Rassegna stampa
Rassegna stampa #113
Rassegna stampa #113
La gratitudine rende felici
Il benessere mentale è stato un argomento ampiamente dibattuto negli ultimi anni, soprattutto a partire dalla pandemia da COVID-19. Spesso questo costrutto viene valutato misurando la soddisfazione di vita e la salute mentale di un individuo; tuttavia, anche la gratitudine, intesa come un sentimento sperimentato quando si riceve un favore da un altro individuo, svolge un ruolo fondamentale nel benessere. Gli adolescenti sono tra le persone che hanno avuto maggiori ripercussioni legate alla pandemia: a prescindere dal COVID-19, la transizione dall'adolescenza all'età adulta è caratterizzata da molte criticità; in questo contesto, la gratitudine emerge come un fattore che può influenzare profondamente il benessere mentale e la felicità complessiva vissuta dagli adolescenti. Infatti, una riduzione del benessere mentale degli studenti è caratterizzata da crescenti livelli di stress, ansia e depressione. A tal proposito, le aspettative accademiche influenzano gravemente il benessere mentale ed emotivo degli studenti. Al fine di indagare empiricamente la relazione tra gratitudine, benessere mentale e soddisfazione di vita un gruppo di ricercatori ha condotto uno studio su un campione di circa 500 studenti. In linea con le ipotesi, i risultati hanno rivelato una relazione positiva e significativa tra gratitudine e soddisfazione di vita. La gratitudine agisce inoltre come un predittore del benessere mentale, determinando così una maggiore soddisfazione di vita. Particolarmente interessante il fatto che tali risultati sono stati confermati anche separatamente nei sottogruppi di maschi e femmine, evidenziando l’importanza del ruolo della gratitudine nell’influenzare sia il benessere mentale che la soddisfazione di vita in persone di ambo i sessi. Alla luce di ciò, gli autori concludono evidenziando la necessità che gli istituti scolastici integrino pratiche di gratitudine nei loro programmi scolastici, fornendo agli studenti competenze preziose per migliorare il benessere mentale e la felicità generale; allo stesso modo, i professionisti della salute mentale possono utilizzare interventi basati sulla gratitudine come mezzo per affrontare e mitigare efficacemente specifiche difficoltà di salute mentale, migliorando il livello generale di benessere mentale.
Il burnout negli atleti
L’importanza dei fattori psicologici nella prestazione sportiva è ormai ampiamente nota, tanto che la psicologia dello sport ha evidenziato che una vasta gamma di fattori è correlata alla prestazione sportiva. Tra questi, il burnout degli atleti ha potenzialmente conseguenze negative sulla prestazione sportiva. Il burnout dell'atleta è un problema di salute mentale ampiamente studiato nello sport e viene definito come una sindrome psicologica composta da tre sintomi: esaurimento emotivo e fisico, ridotto senso di realizzazione e svalutazione sportiva. Nonostante ciò, solo pochi studi hanno indagato la relazione tra burnout degli atleti e prestazione sportiva; per questo motivo, un gruppo di studiosi ha testato empiricamente l’influenza del burnout degli atleti sulla prestazione sportiva, sia in merito alla singola prestazione sia relativamente all’andamento di un’intera stagione. I risultati hanno mostrato che il burnout totale, il ridotto senso di realizzazione e la svalutazione sportiva hanno predetto negativamente la prestazione, mentre l'esaurimento emotivo e fisico non erano correlati alla prestazione. Di notevole interesse il fatto che tale relazione è risultata più sostanziale quando veniva valutata la performance sulla singola gara, mentre nel lungo periodo tale relazione negativa diminuiva di intensità; la forza di tali relazioni era particolarmente rilevante: il burnout totale prediceva il 17% della prestazione sportiva, valore particolarmente elevato. Inoltre, questo stesso pattern di relazioni è stato osservato in atleti che praticavano discipline sportive differenti, come l’atletica e il nuoto, aumentandone il livello di generalizzabilità. Alla luce di questo insieme di risultati, gli autori concludono che è particolarmente rilevante monitorare il burnout degli atleti, soprattutto prima delle gare importanti dato che le maggiori ripercussioni si hanno sulla singola prestazione, ad esempio attraverso la somministrazione di test quali l’Emotional Processing Scale (EPS; Hogrefe, 2020).
