QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

Qi, il magazine online di Hogrefe Editore.
Ogni mese, cultura, scienza ed aggiornamento
in psicologia.

numero 106 - settembre 2023

Hogrefe editore
Archivio riviste

Rassegna stampa

Rassegna stampa #106

Rassegna stampa #106

L’intelligenza artificiale nella selezione del personale

La proliferazione delle tecnologie di intelligenza artificiale (AI) incide su interi settori aziendali e sta trasformando anche il campo delle risorse umane e del reclutamento. Tuttavia, in letteratura solo pochi studi si sono concentrati sull’indagine della percezione che hanno i candidati dell’utilizzo dell’AI in selezione del personale. Poiché si sa poco su come questi vivono il reclutamento basato sull’intelligenza artificiale, un ricercatore francese ha condotto uno studio su un ampio campione di potenziali candidati per attività lavorative tra loro diverse. I risultati hanno mostrato come variabili socio-anagrafiche quali genere e titolo di studio non abbiamo un impatto statisticamente significativo sulla percezione relativa all’utilizzo dell’intelligenza artificiale in selezione del personale; in linea con le ipotesi, al crescere dell’età del candidato si associa una percezione maggiormente negativa circa l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella selezione del personale. A prescindere da ciò, è molto interessante analizzare la distribuzione dei candidati circa la loro percezione in merito all’utilità percepita nell’utilizzo dell’AI nella selezione del personale: il 38% ha mostrato una percezione positiva, il 31% una percezione neutra e il 31% una percezione negativa; passando a esaminare la facilità di utilizzo, la percentuale di valutazioni positive raddoppiava a testimonianza che i candidati, soprattutto più giovani, non hanno problemi pratici connessi ad un processo di selezione che utilizza l’AI. In sintesi, quindi, i risultati di questo studio mostrano che i candidati percepiscono positivamente la tecnologia AI nei processi di assunzione e la considerano utile e facile da usare. In termini di vantaggi, la riduzione dei tempi di risposta è stata riconosciuta come il vantaggio più significativo. La mancanza di sfumature nel giudizio, la bassa precisione e affidabilità e la tecnologia immatura sono stati identificati come i maggiori svantaggi dell’impiego dell’intelligenza artificiale in questo contesto. Per questi motivi, quindi, è necessario perfezionare la tecnologia AI nel reclutamento al fine di renderla maggiormente valida e attendibile, oltre che aumentarne l’attendibilità e la validità percepita nei candidati che non mostrano un’ostilità a priori verso il suo utilizzo in selezione del personale.

P, Horodyski.(2023). Applicants' perception of artificial intelligence in the recruitment process. Computers in Human Behavior Reports, 100303.

 

L’inclusività ai tempi dello smart working

Nonostante il mondo del lavoro si stia spingendo con forza verso una maggior digitalizzazione dei rapporti di lavoro, l’inclusività di queste relazioni mediate da computer non sono state indagate a sufficienza. Infatti, nella ricerca sulla gestione delle risorse umane è diventata una questione di grande rilevanza cercare di comprendere le sfide che un ambiente di lavoro online pone per l’inclusione dei dipendenti emarginati. A questo proposito, gli studiosi dell’inclusività si sono concentrati sul ruolo che le dissomiglianze svolgono per l’inclusione organizzativa dei dipendenti, ma raramente su come ciò avvenga attraverso l’interazione mediata dalla tecnologia. Per questo motivo, due ricercatori danesi hanno condotto uno studio che integra nozioni di identità e comunicazione provenienti dall'inclusività e dalla ricerca sul lavoro virtuale per sviluppare un modello teorico che descrive due varianti della distanza sociale (mirata e diffusa). I risultati hanno evidenziato come l’ambiente di lavoro virtuale può indebolire alcuni aspetti negativi di pregiudizi e discriminazioni, rafforzandone invece altri. In particolare, sulla base del modello messo a punto sarebbe importante che i manager rafforzino le conseguenze già positive di un ambiente di lavoro più formale e neutrale, contrastando al contempo i risultati negativi in termini di legami deboli con il gruppo, ad esempio incoraggiando una comunicazione frequente ed esplicita o stabilendo routine al fine di fornire un pari accesso alle informazioni e al processo decisionale. Per concludere, questo lavoro ha messo in luce alcuni punti di forza e alcune aree di criticità legate all’inclusività di posti di lavoro caratterizzati da relazioni digitali e non in presenza: la centralità risiede nel fatto che è possibile per le aziende spingere in questa direzione tenendo in alta considerazione il tema dell’inclusività digitale e delle relazioni interpersonali.

Lauring, J. & Jonasson, C. (2023). How is work group inclusiveness influenced by working virtually?. Human Resource Management Review, 33(2), 100930.

