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numero 110 - maggio 2024

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Nuovi dati sulla previsione della compromissione funzionale

Nuovi dati sulla previsione della compromissione funzionale

Nel contesto forense il principale obiettivo dello psicologo è la valutazione della compromissione funzionale. Dal mio punto di vista di valutatore neuropsicologico forense, l’obiettivo primario è raccogliere dati che mi permettano di fornire una spiegazione delle compromissioni funzionali quotidiane di un individuo. La revisione delle cartelle cliniche, l'osservazione e i test psicologici sono tutti finalizzati a generare dati per fornire spiegazioni sulle debolezze, nonché sui punti di forza o sulle risorse che un individuo ha nella vita di tutti i giorni, così da comprendere meglio la sua vita. Tradizionalmente, la valutazione della manifestazione e della gravità dei sintomi ha costituito la base per gli accertamenti diagnostici e prognostici. Tuttavia, una letteratura di ricerca emergente dimostra che il numero dei sintomi e, in una certa misura, anche la loro gravità non sono predittori particolarmente validi della compromissione funzionale quotidiana. Pertanto, la diagnosi di una specifica condizione non equivale automaticamente a un particolare livello di limitazione funzionale nella vita quotidiana.

Diagnosi e compromissione funzionale

Nella seconda edizione del nostro libro Assessing Impairment: From Theory to Practice (Goldstein & Naglieri, 2016), Jack Naglieri ed io affrontiamo questi temi in modo approfondito. Fino a poco tempo fa, la compromissione funzionale non era uno dei temi principali della diagnosi o del trattamento medico e clinico dei problemi di salute fisica o mentale. Questo nuovo interesse è stato suscitato da una letteratura emergente al di là dell'ambito forense, che dimostra come i sintomi e la compromissione funzionale debbano essere considerati separatamente nel prendere decisioni diagnostiche, nel valutare la risposta al trattamento e nel determinare il massimo miglioramento medico e la prognosi futura. In effetti, un'ampia gamma di risultati suggerisce che la vita di individui che non soddisfano criteri sintomatologici specifici può essere altrettanto compromessa e stravolta di quella di individui che soddisfano vari criteri. Inoltre, la funzionalità di molte persone che presentano i sintomi di una diagnosi specifica può non essere significativamente compromessa. Sebbene l'individuazione delle compromissioni sia un requisito necessario per la maggior parte delle diagnosi mediche e di salute mentale, resta il fatto che spesso è un'opzione secondaria per i diagnosti clinici e forensi. Il modo in cui i sintomi e le compromissioni contribuiscono alla disabilità, all'handicap e ai deficit nel funzionamento adattivo è ancora in fase di definizione e comprensione. Ancora oggi non c'è accordo nemmeno sulla più semplice nomenclatura delle compromissioni funzionali. Il termine impairment è usato in modo diverso dai professionisti della medicina, della salute mentale e dell'educazione.

