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numero 60 - settembre 2018

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Omofobia e omonegatività: stereotipi e pregiudizi nei confronti delle diversità sessuali

Omofobia e omonegatività: stereotipi e pregiudizi nei confronti delle diversità sessuali

Il termine omofobia fu introdotto da Weinberg (1972) nel suo libro Society and the Healthy Homosexual (Slootmaeckers e Lievens, 2014), in seguito ad una riflessione emersa: molti psicoanalisti eterosessuali manifestavano fuori dal setting clinico reazioni negative quando si relazionavano con persone omosessuali (Graglia, 2012). Con tale concetto, Weinberg faceva riferimento ad una “fobia verso gli omosessuali”, ovvero: “la paura espressa dagli eterosessuali di stare in presenza di omosessuali”.
Nel frattempo, all’interno del mondo della psicologia si assistette ad un vero e proprio passaggio epocale quando nel 1973 l’APA (American Psychiatric Association) eliminò l’omosessualità dall’elenco dei disturbi mentali del DSM (Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders, Manuale Diagnostico e statistico dei Disturbi Mentali) (Dèttore, Antonelli e Ristori, 2014).
Il costrutto di omofobia comunque durante gli anni non fu esente da critiche; infatti, secondo alcuni era più corretto utilizzare “omosessuofobia” oppure “omonegativismo” (Hudson, Ricketts, 1980 in Graglia, 2012) da cui poi venne introdotto il termine omonegatività, ossia atteggiamenti, credenze e giudizi contro i gay (Slootmaeckers e Lievens, 2014). Tale definizione oggi viene preferita a quella di omofobia, in quanto permette un’accezione più globale (Lingiardi et al., 2016).
L’omonegatività si manifesta a diversi livelli in sinergia tra di loro: intraindividuale, interpersonale, istituzionale e culturale (Graglia, 2012).

Omonegatività intraindividuale

L’omonegatività intraindividuale fa riferimento alle rappresentazioni che i singoli hanno delle identità e dei comportamenti non eterosessuali (stereotipi) e delle credenze sulle persone LGBT (Lesbica, Gay, Bisessuale e Transgender/Transessuale) (pregiudizi) (Graglia, 2012). Dando una definizione più completa, possiamo parlare di stereotipi e pregiudizi di genere: ossia una generalizzazione e assolutizzazione delle differenze sessuali tra maschi e femmine, dal quale si sviluppa un sistema di credenze secondo cui ci sono alcune caratteristiche di personalità, atteggiamenti e tratti comportamentali che si ritengono più o meno adeguati al maschile e al femminile (Taurino, 2005 in Dèttore, Antonelli e Ristori, 2014).
Pietrantoni (1999), a tal proposito, ha suddiviso gli stereotipi riguardo all’omosessualità in quattro categorie:

  • Gli stereotipi relativi alla non conformità al ruolo di genere, ossia la convinzione che i gay hanno comportamenti, atteggiamenti, gesti, abitudini tipici del sesso femminile e le lesbiche viceversa;
  • Gli stereotipi relativi al ruolo sociale: per esempio gli uomini gay sono tutti stilisti, parrucchieri, arredatori o infermieri mentre le lesbiche sono camioniste o metalmeccaniche;
  • Gli stereotipi relativi alle relazioni e al comportamento sessuale, cioè l’idea che le persone omosessuali siano desiderose di corteggiare, circuire e convertire le persone eterosessuali all’omosessualità;
  • Gli stereotipi relativi alle cause dell’omosessualità: le persone omosessuali sono diventate tali a causa di traumi infantili, di un desiderio genitoriale di avere figli dell’altro sesso o di un’educazione sessualmente scorretta (in particolar modo gli uomini gay sono diventati tali a causa di un rapporto disturbato con la madre, della mancanza del padre, mentre le lesbiche a causa di rapporti negativi con gli uomini).

