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numero 46 - aprile 2017

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Misurare l’uso patologico dei videogiochi negli adolescenti: la Video-Gaming Scale for Adolescents

Misurare l’uso patologico dei videogiochi negli adolescenti: la Video-Gaming Scale for Adolescents

I videogiochi sono oggi tra i passatempi più diffusi tra gli adolescenti. Ricerche condotte in contesti culturali e linguistici differenti riportano infatti percentuali di videogiocatori comprese tra il 51% (Desai, Krishnan-Sarin, Cavallo e Potenza, 2010) e il 93% (Tejeiro Salguero e Moràn, 2002), con una netta prevalenza di tale passatempo tra i maschi (tra gli altri, Turner et al., 2012) e un tempo medio settimanale trascorso a giocare ai videogiochi compreso tra 11 (Lemmens, Valkenburg, & Peter, 2011) e 20 ore (Gentile et al., 2011). La situazione in Italia risulta essere in linea con quella internazionale (Donati, Chiesi, Ammannato e Primi, 2015; Patriarca, Di Giuseppe, Albano, Marinelli e Angelillo, 2009).

Sebbene l’uso dei videogiochi rappresenti un’attività estremamente piacevole per la maggioranza degli adolescenti, questo comportamento può associarsi a conseguenze negative (Charlton e Danforth, 2007; Kuss e Griffiths, 2012), con percentuali di giovani videogiocatori patologici comprese tra l’1.3% (Haagsma, Pieterse e Peters, 2012) e l’11.9% (Grüsser, Thalemann e Griffiths, 2007). La definizione di uso patologico dei videogiochi è stata storicamente oggetto di dibattito scientifico (vedi, tra gli altri, Tejeiro Salguero e Morán, 2002). Attualmente vi è un generale accordo nel considerare la dipendenza dai videogiochi una particolare tipologia di dipendenza comportamentale, ovvero conseguente all’esecuzione di un certo comportamento che, in analogia all’assunzione di sostanze, fornisce una gratificazione e porta la persona ad avere uno scarso controllo su di esso, nonostante gli esiti nocivi che esso determina (Grant, Potenza, Weinstein e Gorelick, 2010). Tuttavia, nell’ultima versione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th ed.; DSM-5; American Psychiatric Association, APA, 2013), l’uso patologico dei videogiochi è stato inserito, con l’etichetta “Disturbo da gioco su Internet”, nella Sezione 3, cioè tra quei disturbi che necessitano di ulteriori studi, e non all’interno della categoria diagnostica dei “Disturbi senza sostanze”. Ciò è stato giustificato col fatto che sembrano ancora mancare prove empiriche sufficienti a supporto della sua corretta etichettatura nosografica e della sua equiparazione a vero e proprio disturbo senza sostanze.

Tale questione aperta si lega al problema della misura del comportamento patologico, in particolare negli adolescenti. Infatti, se è vero che dagli anni 2000 sono stati proposti una ventina di strumenti relativi all’uso problematico dei videogiochi (King, Haagsma, Delfabbro, Gradisar e Griffiths, 2013), molti di questi sono stati adattati da quelli per gli adulti, il focus è stato diretto prevalentemente sulla sintomatologia, tralasciando gli aspetti comportamentali legati all’uso dei videogiochi, e i sintomi presi in esame sono stati considerati tutti sullo stesso livello, senza indagare preliminarmente, e poi quantificare, lo specifico contributo di ciascun sintomo alla definizione del quadro clinico generale.

 

La VGS-A

A partire da tali premesse, è stata costruita una nuova scala di misura per lo screening e la valutazione clinica dell’uso patologico dei videogiochi con adolescenti italiani, che fosse in grado di misurare sia alcuni indicatori comportamentali (Sezione A) che i criteri diagnostici descritti nel DSM-5 (Sezione B), facendo riferimento agli ultimi dodici mesi come cornice temporale: la VGS-A – Video-Gaming Scale for Adolescents. La Sezione A della scala permette di rilevare la presenza dell’uso dei videogiochi, i generi di videogiochi praticati, la frequenza di gioco, il tempo trascorso a giocare e la modalità di gioco (online/offline). La Sezione B consente invece di misurare il numero e il tipo specifico dei sintomi esperiti e la relativa frequenza attraverso 9 item con modalità di risposta politomica (mai/qualche volta/spesso).

Per massimizzare l’efficacia dello strumento nel misurare la sintomatologia legata all’uso patologico dei videogiochi, è stato utilizzato il modello psicometrico della Teoria della Risposta all’Item (Item Response Theory, IRT; Embretson e Reise, 2000). L’utilità del ricorso a tale modello psicometrico risiede principalmente nel fatto che esso permette di calibrare gli item, ovvero di selezionare quelli che si adattano al modello di misura prescelto che, nel caso della VGS-A, corrisponde al modello Graded Response Model (GRM) di Samejima (1997) e consente di individuare le proprietà degli item in termini di gravità del sintomo (parametri b) e di discriminazione (parametro a), cioè della capacità di distinguere tra rispondenti con diversi livelli di un certo sintomo. Infine, l’IRT permette di ponderare i criteri, ovvero di “pesarli” in base al loro livello di gravità e di ottenere così dei punteggi che possono fornire più informazioni del semplice calcolo additivo delle risposte agli item.

