QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

Qi, il magazine online di Hogrefe Editore.
Ogni mese, cultura, scienza ed aggiornamento
in psicologia.

numero 79 - luglio 2020

Hogrefe editore
Archivio riviste

Osservatorio Talent

Orientarsi in azienda come consulenti

Orientarsi in azienda come consulenti

Come consulente, e parlando con altri colleghi, è capitato spesso di confrontarci con la difficoltà e gli ostacoli che si incontrano al primo appuntamento in azienda. Chi, come me, fa sia attività clinica che attività aziendale, saprà bene quanto già comprendere un essere umano sia complesso; comprenderne tanti all’interno di un sistema significa ad avere a che fare con tanta complessità dove spesso non è affatto semplice orientarsi. 

In questo articolo, l’obiettivo è quello fare ordine e dare alcune indicazioni per orientarsi nella conduzione dell’analisi della domanda in azienda… nella pratica! Questo perché a volte non è possibile seguire pedissequamente quelle che sono le indicazioni contenute sui vari manuali di psicologia del lavoro. 
Innanzitutto, quando incontriamo un cliente, è sempre bene avere chiaro quale sia il settore di appartenenza aziendale e la storia dell’azienda; questo non tanto per dare un’impressione positiva al nostro cliente ma perché, conoscendo storia e settore, è più facile dare un significato alle informazioni che ci vengono portate nel colloquio e formulare ipotesi. Facciamo un esempio: se so che l’azienda XY nel 2015 si è fusa con l’azienda ZW, posso comprendere meglio, potrò formulare maggiori ipotesi su possibili ripercussioni a livello di cultura organizzativa e di gestione del lavoro.
In ogni caso, come si fa anche per la storia del paziente nella clinica, la fase di “anamnesi” è importante farla anche per l’azienda. Chiediamo qual è stata la storia dello sviluppo aziendale; quanti dipendenti ci sono, se ci sono state ristrutturazioni o se ce ne sono in corso (un po’ come la mappa dei traumi nella clinica), quanti sono i reparti e come interagiscono tra di loro, come sia organizzato l’organigramma. Già da queste domande potenziali “magagne” escono fuori ma anche le risorse che hanno fatto la differenza. 

Una volta che ci siamo “preparati”, è bene strutturare sempre l’incontro dandoci un tempo e preparando in anticipo le domande finalizzate alla raccolta di informazioni. Improvvisare in questi contesti non mi sento di dire che sia una grande idea; l’improvvisazione può portare a farci perdere di vista una domanda che sarebbe stato importante fare oppure può portarci fuori strada. 
Prepariamo, chiaramente, una presentazione nostra e della nostra società (se lavoriamo per una società); presentazione che non dovrà durare, complessivamente più di 10 minuti comprese possibili domande. Le domande chiave a cui dobbiamo rispondere con la nostra presentazione sono: cosa facciamo? Come possiamo essere utili all’azienda cliente a risolvere un problema o semplificare la vita? Quanta esperienza abbiamo nel risolvere il genere di problemi o di questioni che l’azienda ci porta? Non dimenticate… dieci minuti al massimo!
Ricordatevi sempre il nome della persona che sarà il vostro riferimento e scrivetevi i nomi di eventuali interlocutori che prenderanno parte alla riunione e, se possibile, anche i loro contatti e-mai e/o telefonici. Possono sempre servire… anche quelli di stagisti o assistenti vari che possono essere persone molto operative.
Cerchiamo di capire chi prende le decisioni; alla fine se incantiamo chi non decide e chi non decide non è efficace nel passare i messaggi a chi decide siamo in difficoltà; cerchiamo di fissare appuntamenti con persone che abbiano il potere di sceglierci o non sceglierci. 

Perché stanno facendo un incontro con noi? Altra domanda importante. L’ascolto attivo è la risorsa chiave di questi incontri perché qualunque pezzo, smorfia, battuta è importante e ci dice qualcosa. Il rischi in questi incontri sono molti, in primis quello che per pensare a ciò che dobbiamo dire perdiamo di vista ciò che la persona ci sta dicendo. Un altro rischio, è quello di non comprendersi nei significati delle parole. Se, ad esempio, ci viene richiesto un test psicoattitudinale, devo chiedere al mio interlocutore cosa intenda con test psicoattitudinale. Alcuni ci mettono dentro tutto, altri intendono i test di personalità, altri solo quelli di ragionamento logico. Se non siamo allineati sul senso delle parole, si rischia di andare moltissimo fuori strada. 

In questa fase, sono molto utili le tecniche di ascolto attivo e in particolare.

Riformulazione: riformulate la richiesta del vostro interlocutore per avere la certezza di aver compreso. Es. Se ho ben compreso, ci sono due persone che hanno lasciato l’azienda e intendete sostituirle con due persone interne all’azienda con l’obiettivo di dare spazio alla crescita delle risorse interne, è così?

Domande aperte: aiutano a disporre di maggiori dettagli perché stimolano la riflessione. Fare domande aperte stimola la riflessione e aiuta le persone a mettere a fuoco i dettagli che per l’interlocutore non sono necessariamente scontati. Ricordiamoci sempre che chi interagisce con noi, fa parte dell’azienda e può quindi avere la tendenza a dare per scontate tante cose che per un esterno possono non esserlo. Ad esempio, un interlocutore aziendale può esprimere la sua visione di un problema dando assolutamente per scontato che un reparto sia più problematico di un altro; problematicità che però non è scontata per chi ascolta. In questo esempio, un buon modo di mettere a fuoco questo aspetto può essere quello di riformulare e chiedere: mi sembra di capire che il reparto amministrazione è quello che considera più problematico e vede questa problematicità alla base del fallimento del percorso di valutazione delle prestazioni; è così? Quali sono gli aspetti problematici che, dal suo punto di vista, caratterizzano il reparto amministrazione?

Infine… scriviamo tutto! Lo so, è faticoso ma i report servono, sia per aiutarci nella costruzione del lavoro presente che, un domani, se dovesse capitarci di nuovo di lavorare con quell’azienda.

Concludendo: cuore e cervello colleganza! Cuore perché lo sapete, sono le emozioni che muovono il mondo; cervello perché dobbiamo mettere insieme, secondo un senso logico, il cuore e i fatti che abbiamo raccolto nelle varie telefonate e incontri. Ricordatevi che siamo psicologi, ci occupiamo dello studio dell’anima… anche di quella aziendale.