Rassegna stampa
Rassegna stampa #107
Rassegna stampa #107
Scarso rendimento scolastico e gioco d'azzardo tra gli adolescenti: L'associazione può essere moderata dalle condizioni scolastiche?
Raramente ricerche precedenti hanno cercato di far luce dui fattori protettivi rispetto al gioco d'azzardo tra gli adolescenti a livello scolastico e il modo con cui questi possono interagire con i fattori individuali e/o familiari, attenuando l'impatto dei fattori di rischio su altri comportamenti dannosi oltre quello del gioco d'azzardo. Lo scopo di questo studio era quindi quello di esaminare l'effetto moderatore del rapporto tra il numero di studenti e il numero di insegnanti in relazione all'associazione tra rendimento scolastico e impegno nel gioco d'azzardo. Si è ipotizzato che il fatto che un insegnante ha pochi studenti sia un fattore protettivo rispetto al gioco d'azzardo e che possa agire in due modi: in primo luogo, riducendo direttamente la probabilità di giocare d'azzardo; in secondo luogo, moderando l'effetto di fattori di rischio noti, come l'impatto del basso rendimento scolastico sul gioco d'azzardo. Quando il rapporto tra il numero di studenti e di insegnanti è basso, si ipotizza che la forza della relazione tra basso rendimento scolastico e gioco d'azzardo sia più debole. I dati sono stati ricavati dall'indagine scolastica di Stoccolma del 2016 a cui hanno preso parte 5221 studenti di età compresa tra i 17 e i 18 anni frequentanti 46 scuole secondarie di secondo grado. I risultati ottenuti suggeriscono che il rapporto tra il numero di studenti e insegnanti può avere delle importanti conseguenze in termini di rischio di coinvolgimento degli studenti con basso rendimento scolastico nel gioco d'azzardo. Per gli studenti con voti medi o superiori alla media, il rapporto tra il numero di studenti e il numero di insegnanti determina poca differenza relativamente alla propensione al gioco d'azzardo. Al contrario, un basso rapporto tra il numero degli studenti e quello degli insegnanti sembra rappresentare un forte fattore protettivo tra gli studenti con risultati scolastici mediocri. Inoltre la presenza di altri insegnanti in classe può fornire un sostegno mirato agli studenti che si trovano ad affrontare difficoltà durante lo svolgimento dei compiti scolastici. Di conseguenza, gli studenti con risultati scolastici mediocri potrebbero potenzialmente trarre maggiori vantaggi da un rapporto più basso tra il numero di studenti e il numero di insegnanti rispetto ai loro coetanei con maggiore successo in ambito accademico. Infine, i risultati del presente studio sono in linea con le ricerche precedenti che indicano una maggiore vulnerabilità al gioco d'azzardo tra gli studenti con difficoltà accademiche, i maschi e gli individui provenienti da contesti socioeconomici meno facoltosi.
Post-traumatic growth nei sopravvissuti al cancro: Qual è la sua portata e quali i fattori determinanti?
Le persone con una diagnosi di cancro sono costrette ad adattare le proprie condizioni di vita, superando gli ostacoli legati alle conseguenze negative della loro condizione, che possono però anche portare a effetti positivi a lungo termine. Il cambiamento psicologico positivo sperimentato dopo aver affrontato un evento sfidante, come ad esempio il cancro, è stato definito post-traumatic growth (PTG). Il PTG può essere sperimentato in relazione a diversi ambiti e determina in genere lo sviluppo di un maggiore apprezzamento della vita, di relazioni più profonde con gli altri, dei punti di forza personali, di nuove possibilità e di una maggiore spiritualità. L'obiettivo di questo studio è stato di indagare l'entità e i determinanti longitudinali del PTG nei sopravvissuti al cancro. Ha preso parte allo studio un campione costituito da 1316 persone sopravvissute a diverse tipologie di cancro. Gli sviluppi più positivi del PTG sono stati riscontrati nella sottodimensione “apprezzamento della vita”, mentre la sottodimensione del “cambiamento spirituale” è risultato essere il dominio significativamente meno rilevante. Dai risultati di questa ricerca è inoltre emerso che le persone appartenenti a fasce d’età più basse e di sesso femminile presentavano livelli più elevati di PTG. Ad eccezione della chemioterapia, nessun altro tipo di terapia ha avuto un effetto sull'estensione temporale del PTG. Questo potrebbe portare all'ipotesi che la chemioterapia potrebbe contribuire a generare più angoscia in chi vi si sottopone rispetto a chi non ha necessità di farlo. Sorprendentemente, anche la gravità del cancro non ha mostrato un effetto significativo sul PTG, per cui sembra che il PTG possa verificarsi indipendentemente dall'entità del cancro. Dai risultati ottenuti è emerso che la fatica, il disagio emotivo e il dolore sono predittori rilevanti del PTG a lungo termine, seppur non lineari. Anche le informazioni di cui gli individui sono in possesso riguardo il cancro sembrano avere un ruolo importante nello sviluppo del PTG, mettendo in luce un fattore potenzialmente modificabile nel corso del trattamento del cancro. Questi risultati rafforzano la già esistente raccomandazione di fornire un'adeguata educazione sulla manifestazione e la gestione degli effetti collaterali del cancro nella pratica clinica. Alla luce di ciò, sono necessarie ulteriori ricerche per esplorare il ruolo dell'alfabetizzazione generale sul cancro nello sviluppo del PTG.