Entrando più nello specifico degli studi sull’omonegatività intraindividuale e del pregiudizio omofobico emerge che un ruolo fondamentale viene giocato da cinque variabili: genere, età, educazione, religione e contatto con persone LGBT (Slootmaeckers e Lievens, 2014).
Per quanto riguarda il genere, gli uomini eterosessuali sembrano esprimere più alti livelli di pregiudizio omofobico rispetto alle donne (Marsh e Brown,2009; Schulte e Battle, 2004 in Slootmaeckers e Lievens, 2014). Quest’ultime, infatti, sembrano accettare con maggiore naturalezza e serenità l’omosessualità.
Ciò può essere ricollegato a vari fattori. In primo luogo, all’autostima: un uomo eterosessuale deriva l’immagine di sé dall’appartenenza o meno ad un gruppo di uomini eterosessuali. Il pregiudizio servirebbe per mantenere una maggiore distinzione dalle donne e dagli omosessuali, preservando la propria autostima e affermando la propria identità (Graglia, 2012). Un’ulteriore spiegazione è da ricercare nel concetto di dominanza o potere: spesso tra gli uomini la competizione riveste un ruolo importante, per cui essi hanno bisogno di dimostrarsi più forti e di maggior successo (Graglia, 2012; Poteat et al., 2016). Sembrerebbe perciò che il pregiudizio svolga una funzione difensiva e socio espressiva per gli uomini (Graglia, 2012).
Questi atteggiamenti hanno una radice principalmente sociologica e che si può ritrovare nel concetto di eteronormatività: la nostra società è improntata sul maschilismo e tende a vedere l’eterosessualità come unico standard legittimo di organizzazione delle relazioni di coppia e sessuali (Warner, 1993; Herek, 2004 in Maurice e Taddei, 2015). Da questa visione riescono generalmente a svincolarsi gli adolescenti maschi meno permeabili alle convenzioni sociali connesse al modello maschilista e capaci di costruire una rappresentazione del genere più flessibile che comprenda anche tratti come la sensibilità e la premurosità (Maurice e Taddei, 2015).
Un secondo fattore che va ad incidere sull’omonegatività intraindividuale è la religione. Gli studi evidenziano che le persone per le quali la religione è intrinseca (ossia riguarda ragioni personali o individuali) sono generalmente più omonegative di quelle per le quali è estrinseca (cioè che offre sicurezza, conforto e status). Alcune ricerche scientifiche mostrano, inoltre, che i protestanti praticanti sembrano meno tolleranti verso gli omosessuali rispetto ai cattolici praticanti. Infine, la maggiore frequenza ai servizi religiosi sembra correlata con una minore tolleranza nei confronti delle persone LGBT (Besen e Zicklin, 2007).
Per quanto riguarda il fattore età, sebbene la maggior parte degli studi mostrino che le persone anziane siano generalmente più omonegative di quelle più giovani, ce ne sono altri (per esempio, Besen e Zicklin, 2007) secondo cui non c’è una correlazione tra queste due variabili (Slootmaeckers e Lievens, 2014).
I risultati di molte ricerche si trovano in accordo per quanto riguarda l’influenza dell’istruzione sull’omonegatività. Emerge che le persone più istruite tendono ad avere una mentalità più aperta rispetto a quelle lo sono meno (Elchardus e Spruyt, 2009 in Slootmaeckers e Lievens, 2014).
Facendo riferimento al bullismo omofobico, si evidenzia che gli adolescenti che vivono in contesti con basso status socioeconomico sperimentano comportamenti omofobici più frequentemente di altri che risiedono in aree (Kosciw et al., 2010).
Avere maggiori contatti e conoscenze con le persone omosessuali è un ulteriore fattore influente. La teoria dell’ipotesi del contatto di Allport (1954) afferma che la frequentazione di persone di un gruppo discriminato porta ad un aumento dell’accettazione e del rispetto verso questo gruppo. Il contatto può aumentare così come ridurre il pregiudizio, a seconda delle persone coinvolte e del contesto circostante. Si è osservato che i benefici del contatto intergruppo sono molto alti soprattutto nelle amicizie tra pari negli adolescenti; gli studenti con più amici con diversità sessuali hanno minor comportamento omofobico (Poteat et al., 2016).
Alcuni studi sostengono, però, che non è il contatto con persone LGBT a indurre gli individui ad essere meno omonegative ma piuttosto che è il contrario: meno le persone sono omonegative più sono propense ad avere un contatto con le persone LGBT (Slootmaeckers e Lievens, 2014).
Per quanto riguarda l’omonegatività interpersonale si fa riferimento principalmente agli atti omofobici messi in atto nei confronti delle persone LGBT, a partire dalle forme più manifeste, quali l’aggressione fisica, le offese verbali (utilizzo ad esempio di termini come “frocio”, “finocchio”) fino ad arrivare a quelle più indirette come l’evitamento sociale (Graglia, 2012). Per esempio, nel contesto scolastico dove sono state svolte la maggior delle ricerche, vediamo che il fenomeno del cosiddetto bullismo omofobico è in aumento (Kosciw et al., 2016).
Margherita Graglia (2012) parla anche di omonegatività istituzionale, riferendosi al modo in cui il governo, la Chiesa, la scuola, i sindacati, le istituzioni militari, le organizzazioni sportive e le altre istituzioni pubbliche tracciano una differenza negativa tra le persone sulla base del loro orientamento eterosessuale.

