Rassegna stampa
Rassegna stampa #19
Rassegna stampa #19
Quali sono le differenze individuali legate al mind wandering?
Il presente articolo è targato “made in Italy” e il relativo focus concerne il mind wandering (MW), ossia il perdersi involontariamente in riflessioni proprie, scollegate dal contesto del qui ed ora, come se si sognasse ad occhi aperti. Tale fenomeno ha ottenuto negli ultimi anni la dovuta attenzione da parte delle scienze psicologiche, sebbene non siano state indagate alcune relazioni che potrebbero sussistere con talune variabili come l’età o il tipo di compito assegnato. Così, tre studiosi di Padova hanno condotto una ricerca nel tentativo di valutare entro quale fascia d’età sia più frequente il mind wandering e se varino questo vari in funzione del compito da svolgere. Dai risultati è emerso come il mind wandering, indipendentemente dal tipo di prova assegnata ai partecipanti, sembri più frequente nella fascia d’età più bassa tra quelle considerate, ossia quella dai venti ai trent’anni, piuttosto che in quella degli over 65 o degli over 75. Per quanto riguarda la tipologia degli episodi di mind wandering, rispetto agli altri due gruppi, gli over 75 hanno esibito una minore ricorrenza di pensieri personali o fantasiosi e una maggiore ricorrenza di pensieri inerenti al compito da svolgere. Va tuttavia evidenziato che, nonostante gli over 75 abbiano presentato meno episodi di MW, essi sono risultati i meno consapevoli dell’esperire tali momenti di evasione dalla realtà. Ancora, i dati evidenziano come la natura del compito assegnato sembri influire sulla frequenza del fenomeno: il numero di episodi di mind wandering durante lo svolgimento di un compito di natura semantica è risultato maggiore rispetto a quello riscontrato per un compito di natura percettiva. Infine, anche la memoria di lavoro sembra esercitare un ruolo significativo nella comparsa di tali episodi, soprattutto quando il compito assegnato presenta una bassa difficoltà. Il presente studio, dunque, ha approfondito il fenomeno del mind wandering e ha analizzato il rapporto vigente con alcune variabili come l’età e la tipologia di compito assegnato, nella speranza che in futuro altri studi possano indagare ulteriori eventuali relazioni e fornirci una visione più completa di questa attività mentale.
L’impatto psicologico delle calamità naturali sui sopravvissuti
Le calamità naturali sono di una drammaticità tale da causare difficoltà psicologiche talvolta insormontabili per coloro i quali riescono a trarsi in salvo. Data la rilevanza dell’argomento, un pool di ricercatori malesi ha deciso di osservare quali siano le fasce della popolazione che sono maggiormente segnate da un punto di vista psicologico, e quali le principali difficoltà che possono derivarne. Per far ciò, gli studiosi hanno coinvolto duecento abitanti di due province indonesiane nord-occidentali, l’Alceh e il West Sumatra, entrambe colpite da un terremoto (nell’Alceh il terremoto ha persino innescato a sua volta uno tsunami). Gli studiosi malesi avevano ipotizzato che nella popolazione colpita meno recentemente dal terremoto si sarebbero riscontrate delle difficoltà psicologiche meno gravi, supponendo che col tempo esse si sarebbero attenuate, se non estinte. Tuttavia, le ipotesi di partenza non hanno trovato alcuna conferma nei risultati: i livelli di stress, ansia e depressione non sono risultati significativamente differenti entro le due popolazioni, lasciando addirittura supporre il contrario, cioè che le calamità naturali possano tracciare veri e propri segni indelebili nella psiche, difficili da cancellare anche a distanza di anni. A ciò si aggiungono ulteriori percentuali spaventose: un partecipante su cinque esibiva livelli di depressione superiori rispetto alla media, uno su due maggiori livelli di ansia, e, ancora, uno su cinque un maggiore stress. La principale utilità del presente studio è stata tuttavia quella di individuare i gruppi più colpiti dal punto di vista psicologico: trattasi delle donne, dei giovani, dei disoccupati e dei single. Futuri interventi socio-assistenziali, dunque, potrebbero essere ridefiniti sulla base di quanto emerso, nel tentativo di tutelare maggiormente coloro i quali sono risultano essere più sensibili a fenomeni naturali di questo tipo.
