Rassegna stampa
Rassegna stampa #11
Rassegna stampa #11
Differenze individuali e meccanismi sottostanti alle dimenticanze
L’abilità di codificare, immagazzinare e ricordare le informazioni è una delle più importanti funzioni del nostro sistema cognitivo: infatti, la nostra memoria ci permette di svolgere un gran numero di azioni nella vita di tutti i giorni. Nonostante sia un sistema molto efficiente, a volte ci sono degli errori che determinano delle conseguenze più o meno importanti: si pensi ad esempio a ciò che comporta non ricordarsi il numero di telefono di un amico piuttosto che non ricordarsi delle nozioni scolastiche il giorno dell’esame. Questi errori dipendono, oltre che dal tipo di informazione, da una pluralità di variabili individuali, come l’età e le abilità cognitive. In letteratura non si hanno molti studi in merito agli errori della memoria, principalmente a causa della complessità di poter ricordare, e quindi analizzare, tali mancanze. Attraverso una complicata procedura alcuni studiosi statunitensi hanno svolto delle indagini in laboratorio al fine di fare maggiore chiarezza sul fenomeno. Il primo risultato evidenziato riguarda la generalizzabilità di quanto trovato: ovvero, c’è una forte relazione tra le performance ottenute in laboratorio e quelle relative alla vita di tutti i giorni che permette di generalizzare i risultati dello studio. Questi riguardano principalmente il fatto che le dimenticanze vertono soprattutto su nozioni scolastiche, e sul non ricordarsi i nomi di conoscenti e i dati di accesso ad un determinato sito internet. Di maggiore portata il fatto che le misure di memoria di lavoro sono connesse alle dimenticanze in ambito scolastico, ma non alle dimenticanze proprie della vita di tutti i giorni, come il non ricordarsi il nome di un conoscente. In base a ciò, è emerso come solo le dimenticanze del primo tipo siano connesse alle abilità cognitive delle persone mentre le seconde siano quasi del tutto indipendenti da queste. Per concludere, questa ricerca ha permesso di sintetizzare le differenze individuali nelle abilità di memoria e come le abilità cognitive ci permettano di avere più successo a scuola o all’università ma non siano in grado di evitarci brutte figure con delle persone di cui non ricordiamo il nome!
Non è tanto lo stress sociale quanto l’autostima ad influire sull’ideazione paranoide
Numerose evidenze empiriche hanno attestato come lo stress sociale sia rilevante nello sviluppo di episodi psicotici dal momento che tali eventi elicitano e procedono sentimenti di delusione, oltre all’elevata percentuale di sintomi psicotici in persone con un passato fatto di discriminazioni. Meno evidenze, invece, si hanno in merito alla relazione che lega lo stress sociale all’ideazione paranoide; in particolare, è stato mostrato come tale forma di stress impatti sull’autostima con un sostanziale peggioramento di quest’ultima. D’altro canto, la relazione tra autostima e ideazione paranoide è ormai ampiamente dimostrata. Partendo da queste evidenze, un gruppo di ricercatori tedeschi ha condotto uno studio su un campione non clinico di adulti al fine di indagare se esistesse una relazione tra stress sociale e ideazione paranoide e come questa funzionasse. I risultati hanno mostrato un effetto diretto tra le due variabili: ovvero, persone che erano socialmente escluse ed emarginate si differenziavano dalle altre persone in merito all’ideazione paranoide. Di maggior interesse il meccanismo alla base di tale relazione: non è tanto lo stress sociale ad avere una relazione sull’ideazione paranoide quanto l’autostima; infatti, l’esposizione a stressor sociali determina un peggioramento dell’autostima che a sua volta è legato all’ideazione paranoide. Gli autori hanno anche cercato di ipotizzare una spiegazione a tale meccanismo: la delusione rinforzerebbe il sentimento di inferiorità delle persone che, in linea con la percezione di non essere rispettati ed amati dalle altre persone ritenute importanti, sarebbe associato con la paranoia; in altre parole, l’esperienza di esclusione sociale è probabile che attivi degli schemi già esistenti con una connotazione negativa di sé e degli altri, i quali sono entrambi connessi all’ideazione paranoide. Per concludere, l’importanza di questo contributo non è tanto quella di descrivere un fenomeno probabilmente, almeno in parte, già noto quanto quella di ipotizzarne dei meccanismi soggiacenti la cui esplicitazione permette una più mirata ed efficace attività terapeutica.