 

Il branding ai tempi dei NFT

I Non-Fungible Token (NFT) sono uno speciale tipo di token, che rappresenta l'atto di proprietà e il certificato di autenticità di un bene unico, sia esso digitale o fisico. Gli NFT hanno registrato un'enorme crescita nell'ultimo anno e si prevede che la loro importanza aumenterà ancora di più nel futuro prossimo: nel 2021 hanno registrato vendite per 17 miliardi di dollari. Dal punto di vista del marchio, gli NFT possono essere visti come rappresentazioni dei componenti del marchio, come il prodotto, il logo o l'immagine. In particolare, gli NFT hanno un immenso potenziale per diventare asset di marca autonomi; infatti, i marchi possono trasformare in un NFT i loro prodotti fisici come scarpe, camicie o opere d'arte per attirare la consapevolezza del marchio, generare opportunità di cross-selling e suscitare una maggiore proprietà percepita di determinati elementi del marchio. È importante sottolineare che gli NFT possono consentire ai marchi di formare una comunità di marca altamente coinvolgente in grado di supportare il brand, unire la proprietà del prodotto online e offline e potenzialmente creare un legame tra il marchio e i consumatori. Ad esempio, i brand possono utilizzare il lancio del prodotto NFT come catalizzatore per generare consapevolezza del marchio per diversi motivi, questo perché il lancio di NFT può esporre il marchio a un pubblico precedentemente irraggiungibile. Allo stesso modo, i marchi possono combinare il lancio di prodotti fisici con il lancio di collezioni NFT per facilitare i segmenti di consumatori più tradizionali negli NFT. Per concludere, questo articolo offre un’interessantissima panoramica sull’utilizzo NFT da parte delle aziende per potenziare il proprio branding in modo innovativo e non convenzionale: secondo gli autori di questo lavoro, quindi, i brand devono necessariamente restare al passo con i tempi in evoluzione e potenziare l’immagine del proprio brand non solo attraverso le classiche campagne marketing ma anche attraverso un più efficace utilizzo degli NFT, visti come potenziale prodotto innovativo del prossimo futuro.

Colicev, A. (2023). How can non-fungible tokens bring value to brands. International Journal of Research in Marketing, 40(1), 30-37.

 

Risorse umane o gestione dei talenti?

Negli ultimi 20 anni, la terminologia utilizzata in ambito HR è profondamente cambiata: ad esempio, l’attività che prima veniva denominata come “risorse umane” ad oggi viene chiamata “gestione dei talenti”. Non è chiaro esattamente perché la “gestione dei talenti” stia rapidamente diventando l’etichetta preferita per attività organizzative come assunzioni, sviluppo, promozione e licenziamento. Inoltre, non è chiaro se la crescente prevalenza di questo termine possa avere conseguenze indesiderate per individui e organizzazioni. L’importanza dell’utilizzo di questi termini deriva dal fatto che è stato a lungo teorizzato che il linguaggio non solo riflette, ma modella anche le convinzioni e i valori di un’organizzazione. Alla luce di ciò, un team di ricercatori ha messo a punto uno studio, su un campione molto ampio di persone, per cercare di capire perché la parola “talento” è diventata così popolare sul posto di lavoro, nonché le conseguenze e le alternative all’uso di questo termine per descrivere le capacità dei dipendenti. Il primo risultato evidenzia come i professionisti contemporanei delle risorse umane preferiscono la “gestione dei talenti” alla terminologia precedente, ritenendola più ottimistica e motivante. Tuttavia, il “talento” è semanticamente ambiguo. Le definizioni profane di talento variano nel grado in cui viene definito come innato rispetto a quello appreso. Al contrario, “abilità” segnala in modo più inequivocabile che l’abilità può cambiare. In funzione del fatto che la terminologia utilizzata formalmente all’interno di un’organizzazione sia in grado di modificare la percezione dell’organizzazione stessa, un risultato particolarmente rilevante riguarda i momenti decisionali di un’azienda: è emerso come sostituire la parola “talento” con “abilità” evochi in modo più uniforme una mentalità di crescita riguardo alle capacità, che a sua volta porta ad atteggiamenti più ottimistici riguardo alla persistenza dopo il fallimento e ad un’inclinazione a indirizzare le risorse organizzative verso lo sviluppo dei dipendenti. Per concludere, questo studio pone l’accento su un tema spesso sottovalutato: il linguaggio utilizzato nelle organizzazioni come strumento capace di veicolare valori e percezioni aziendali.

Southwick, D.A., Liu, C.V., Baldwin, C., Quirk, A.L., Ungar, L.H., Tsay, C. & Duckworth, A.L. (2023). The trouble with talent: Semantic ambiguity in the workplace. Organizational Behavior and Human Decision Processes, 174, 104223.