La valutazione dell’impairment

Per illustrare la complessità della valutazione dell'impairment, consideriamo i casi di due persone che ho visto di recente. In sede di assessment ho esaminato le loro autodichiarazioni sui sintomi depressivi, rispetto ai quali entrambi hanno riportato un livello moderato. Tuttavia, quando ho chiesto informazioni sulla loro vita quotidiana, sono emersi due scenari molto diversi. Un individuo era poco impegnato nelle attività quotidiane, rimaneva in casa, senza lavorare e isolato dagli altri. L'altro individuo lavorava, si sforzava di avere una vita sociale e a chi lo circondava non sembrava essere significativamente depresso. In una serie di studi recenti, quando i livelli di compromissione vengono stabiliti come parte del processo diagnostico, la percentuale di individui che rientrano in un’etichetta diagnostica diminuisce significativamente.
La base di una valutazione neuropsicologica è tradizionalmente costituita dalla somministrazione di test standardizzati. Si è spesso sostenuto che tali test siano più affidabili e validi delle segnalazioni dei sintomi. Tuttavia, un'ulteriore letteratura emergente sta dimostrando che i test neuropsicologici possono avere una debolezza simile a quella delle diagnosi e delle segnalazioni dei sintomi nel predire la compromissione funzionale.
Binder e colleghi (2009) hanno esaminato una serie di studi normativi sulla variabilità neuropsicologica nei test di performance somministrati ad adulti sani in riferimento a un'ampia batteria di strumenti. Sorprendentemente, la dispersione dei punteggi dei test o la differenza tra i punteggi più alti e quelli più bassi ha dimostrato che questi individui considerati con una funzionalità nella norma presentavano spesso grandi discrepanze tra i punteggi migliori e quelli peggiori. Tuttavia, tradizionalmente questo tipo di discrepanza è stato utilizzato per confermare le diagnosi e per prevedere o spiegare le compromissioni funzionali. Se un funzionamento anormale è stato associato a un punteggio inferiore di più di una deviazione standard rispetto alla media su batterie di test con almeno venti misure diverse, la grande maggioranza degli individui con funzionamento nella norma in questo ampio studio presentava una o più compromissioni funzionali. Anche limitando il campione ai partecipanti con un'intelligenza superiore alla media o con un livello di istruzione elevato e utilizzando definizioni più conservative di compromissione, come due deviazioni standard al di sotto della media (secondo percentile o inferiore), rimanevano comunque dei punteggi anomali. Questi autori hanno concluso che le prestazioni atipiche in una certa percentuale di test neuropsicologici di una batteria sono psicometricamente normali. Secondo gli autori, queste anomalie non comportano necessariamente la presenza di una disfunzione cerebrale acquisita, perché i punteggi bassi e la grande variabilità intra-individuale sono spesso caratteristici di adulti sani e con funzionamento nella norma. Anomalie superiori a una deviazione standard al di sotto della media si sono verificate in un test su quattro in più di un sesto del campione normativo.
Da oltre vent'anni la letteratura scientifica mette in guardia dal rischio di dare un'interpretazione eccessiva di punteggi isolati, bassi o alti che siano. La ricerca ha inoltre dimostrato che esistono ampie discrepanze tra i punteggi, i vari indici e i punteggi dei subtest del QI. Inoltre, non esistono né ricerche pubblicate né manuali di test che forniscano informazioni sull’incidenza dei punteggi con grandi discrepanze quando queste ultime vengono considerate simultaneamente, come avviene nella pratica clinica.
Se è vero che la considerazione dei sintomi o la loro gravità, la diagnosi e i punteggi dei test neuropsicologici non sono predittori abbastanza forti della compromissione funzionale quotidiana, allora cosa ci rimane per valutarla? Sembrerebbe che per comprendere veramente la vita di un individuo dopo un evento traumatico si debba esaminare attentamente il suo livello di funzionalità a livello comportamentale pre e post incidente, oltre a valutare i sintomi, somministrare test neuropsicologici e fare diagnosi. A questo punto la maggior parte della varianza nello spiegare le differenze funzionali tra individui che hanno subito un evento traumatico rimane non identificata. Tuttavia, ciò non significa che i sintomi, i test neuropsicologici e le diagnosi non siano importanti. Piuttosto, queste linee di ricerca emergenti ci aiutano a comprendere ancora una volta la complessità della funzionalità e del comportamento umano e il continuo divario tra le esigenze del sistema legale e la scienza della valutazione forense.

Traumatic Brain Injury e valutazione della compromissione funzionale

Nell’ambito della valutazione della compromissione funzionale, quando si è verificato un evento traumatico, ad oggi non c'è sfida più grande per il neuropsicologo forense che la diagnosi differenziale tra la compromissione secondaria a disturbi emotivi e mentali e il dolore cronico e/o una lesione cerebrale traumatica (Traumatic Brain Injury, TBI). Questa sfida è più ardua nei casi di lesione cerebrale lieve, in quanto il 15%-20% circa di persone che presenta questo tipo di lesione soffre di sintomi di commozione cerebrale persistenti o, come viene talvolta definita, di una sindrome post-concussiva persistente. In neuropsicologia forense, questo problema è particolarmente rilevante, poiché di solito mi viene chiesto di esprimere un parere sull'attribuzione dell'eziologia del problema in presenza di molteplici possibili spiegazioni per i sintomi e le compromissioni funzionali.