Intolleranza dell'incertezza, perfezionismo e coping come predittori di diagnosi e gravità della depressione
Il disturbo depressivo maggiore (MDD) è la principale causa di disabilità a livello mondiale e colpisce il 3.8% della popolazione globale. Nonostante la sua prevalenza, meno della metà delle persone con diagnosi di MDD riceve un trattamento e i tassi di remissione rimangono bassi. L'identificazione dei fattori di rischio coinvolti nello sviluppo del MDD può essere fondamentale per migliorare i risultati del trattamento, per cui il presente studio si propone di esaminare se l'intolleranza all'incertezza, il perfezionismo e le strategie di coping possano insieme prevedere la diagnosi e la gravità del MDD. I partecipanti allo studio erano 549 pazienti ambulatoriali che si sono rivolti a una clinica di Toronto, in Canada, tra il 2011 e il 2014. Dopo essere stati sottoposti a una valutazione diagnostica, ai partecipanti è stata somministrata una serie di questionari self-report che misuravano l'intolleranza all'incertezza, il perfezionismo e il coping. Dai risultati ottenuti è emerso che gli individui con diagnosi di MDD erano più intolleranti all'incertezza rispetto a quelli senza diagnosi di MDD ed è anche risultata una correlazione positiva tra intolleranza all’incertezza e gravità della depressione. Contrariamente a quanto ipotizzato, i punteggi relativi al perfezionismo non differivano tra i gruppi MDD e non MDD, risultato che può essere in parte spiegato dalla presenza di comorbidità. In particolare, le diagnosi più comuni nel campione erano il disturbo d'ansia generalizzato, il disturbo d'ansia sociale e il disturbo di panico. Le ricerche sul perfezionismo e sull'ansia suggeriscono che questi due costrutti sono fortemente correlati, pertanto, la presenza di un gran numero di partecipanti con disturbi d'ansia nel campione può aver determinato punteggi di perfezionismo simili tra i gruppi MDD e non MDD. Inoltre, sebbene il perfezionismo non fosse associato a una diagnosi di depressione, era positivamente associato alla gravità della depressione. Inoltre, i soggetti con MDD avevano maggiori probabilità di utilizzare uno stile di coping orientato alle emozioni, che è risultato associato a una maggiore gravità della depressione rispetto al coping orientato al compito. Il modello di regressione ha rivelato che gli individui con un elevato perfezionismo, che avevano maggiori probabilità di impegnarsi nel coping orientato alle emozioni, presentavano sintomi di MDD più gravi rispetto agli altri.
Gli stereotipi di genere tradizionali nazionali predicono la rappresentazione delle donne nella forza lavoro in 35 paesi nei cinque continenti
I pregiudizi intergruppi – ovvero la tendenza a valutare le persone in base alla loro appartenenza a un gruppo - sono stati studiati a livello individuale per decenni, ma le ricerche più recenti hanno esaminato i pregiudizi intergruppi come fenomeno a livello nazionale per spiegare le disuguaglianze e le discriminazioni a livello dell’intera società. Sulla base di questo approccio, nella presente ricerca sono stati esaminati gli stereotipi di genere nazionali – in particolare le associazioni tra uomini e carriera e tra donne e famiglia – in relazione alla pressante questione delle disuguaglianze di genere a livello nazionale, constatabile nei tassi di occupazione e nelle politiche di congedo parentale. I dati, raccolti tra il 2005 e il 2021, sono stati forniti da 1.828.634 persone provenienti da 240 Paesi. Dai risultati ottenuti è emerso che in 35 Paesi dell' Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) gli stereotipi di genere tradizionali a livello nazionale erano correlati negativamente alla rappresentanza delle donne nella forza lavoro e, in particolare, alla percentuale di donne che occupano posizioni dirigenziali. Le donne erano quindi meno rappresentate nella forza lavoro e nelle posizioni dirigenziali nei Paesi in cui gli uomini erano più fortemente associati alle carriere e le donne erano più fortemente associate alle famiglie. Dunque, anche a distanza di 10-20 anni, gli stereotipi nazionali di genere sono ancora un fattore importante per spiegare il divario occupazionale di genere. Questi risultati corroborano la teoria dei ruoli sociali e la estendono dal livello individuale a quello nazionale, dimostrando che gli stereotipi di genere culturalmente condivisi sono strettamente legati all'effettiva rappresentazione delle donne in ruoli contro-stereotipici come il posto di lavoro e le posizioni dirigenziali. Naturalmente, questa relazione è probabilmente bidirezionale, il che sottolinea il circolo vizioso degli stereotipi di genere e delle disuguaglianze di genere nella forza lavoro: gli stereotipi di genere tradizionali tengono le donne fuori dalla forza lavoro, e la mancanza di donne nella forza lavoro rafforza i tradizionali stereotipi di genere. Infine, gli stereotipi di genere tradizionali nazionali sono risultati in gran parte non correlati alle politiche di congedo parentale, probabilmente a causa del fatto che la maggior parte dei Paesi non offre alcun congedo parentale ai padri.