Per quanto riguarda il processo di costruzione della VGS-A, sono stati inizialmente formulati 5 item per ciascun criterio e poi sottoposti a esperti in modo che ne valutassero la validità di costrutto e a un gruppo di adolescenti per esaminarne la chiarezza. A seguito di tale processo, sono stati eliminati alcuni item, arrivando ad una versione a 34 item, che è stata somministrata a 1723 adolescenti frequentanti la scuola secondaria di primo e secondo grado. Dal campione iniziale, sono stati poi selezionati i videogiocatori, ovvero 1687 adolescenti sui quali sono state condotte le successive analisi. Con il set di 34 item è stato condotto il processo di calibrazione. Tutti gli item si adattavano al modello considerato; è stato quindi selezionato, per ciascun criterio del DSM-5, l’item che presentava sia adeguati livelli di severità che un’ottima capacità discriminante. La scala a 9 item è risultata essere unidimensionale e efficace nel misurare i livelli di media e alta severità del comportamento patologico.

Per classificare i rispondenti in categorie di progressivo livello di gravità, è stato definito un sistema di scoringbasato sull’attribuzione di specifici pesi agli item. Tali pesi sono determinati dalla gravità del sintomo e dalla frequenza con cui ciascun sintomo viene esperito. A seguito dell’attribuzione del punteggio così pesato, i rispondenti possono essere classificati in giocatori non problematici, a rischio e con disturbo (lieve, moderato, grave). Tale sistema di classificazione è stato sottoposto a verifica attraverso un’analisi della validità, condotta prendendo in considerazione diversi fattori di rischio del comportamento patologico legato all’uso dei videogiochi riferiti all’area disposizionale (tra gli altri, Irvine et al., 2013) e psicosociale (Kaczmarek e Drazkowksi, 2014).    

In conclusione, la VGS-A rappresenta un utile e efficace strumento di screening e di diagnosi. Essa può ad esempio essere impiegata in ambito educativo per realizzare attività di intervento preventivo e può essere anche utilizzata come strumento diagnostico per l’assessment e per la valutazione dell’efficacia dei percorsi di trattamento clinico.

 

Bibliografia

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Desai, R.A., Krishnan-Sarin, S., Cavallo, D., e Potenza, M.N. (2010). Video-gaming among high school students: health correlates, gender differences, and problematic gaming. Pediatrics, 126, 1414-1424.

Donati, M.A., Ammannato, G., Chiesi, F., e Primi, C. (2015). Versatility and addiction in gaming: The number of video-game genres played is associated with pathological gaming in male adolescents. Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking, 18(2), 129-132. doi: 10.1089/cyber.2014.0342.

Embretson, S.E., e Reise, S.P. (2000). Item response theory for psychologists. Mahwah, NJ: Erlbaum.

Gentile, D.A., Choo, H., Liau, A., Sim, T., Li, D., Fung, D., e Khoo, A. (2011). Pathological video game use among youths: a two-year longitudinal study. Pediatrics, 319-329. doi: 10.1542/peds.2010-1353.

Grant, J.E., Potenza, M.N., Weinstein, A., e Gorelick, D.A. (2010). Introduction to behavioral addictions. The American Journal of Drug and Alcohol Abuse, 36(5), 233-241.

Grüsser, S.M., Thalemann, R., e Griffiths, M. D. (2007). Excessive computer game playing: Evidence for addiction and aggression? Cyberpsychology & Behavior, 10, 290-292.

Haagsma, M.C., Pieterse, M.E., e Peters, O. (2012). The prevalence of problematic video gamers in the Netherlands. Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking, 15(3), 162-168. Irvine, M.A., Worbe, Y., Bolton, S., Harrison, N.A., Bullmore, E.T., e Voon, V. (2013). Impaired decisional impulsivity in pathological videogamers. PLoS One, 8(10), e75914.

Kaczmarek, L.D., e Drążkowski, D. (2014). MMORPG escapism predicts decreased well-being: examination of gaming time, game realism beliefs, and online social support for offline problems. Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking, 17(5), 298-302.

King, D.L., Haagsma, M.C., Delfabbro, P.H., Gradisar, M., e Griffiths, M.D. (2013). Toward a consensus definition of pathological video-gaming: a systematic review of psychometric assessment tools. Clinical Psychology Review, 33, 331-342.

Kuss, D.J., e Griffiths, M.D. (2011). Online social networking and addiction—a review of the psychological literature. International Journal of Environmental Research and Public Health, 8(9), 3528-3552.

Patriarca, A., Di Giuseppe, G., Albano, L., Marinelli, P., e Angelillo, I.F. (2009). Use of television, videogame, and computer among children and adolescents in Italy. BMC Public Health, 9 (139), 1. Samejima, F. (1997). Graded response model. In Handbook of modern item response theory (pp. 85-100). New York: Springer.

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Turner, N.E., Paglia-Boak, A., Ballon, B., Cheung, J.T., Adlaf, E. M., Henderson, J. ..., e Mann, R. E. (2012). Prevalence of problematic video gaming among Ontario adolescents. International Journal of Mental Health and Addiction, 10(6), 877-889.