Discriminazione normativa

A questo punto può essere utile utilizzare il concetto di discriminazione normativa, diretta e indiretta. La prima si riferisce ad un modello di trattamento differenziato sulla base di modelli socialmente condivisi, di solito codificati a livello legislativo. Alcuni esempi possono essere l’assenza di una legislazione sui crimini omofobici, la disparità di trattamento legale rispetto alle unioni civili, la mancanza di politiche scolastiche contro il bullismo omofobico. Basti pensare che in Italia, per esempio, sono state regolamentate le unioni civili tra persone dello stesso sesso solo recentemente con la legge del 20 maggio 2016, n.76, meglio conosciuta come “Legge Cirinnà”, dal nome della Ministra che ha presentato il decreto di legge (L. del 20 maggio 2016 in materia di Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).
La discriminazione diretta si ha quando, a parità di situazione, una persona è trattata meno favorevolmente a causa di alcune sue caratteristiche, come il genere o l’orientamento sessuale. Per esempio, quando una persona non viene assunta perché LGBT (Graglia, 2012). La discriminazione indiretta si determina quando una norma, un criterio o un parametro apparentemente neutri mettono in una situazione di svantaggio le persone. Sempre nel contesto lavorativo, potrebbe essere una norma per cui i congedi matrimoniali sono previsti solo per persone eterosessuali.
La stessa esclusione dalla visibilità può essere considerata una forma di omonegatività. Secondo Lingiardi e colleghi (2015) infatti l’omofobia in Italia si manifesta attraverso un approccio “tu non mi chiedi, io non ti dico”, un che nega alle persone omosessuali i diritti, ma che al tempo stesso non ne punisce i comportamenti, manifestando indifferenza.
Le stesse istituzioni scolastiche che si rifiutano di concedere fondi, spazi e risorse per affrontare i temi dell’orientamento sessuale nelle loro strutture si situano nell’ambito dell’esclusione. In molte scuole dell’USA le coppie LGBT lamentano spesso di non essere ben accolte durante i balli studenteschi, o che la loro partecipazione in alcuni casi sia stata esplicitamente vietata (Russel e Horn, 2016). 

Omonegatività culturale

Infine, si parla anche di omonegatività culturale. Recentemente, è stato dimostrato che esiste una relazione tra quest’ultima e i mezzi di comunicazione (di massa). L’inclusione delle minoranze sessuali nei programmi televisivi è identificata come un fattore protettivo, il quale può rinforzare l’immagine delle minoranze sessuali e decrementare i comportamenti omofobici (Hong et al., 2012).
A questo proposito, è stato sostenuto che non è il contenuto esplicito di un messaggio mediatico che potrebbe influenzare gli atteggiamenti, ma piuttosto le emozioni, lo stile, la struttura e i messaggi "nascosti" nel sistema simbolico (Elchardus e Siongers, 2009a in Slootmaeckers e Lievens, 2014).
Inoltre, l'influenza della cultura non si ferma ai media (di massa), ma viene esteso anche ad altri aspetti, come lo sport. Ad esempio, lo studio di Osborne e Wagner (2007) mostra che gli studenti che scelgono lo sport come attività extracurricolare sono in generale più omonegativi di quelli che scelgono le arti.
Sorge, quindi, una domanda: nella società odierna con che modalità e frequenza si manifesta il pregiudizio e l’atteggiamento omofobico? Se facciamo riferimento ad alcuni dati ISTAT (2012), notiamo che il 61,3% dei cittadini tra i 18 e i 74 anni ritiene che in Italia gli omosessuali sono molto o abbastanza discriminati. Dall’altro lato, che persone omosessuali rivestano alcuni ruoli crea problemi ad una parte della popolazione: per il 41,4% non è accettabile un insegnante di scuola elementare sia omosessuale, per il 28,1% un medico, per il 24,8% un politico. La maggioranza dei rispondenti ritiene accettabile che un uomo abbia una relazione affettiva e sessuale con un altro uomo (59,1%) o che una donna abbia una relazione affettiva e sessuale con un’altra donna (59,5%), ma il 55,9% si dichiara d’accordo con l’affermazione “se gli omosessuali fossero più discreti sarebbero meglio accettati”, mentre per il 29,7% “la cosa migliore per un omosessuale è non dire agli altri di esserlo”.
Un interessante studio recente di Lingiardi e colleghi (2016), il quale si proponeva di fornire un adattamento italiano della scala sull’omonegatività Modern Homonegativity Scale (MHS-R), riporta alcuni suggerimenti e strategie per sensibilizzare sulle tematiche dell’omosessualità, allo scopo di ridurre l’omonegatività e gli atti omofobici. Gli autori ritengono necessario condurre una serie di iniziative portate avanti attraverso le istituzioni stesse: ad esempio progetti educativi all’interno delle scuole per promuovere il rispetto alle differenze individuali e ridurre la discriminazione e la vittimizzazione delle persone LGBT oppure azioni di formazioni rivolte agli psicologi, assistenti sociali, genitori, autorità religiose per accompagnarli al riconoscimento degli stereotipi e dei pregiudizi di genere e sviluppare in loro un atteggiamento maggiormente positivo verso gay e lesbiche.
Come sottolineano gli stessi autori e i dati ISTAT sopra riportati, la strada è ancora lunga e ci sono ancora molte vittime di omonegatività; al tempo stesso, nel mondo scientifico, recentemente anche in Italia, si stanno facendo sempre più ricerche sull’argomento che gettano sia le basi per l’individuazione di strumenti di prevenzione e promozione dell’omofobia e che fanno sperare in una società maggiormente accettante nei confronti delle diversità sessuali.

Bibliografia

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  • www.istat.it