di molti disturbi dell’alimentazione, come ad esempio la bulimia. Un recente studio ha mostrato come circa tre quarti delle persone che soffrono di questo problema ha al contempo difficoltà connesse all’uso di sostanze e all’ansia. Ad avvalorare l’importanza di questo problema è il fatto che questo rappresenta la principale causa di fallimento nelle diete. Inoltre, in letteratura sono presenti studi che attestano la relazione tra i comportamenti connessi all’assunzione di cibo e variabili genetiche, alla depressione e anche al tempo passato davanti alla televisione. Nonostante ciò, non sono presenti in letteratura degli studi che analizzano la relazione tra il binge eating e il guardare la televisione nei pazienti obesi che devono necessariamente avere un regime alimentare controllato. Due ricercatori statunitensi, quindi, hanno condotto uno studio su un ampio campione di persone con problemi di peso sottoposte a una dieta ferrea analizzando l’influenza che ha il tempo passato davanti alla televisione sui loro comportamenti alimentari. I risultati hanno evidenziato come ci sia una forte relazione tra le due variabili: in particolare, all’aumentare del numero di ore passate davanti alla televisione incrementano i comportamenti di binge eating. Oltre a questo risultato, è emerso come questi comportamenti siano in relazione con altri outcome connessi alla salute fisica e mentale della persona, come ad esempio la depressione. Un altro risultato molto interessante riguarda l’indipendenza di questi comportamenti, e di queste relazioni, con variabili anagrafiche come età e sesso: in altre parole, questa relazione è la stesa nei maschi e nelle femmine di tutte le età, così come uguali restano le conseguenze. In conclusione, questo lavoro mette in guardia rispetto all’utilizzo della televisione, soprattutto in persone obese, non solo per quel che riguarda il problema del peso ma anche, e soprattutto, in relazione ad altre variabili connesse alla salute: ciò è vero non soltanto per lo stile di vita sedentario che il guardare a lungo la televisione comporta, ma per i problemi alimentari ad esso connessi.
La discriminazione degli obesi nei social network
Il pregiudizio contro le persone obese è ampiamente documentato e numerosi lavori evidenziano come questo sia accettato dalla società molto di più di altre forme di pregiudizio, come ad esempio il razzismo. Le persone obese vengono viste come individui dalla dubbia moralità e con poco autocontrollo. Inoltre, il problema della discriminazione dei bambini obesi è ampiamente connesso ad episodi di bullismo, infatti i bambini sovrappeso sono molto più spesso vittime di bullismo rispetto agli altri. Un’ulteriore aggravante è data dal fatto che molte persone obese hanno internalizzato questa discriminazione, vergognandosi a tal punto da non farsi curare anche per altre malattie, vergognandosi di andare dal medico, aumentando, quindi, i rischi per la loro salute. Anche i media hanno la funzione di perpetrare questo stigma sia esplicitamente, con facile ironia sulle persone obese, sia implicitamente, promuovendo la bellezza di un corpo magro. La rapida diffusione dei social network e di internet ha aumentato il problema in quanto anche in questi contesti si hanno episodi di discriminazione degli obesi: l’anonimato garantito da internet, da un lato, permette alle persone di denigrare maggiormente gli obesi e dall’altro, facilita l’accesso a queste informazioni da parte delle persone obese che si vergognano di parlare in pubblico di questo problema. A tal proposito, un gruppo di ricercatori irlandesi ha svolto un’analisi qualitativa di una gran mole di post pubblicati in internet. I risultati evidenziano come l’obesità sia un tema molto diffuso, con numerosi episodi di discriminazione sia esplicita sia implicita. In particolare, il problema dell’obesità non viene trattato come una malattia alimentare, come ad esempio l’anoressia e la bulimia per le quali lo stigma è molto ridotto: si hanno reazioni e giudizi di disgusto che non si riscontrano per le altre problematiche che vengono trattate come una malattia. Inoltre, i giudizi sulle persone obese non si limitano alla sfera corporea della persona ma sono pervasivi a tutta la sfera personale: ad esempio, le opinioni delle persone obese su un argomento qualsiasi e non connesso al peso corporeo non vengono prese in considerazione. Infine, è emerso come questa discriminazione colpisca maggiormente le donne e come siano gli uomini a diffamare maggiormente le donne obese.
La dipendenza da internet: lo stato dell’arte
Negli ultimi 20 anni l’utilizzo di internet è talmente cresciuto da essere diventato un fenomeno globale: parallelamente a ciò, sono emerse delle problematiche connesse all’eccessivo utilizzo di questo strumento. Per provare a sistematizzare le conoscenze sulla dipendenza da internet uno studioso inglese ha condotto una rassegna della letteratura per evidenziare le criticità connesse a questo costrutto. Prima tra tutte le sua stessa definizione: infatti, non si ha una definizione condivisa di dipendenza da internet, anche a causa del fatto che questo disturbo non appare in nessun sistema diagnostico. Nonostante la maggior parte delle persone dipendenti da internet lo utilizzino per rinforzare altri comportamenti problematici, come ad esempio la dipendenza da gioco d’azzardo, l’autore ha cercato di fornire i criteri diagnostici sulla base degli studi già presenti sul tema. Quindi, propone i seguenti quattro criteri diagnostici: utilizzo eccessivo di internet con associata perdita del senso del tempo, rabbia e/o depressione quando internet non è disponibile, bisogno di tecnologia sempre aggiornata e conseguenze sociali e/o lavorative. Mancando una vera e propria diagnosi, non si ha un dato ufficiale sulla prevalenza, ma l’autore stima che in Europa soffra di dipendenza da internet tra 1% e 9% della popolazione. A differenza di ciò, si hanno molti studi sulla comorbidità che hanno evidenziato connessioni con ADHD, depressione, gioco d’azzardo problematico, ansia sociale e uso di sostanze. Per quanto concerne lo sviluppo della dipendenza da internet, alcuni studi evidenziano come ci sia una componente genetica, oltre a fattori di personalità quali l’autoregolazione. Infine, l’autore analizza i pochi studi a disposizione in merito al trattamento della dipendenza da internet concludendo che si hanno dei dati incoraggianti in merito al trattamento farmacologico e, soprattutto, ad un percorso terapeutico cognitivo-comportamentale. Per concludere, questa breve rassegna mette in evidenza degli aspetti molto importanti e troppo spesso trascurati di quella che forse potrebbe essere definita una nuova patologia: la dipendenza da internet. Consiglio: dopo aver letto QI, spegnete il computer.
Spada, M. M. (2014). An overview of problematic Internet use. Addictive Behaviors, 39, 3-6.