Cibo km 0: chi lo compra?
Negli ultimi anni è notevolmente aumentato l’interesse verso i prodotti alimentari a km 0, anche grazie a massicce campagne pubblicitarie sui principali mass media. Questi prodotti, infatti, sono percepiti come più economici, più sani e garantiscono da un lato il sostegno ad un’economia agricola locale piuttosto che globale e dall’altro riducono le emissioni nocive nell’atmosfera grazie all’abbattimento delle necessità di trasporto degli alimenti stessi. A riprova di ciò, sono notevolmente aumentati i mercati e le iniziative all’interno delle quali è possibile acquistare prodotti alimentari a km 0, seppure tali occasioni risultano essere comunque sporadiche, non continuative e stagionali. Soprattutto per questi motivi, anche le istituzioni americane da alcuni anni incoraggiano l’acquisto ed il consumo di cibi a km 0. Per questo motivo, e partendo dall’assenza di dati ufficiali, un gruppo di ricercatori statunitensi ha condotto uno studio al fine di comprendere le caratteristiche delle famiglie statunitensi che abitualmente consumano questa tipologia di cibo. I risultati mettono in luce, innanzitutto, che circa una famiglia su due acquista questa tipologia di prodotti almeno una volta al mese. Le famiglie i cui figli sono soliti mangiare un’ampia varietà di frutta e di verdura acquistano un numero maggiore di cibo a km 0 rispetto alle altre famiglie, così come le famiglie che vivono in zone rurali piuttosto che nelle città. Inoltre, famiglie con un minore status socio economico si recano più spesso nei mercati e acquistano con più regolarità prodotti a km 0. In sintesi, questo lavoro ha il merito principalmente di fotografare le abitudini di consumo delle famiglie americane rispetto questa tipologia di prodotti in modo tale da fornire delle basi sulle quali pianificare programmi di potenziamento al fine di favorire il consumo di alimenti a km 0.
Gli adolescenti maschi con disturbo ossessivo compulsive sono bassi
Il disturbo ossessivo compulsivo è un disturbo neuropsichiatrico eterogeneo che colpisce circa tra l’1 e il 2% della popolazione adolescenziale. In merito a questo disturbo si ha una corposa letteratura scientifica all’interno della quale è ampiamente dimostrata la presenza di differenze di genere, tra le quali al principale riguarda il fatto che nei maschi tale disturbo compare prima che nelle femmine. Un’ulteriore differenza di genere riguarda l’altezza degli adolescenti che soffrono del disturbo ossessivo compulsivo: infatti, sembrerebbe che i maschi affetti da tale disturbo siano più bassi in altezza rispetto ai maschi che invece non ne soffrono, mentre, al contrario, tali differenze non sono state osservate nelle femmine. Al fine di indagare questa differenza di genere un pool di ricercatori nordamericano ha condotto uno studio su un campione di adolescenti con diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo. Dal momento che l’altezza è influenzata da una pluralità di caratteristiche quali l’età, la presenza di disturbi alimentari gli autori hanno svolto un campionamento molto accurato in modo tale da poter ridurre l’incidenza di tali variabili; allo stesso modo, sono state condotte delle analisi statistiche capaci di annullare l’effetto di variabili indesiderate rispetto a ciò che si vuole indagare. I risultati hanno quindi confermato l’esistenza di una differenza significativa nell’altezza dei maschi affetti da disturbo ossessivo compulsivo rispetto ai maschi che non ne sono affetti; inoltre, tale differenza non è stata riscontrata nelle adolescenti di sesso femminile. A riprova della forza di tale risultato, lo stesso pattern è stato ottenuto anche parzializzando gli effetti derivanti dalla presenza di altre variabili intervenienti.