Compromissione dell’efficienza cognitiva

È ben noto che gli individui che soffrono di dolore cronico post-incidente, di disturbi psichiatrici come il Disturbo Post Traumatico da Stress (Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD) e di lesioni cerebrali traumatiche possono presentare profili molto simili di compromissione funzionale quotidiana e che comportano ciò che nel mio lavoro ho definito “compromissione dell'efficienza cognitiva”. La compromissione dell'efficienza cognitiva è definita come la discrepanza tra le capacità di un individuo e il suo effettivo funzionamento nella vita quotidiana. Ad esempio, il dolore cronico può compromettere la concentrazione e la memoria incidentale, causando sfide quotidiane a casa e sul posto di lavoro. Lo stesso vale per il PTSD, l'ansia generalizzata e la depressione. Questo quadro di compromissione è anche il modo più caratteristico con cui si presentano le persone che hanno subito una lesione cerebrale traumatica. La letteratura scientifica disponibile fornisce un aiuto e una guida nel processo di diagnosi differenziale. Tuttavia, continua ad esserci in letteratura una carenza di studi che esaminano i deficit cognitivi nei soggetti con dolore cronico e disturbi psichiatrici, mentre i ricercatori hanno focalizzato il loro interesse sulla comprensione e sulla definizione delle conseguenze emotive e comportamentali negative sperimentate da persone con lesione cerebrale traumatica. Anche i test neuropsicologici sono utili, ma contribuiscono solo in minima parte a spiegare l'eziologia dei problemi quotidiani, tranne nei casi più estremi.

Insorgenza di problematiche cliniche nel caso di lesione cerebrale traumatica

Uno studio su larga scala che ha integrato e analizzato l'associazione a livello di genoma di venticinque disturbi cerebrali ha rilevato che i disturbi psichiatrici condividono in larga parte una considerevole porzione di variante genetica comune di rischio, soprattutto tra condizioni come la depressione e l'ansia (Brainstorm Consortium, 2018). Al contrario, i disturbi neurologici, come le malattie o le lesioni cerebrali traumatiche, condividono relativamente poco rischio genetico comune. Ciò suggerisce la presenza di più percorsi diversi e in gran parte indipendenti che possono dare origine a manifestazioni cliniche simili (per esempio, una persona con TBI può condividere molte caratteristiche sintomatiche con una persona che soffre di depressione cronica). Inoltre, l'alto grado di correlazione genetica tra questi disturbi psichiatrici fornisce ulteriori prove a favore del fatto che gli attuali protocolli diagnostici clinici non riflettono un'eziologia genetica specifica per questi disturbi e che i fattori di rischio genetici per i disturbi psichiatrici non rispettano i confini diagnostici clinici. È proprio per questo motivo che il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (American Psychiatric Association, 2013), nella sua quinta edizione, solleva preoccupazioni sull'uso di queste etichette diagnostiche in situazioni in cui la posta in gioco è alta, come i contenziosi legali. Questo problema non fa altro che complicare ulteriormente l'eziologia diagnostica differenziale di un individuo coinvolto in un incidente che ha causato lesioni fisiche e psicologiche e che viene sottoposto a una valutazione forense.
In una meta-analisi su larga scala, Perry e colleghi (2016) hanno individuato una relazione significativa tra TBI e il successivo sviluppo di disturbi neurologici e psichiatrici. Gli autori hanno inoltre riscontrato un rischio maggiore di sviluppare patologie come il morbo di Alzheimer e il morbo di Parkinson. È interessante notare che questa associazione era presente solo nei casi di lesioni cerebrali traumatiche lievi. Inoltre, contrariamente a quanto si crede questo studio ha rilevato che TBI multiple non sono associate a maggiori probabilità di malattia rispetto a una singola TBI. Ne consegue che una storia di TBI, (anche lieve) è associata allo sviluppo di malattie neurologiche e psichiatriche, rappresenta un fattore di rischio per un processo patologico eterogeneo oppure può contribuire a un meccanismo patologico comune.
In un'analisi simile riguardante le lesioni cerebrali traumatiche lievi nei bambini e negli adolescenti, Emery e colleghi (2016) hanno esaminato trenta studi concludendo che in letteratura è disponibile un ridotto numero di studi rigorosi e prospettici che hanno esaminato gli esiti psicologici, comportamentali e psichiatrici nei bambini in seguito a lesioni cerebrali traumatiche lievi. In assenza di segnalazioni di problemi precedenti alla lesione, quando si confrontano persone con TBI lieve con controlli non TBI, ci sono poche prove che suggeriscono che i problemi psicologici, comportamentali e/o psichiatrici persistono oltre il periodo acuto e subacuto successivo a una lesione cerebrale traumatica lieve nei bambini e negli adolescenti. A differenza di quanto rilevato negli adulti, molti di questi problemi sembrano risolversi nella maggior parte dei casi. I bambini più a rischio di problemi a lungo termine sembrano essere quelli con più TBI lievi precedenti o con malattie psichiatriche preesistenti. Gli autori riconoscono che sono necessari ulteriori studi che approfondiscano ulteriormente la questione e che la ricerca futura deve concentrarsi su dati longitudinali prospettici di alta qualità nel tentativo di comprendere i rischi a lungo termine delle lesioni cerebrali lievi nei bambini.
In seguito all’analisi dei risultati ottenuti da uno studio di follow-up di ventiquattro mesi su bambini e adolescenti che avevano subito una lesione cerebrale lieve, Max e colleghi (2015) suggeriscono che la morbilità psichiatrica per un periodo di almeno ventiquattro mesi nei bambini che hanno subito una lesione cerebrale lieve è più comune di quanto si pensasse in precedenza e che è anche legata alle vulnerabilità precedenti alla lesione e alle variabili relative ai disturbi dello sviluppo e psichiatrici. Va evidenziato che si trattava di un gruppo di bambini ricoverati in ospedale e con risultati positivi a livello cerebrale a seguito delle lesioni subite. Gli autori suggeriscono che non solo i disturbi neuropsichiatrici erano persistenti, ma sembravano anche essere comuni in circa un terzo dei bambini che hanno preso parte allo studio. La maggior parte di questi problemi è emersa nelle prime settimane dopo la lesione.
Infine, Haagsma e colleghi (2015) hanno condotto uno studio in una popolazione di adulti con lesione cerebrale traumatica e hanno riportato che i tassi di depressione e di disturbo da stress post-traumatico a sei e dodici mesi di follow-up erano rispettivamente del 7% e del 9%. La depressione e il disturbo da stress post traumatico sono stati associati a una significativa riduzione dei risultati funzionali e della qualità della vita. Questi disturbi sembravano essere relativamente comuni in questo campione e associati a una notevole riduzione della funzionalità e della qualità della vita.

