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numero 50 - settembre 2017

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Perché per tanti manager è così difficile dare feedback?

Perché per tanti manager è così difficile dare feedback?

Il feedback è una delle leve manageriali più importanti nella gestione dei collaboratori.

La metafora che spesso uso per veicolarne l’importanza è quella di Stephen Covey (Le 7 regole per avere successo, Franco Angeli, 2005), che paragona la relazione tra persone e quindi anche tra capo collaboratore ad un conto corrente di cui le due persone sono gli azionisti. Ciascuno è chiamato a mantenere vivo il conto corrente tramite scambi e feedback che lui paragona a veri e propri depositi. Ogni volta che un manager fornisce un feeback ben strutturato e coerente, positivo o negativo che sia, il manager sta effettuando un deposito sul conto corrente verso il suo collaboratore, sta offrendo il proprio contributo per tenere viva la relazione e quindi sostenere la motivazione del proprio collaboratore.

Più il collaboratore diventerà esperto e maturo, tanto più nel tempo anche lui comincerà a chiedere feedback direttamente e poi via via a dare feedback al proprio manager in un’ottica bidirezionale. Non dare feedback significa tenere il conto in stand by, e quindi tenere il collaboratore “fermo” in uno stato di assenza di riconoscimenti positivi o negativi che siano. Gli effetti di questo comportamento spesso automatico e non consapevole dei manager verso i collaboratori sono sul lungo termine la perdita di motivazione e la riduzione dell’investimento energetico sul lavoro.

Passando dalla teoria ad un caso concreto, poche settimane fa ho raccolto le parole di un general manager che parlando del livello di managerialità della sua prima linea dichiarava: “C'è ancora molta strada da fare... a dire la verità sono io il primo a non dare feedback…". Eppure quel manager conosce lo strumento del feedback e ha fatto numerosi percorsi manageriali…

Questa esternazione mi ha fatto riflettere, e mi sono sinceramente chiesta dove cercare le radici di tale comportamento. Credo che le ragioni possano essere ricondotti a due aspetti:

1) Aspetti legati al contesto, in particolare alla cultura aziendale, ossia alla stratificazione di valori, prassi e pratiche maturate nel corso degli anni che descrivono “gli aspetti identitari dell’azienda”. La cultura ovviamente si esprime nello stile manageriale agito e praticato.  Parlare e agire il feedback significa andare verso una cultura di valorizzazione del contributo del singolo, da integrare gradualmente a realtà come quella di cui parlavo prima, dove la cultura è centrata sul noi e sull’appartenenza.

2) Aspetti legati alla persona del manager e alle credenze rispetto alle caratteristiche che un manager efficace dovrebbe avere e agire. Su questo ho trovato un’interessante chiave di lettura in un articolo pubblicato da Harvard Business Review di Jack Zenger e Joseph Folkman, intitolata “Why do so many manager avoid giving praise?”, pubblicata online a maggio del 2017. I due autori evidenziavano che, in generale, per i manager dare feedback è considerato “a very hard work”, un’attività manageriale molto impegnativa e costosa in termini di energia. Molti manager dichiarano in alcune ricerche effettuate che dare feedback negativi toglie loro il sonno e attiva stati di ansia e agitazione. È difficile formulare il feedback, ma soprattutto è complicato gestire la possibile reazione emotiva del collaboratore. Eppure una larga percentuale ritiene a livello di credenza che i feedback negativi siano da dare e anzi siano molto importanti per indirizzare e correggere il collaboratore. La vera scoperta riguarda i feedback positivi: pochissimi manager danno apprezzamenti e feedback positivi ai collaboratori, perché hanno poca dimestichezza con la valorizzazione del lavoro e delle risorse, ritengono che dare apprezzamenti al proprio collaboratore sia segno di debolezza o semplicemente stanno emulando il manager che li ha gestiti che li criticava senza dare loro feedback positivi. I collaboratori dal canto loro definiscono spesso i manager come veloci a criticare, lenti nel riconoscere il valore… e ambirebbero a manager che in tutta onestà dessero loro feedback diretti quando sbagliano e anche quando fanno bene, apprezzando il loro contributo e il loro successo nei task professionali.

Dal mio piccolo osservatorio vedo tanti manager che sono spesso persone capaci, ambiziose e molto esigenti prima di tutto con se stesse. Padroni dei numeri, si sentono decisamente poco comodi e a volte spaventati e incerti nella gestione relazionale di situazioni di riconoscimento professionale con i propri collaboratori. 

Credo che la sfida sia proprio questa, e credo che la possibilità di diffondere la valorizzazione delle risorse passi dal fatto che i manager facciano due passi in avanti:

1) riconoscano il proprio valore come persone e professionisti, lavorando sulla consapevolezza di sé in termini di aree di forza e di aree di miglioramento;

2) siano disposti a lavorare sulla gestione della relazione e sulle componenti emotive in gioco nella dinamica capo-collaboratore.

Vale anche qui approccio inside-out: se come manager ti consideri e ti apprezzi… puoi permetterti di considerare e di apprezzare l’altro. I tuoi collaboratori saranno di sicuro felici.