I contenuti televisivi possono influenza le condotte alimentari?
Negli ultimi decenni le condotte alimentari dei giovani sembrano assumere sempre più frequentemente distorsioni di vario genere, alcune delle quali fungono spesso da preludio a veri e propri disturbi alimentari. I contenuti dei programmi televisivi, come largamente dimostrato da numerose ricerche, sono parzialmente responsabili di questo fenomeno, al pari di altri fattori socio-culturali. Eppure, la letteratura scientifica raramente ha approfondito il modo in cui vengono strutturati, nei programmi televisivi, i rimandi all’alimentazione in generale o al cibo. Così, tre studiosi statunitensi hanno indagato per cinque giorni la tipologia, la frequenza e la strutturazione di tutti i riferimenti al cibo dei programmi pomeridiani infrasettimanali di un noto canale televisivo, che si rivolge prevalentemente a bambini e adolescenti. Ebbene, tra i dati emersi, quello che risalta maggiormente riguarda la frequenza: si è passati dai circa 6-9 riferimenti al cibo per ogni ora televisiva riscontrata nel 2001 ai circa 16.5 dei giorni nostri. Considerando l’aumento del numero di ore complessive che i ragazzi trascorrono guardando la televisione, è facile immaginare quanto ciò possa influire sulle loro condotte alimentari. Per ciò che concerne la tipologia dei richiami, invece, è risultato più frequente l’utilizzo di richiami visivi piuttosto che verbali o legati all’effettivo consumo. Per quanto riguarda il tipo di alimenti, infine, i riferimenti riguardavano soprattutto cibi poco salutari come caramelle, biscotti, patatine o bevande zuccherate. Le implicazioni della presente ricerca sono ovviamente molteplici, una su tutte la necessità di ridefinire i contenuti televisivi, soprattutto quelli rivolti prevalentemente a bambini e adolescenti che rappresentano le categorie di telespettatori maggiormente influenzabili, come documentato a più riprese da numerosi studi. La ricerca, altresì, in un’ottica socio-educativa, mette in luce la necessità di discutere se sia corretto o meno esporre i giovani ad una quantità così massiccia di rimandi al cibo o all’alimentazione più in generale, dati gli effetti che essi possono sortire nei ragazzi.
Le onde theta favoriscono il consolidamento dei ricordi legati a compiti motori?
Il consolidamento dei ricordi rappresenta il focus di numerosi studi contemporanei e finora le ricerche sembrano attribuire un ruolo chiave alle onde theta, onde cerebrali che caratterizzano alcune fasi REM del sonno e che sembrano implicate soprattutto nel consolidamento dei ricordi legati a compiti motori. Alcuni studiosi israeliani hanno voluto però verificare se tali onde esercitino la stessa influenza anche durante la veglia: hanno così condotto una ricerca in cui ai partecipanti veniva chiesto di eseguire, quanto più rapidamente e accuratamente possibile, un compito motorio noto come FIT (Finger Tapping Task), consistente nel toccare con il proprio pollice le restanti dita della mano sempre seguendo una sequenza ben precisa. Lo studio è durato una settimana e le prestazioni sono state misurate sia prima e dopo un’esercitazione volta ad acquisire familiarità con il compito, sia dopo aver formato tre gruppi, in due dei quali i componenti, attraverso specifici training, venivano istruiti a gestire rispettivamente le onde beta o theta, a differenza del restante gruppo di controllo. Analizzati i punteggi, nel compito motorio gli individui istruiti a gestire le onde theta hanno esibito, anche a distanza di alcuni giorni, performance migliori rispetto a quelle degli altri due gruppi, la qual cosa può indurre dunque a ritenere che le onde theta, anche durante la veglia, possano realmente influire sul consolidamento dei ricordi legati a compiti motori. Qualora futuri eventuali studi confermassero quanto emerso, le implicazioni derivanti sarebbero molteplici, una su tutte la possibilità di istituire degli interventi clinici del tutto innovativi: volendo citare solo alcuni esempi, tramite l’utilizzo di training basati proprio sulla gestione delle onde theta si potrebbe contrastare eventualmente il decadimento delle prestazioni cognitive negli anziani dovuti a malattie neurodegenerative come l’Alzheimer o la demenza senile, oppure facilitare l’apprendimento scolastico di ragazzi aventi particolari difficoltà, ecc.