La caccia all’unicorno nella selezione del personale
Una delle sfide da sempre maggiormente importanti nel campo delle risorse umane è quella di identificare i migliori candidati in un processo di selezione del personale. All’interno di questo contesto, uno dei problemi principali che i professionisti si trovano a dover affrontare riguarda la presenza di un pregiudizio cognitivo che può portare ad aspettative irrealistiche sulla disponibilità di candidati che eccellono in più aree; questo pregiudizio deriva dal fatto che le persone tendono a sovrastimare la frequenza di eventi rari, come la disponibilità di candidati che eccellono in numerose caratteristiche, ponendosi, quindi, come obiettivo quello di individuare dei profili praticamente impossibili da osservare; tanto che alcuni studiosi hanno addirittura paragonato il processo di reclutamento di individui di alta qualità alla ricerca di un unicorno. Da ciò, quindi, può derivare una generale insoddisfazione circa i processi selettivi. In particolare, la letteratura scientifica di riferimento ha identificato tre fattori chiave capaci di predire la performance lavorativa delle persone: intelligenza, coscienziosità e stabilità emotiva. Al fine di fornire un quadro chiaro della situazione, un ricercatore australiano ha condotto uno studio con l’obiettivo di stimare la probabilità di trovare individui che eccellono in queste tre dimensioni tra loro correlate; in particolare, i soggetti sono stati classificati, in ognuna delle tre dimensioni, come nella norma, notevoli, eccezionali e altamente eccezionali. Attraverso uno studio su dati simulati, circa il 16% dei casi è stato classificato come notevole, l'1% come notevole e solo lo 0.0085% ha soddisfatto il criterio eccezionale, e solo un caso su venti milioni è stato identificato come altamente eccezionale. Questi risultati evidenziano la rarità di individui che eccellono in tutte e tre i tratti analizzati, suggerendo la necessità di ricalibrare le aspettative in fase di selezione del personale, dato che solo 1 persona su 100 mostra punteggi notevoli in tutte e tre le dimensioni prese in considerazione. Alla luce di ciò, quindi, l’intero processo di selezione del personale deve essere ripensato: infatti, anche persone con punteggi moderatamente sopra la media in queste dimensioni chiave potrebbero meritare una maggiore considerazione.
La relazione causa-effetto nei bambini
L'azione quotidiana si basa sulla comprensione e l'influenza delle relazioni causali: agendo, cambiamo il mondo per ottenere i risultati che desideriamo; infatti, sfruttiamo la nostra conoscenza causale ogni volta che interveniamo per far accadere delle cose, come far rimbalzare una palla lasciandola cadere. Anche i neonati imparano e applicano relazioni causali dirette per influenzare i loro ambienti sociali e fisici: nei primi mesi di vita, per esempio, i neonati imparano a piangere in modi mirati per attirare l'attenzione di chi si prende cura di loro. A tal proposito, un team di ricercatori ha condotto uno studio al fine di indagare se i bambini piccoli sono in grado di eseguire un “ragionamento relazionale causale”, definito come la capacità di generalizzare relazioni astratte per progettare nuovi interventi e ottenere nuovi risultati. Per fare ciò, hanno condotto due distinti studi su due campioni di bambini: il primo coinvolgeva bambini di età compresa tra 24 e 30 mesi; nel secondo, bambini in età prescolare. I risultati hanno evidenziato come i bambini di entrambe le fasce di età usano il ragionamento relazionale in un compito di risoluzione di problemi causali. Infatti, i bambini hanno rapidamente dedotto regole causali e applicato queste regole per risolvere nuovi problemi, dimostrando così sia una competenza sorprendentemente precoce nel ragionamento relazionale sia una sofisticata inferenza causale. In entrambi gli esperimenti, i bambini hanno osservato una manciata di prove in cui una macchina meccanicamente opaca rendeva gli oggetti più grandi o più piccoli. Quando venivano sollecitati a risolvere un nuovo problema, usavano la macchina per cambiare la dimensione relativa di un nuovo oggetto, anche se il suo aspetto e la sua dimensione assoluta differivano dalle osservazioni precedenti e anche se non avevano mai visto la macchina generare oggetti delle dimensioni richieste prima. Ciò suggerisce che i bambini hanno rapidamente dedotto relazioni causali astratte e poi hanno generalizzato queste relazioni per determinare quale intervento avrebbe portato al nuovo risultato richiesto per risolvere il problema. Questi risultati suggeriscono uno stretto legame tra il ragionamento relazionale precoce, l'apprendimento causale attivo e l'inferenza.