Alcune linee guida

È evidente che anche una buona ricerca non fornisce linee guida coerenti per comprendere il rapporto di causa ed effetto tra problemi psichiatrici, dolore cronico e TBI nella manifestazione dei sintomi e nella compromissione funzionale, nonché il decorso nel tempo di queste condizioni. È una posizione eccessivamente semplicistica per un esperto forense suggerire che singole variabili come i punteggi dei test, l'anamnesi psichiatrica o persino la gravità dell'incidente, possano essere utilizzate in modo isolato per dare opinioni sull'eziologia delle compromissioni funzionali che si presentano nella vita quotidiana. In questi casi complessi, mi sforzo di raccogliere con attenzione tutti i dati disponibili relativi all'istruzione, alla professione, agli aspetti medici e alla salute mentale prima e dopo l'incidente, nonché tutti i documenti che potrebbero fornire un profilo del funzionamento di un individuo nella vita quotidiana prima e dopo l'incidente. Mi sto inoltre concentrando sempre più sulla valutazione delle misure di abilità rispetto alle conoscenze acquisite. Gli strumenti di valutazione neuropsicologica che valutano la pianificazione, l'attenzione, la velocità di elaborazione, la memoria di lavoro e altri comportamenti che rientrano nell'ambito del funzionamento esecutivo, sono di fondamentale importanza per la valutazione. Inoltre, stiamo osservando un aumento nello sviluppo di strumenti computerizzati come il Virtual Reality Aquarium di Nesplora, progettato per valutare l'attenzione e il funzionamento esecutivo negli adulti, e la misura di performance continua MOXO, progettata per valutare l'attenzione, la vigilanza, la risposta motoria e la regolazione. Infine, in molti casi non è possibile trarre conclusioni definitive sul contributo eziologico di problemi di salute mentale o di dolore cronico preesistenti, di difficoltà emotive e fisiche legate all'incidente o di altre sfide della vita post-incidente. Il valutatore forense deve adottare un approccio ragionato e ragionevole, tenendo sempre presente che come valutatori forensi non siamo sostenitori, ma piuttosto interpreti della scienza, dei dati e delle risorse disponibili. 

Bibliografia

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