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numero 4 - gennaio 2013

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Mental imagery: un’antica e sempre attuale risorsa della mente

Mental imagery: un’antica e sempre attuale risorsa della mente

Il termine “immaginazione” designa sia la riproduzione di contenuti cognitivi non presenti alla percezione sensoriale attuale, sia la rielaborazione e interpretazione originale dei dati percepiti. Il termine da tempo è entrato a far parte del pensiero filosofico e psicologico designando la capacità di oltrepassare la semplice ricezione ed elaborazione degli stimoli e degli eventi che si presentano alla nostra esperienza. Kant assegnava all’immaginazione una duplice funzione conoscitiva: riproduttiva di oggetti percepiti in precedenza, e produttiva in quanto fonte di “intuizioni pure del tempo e dello spazio”. La prima consente la rievocazione di percezioni passate, la seconda realizza la sintesi dalle percezioni isolate in costruzioni complesse e originali.
La psicologia moderna ha dimostrato empiricamente che entrambe queste capacità costituiscono elementi fondamentali della cognizione umana. Sia Bruner (1964) che Piaget e Inhelder (1966) hanno considerato l’acquisizione delle capacità immaginative come tappa essenziale dello sviluppo.
 
Le componenti essenziali del processo di Mental Imagery, a partire dai modelli proposti in letteratura (Kosslyn; 1980, 1994; Ahsen, 1985; Marks, 1985; Paivio, 1986; Cornoldi et al., 1986; Pearson et al., 2001), possono essere così riassunte:
  • generazione dell’immagine dalla memoria a lungo termine (ad esempio, il ricordo della casa dell’infanzia) oppure dalla percezione di stimoli esterni (come le immagini appena viste in televisione);
  • mantenimento dell’immagine inserendola nel buffer di memoria visuo-spaziale (visuo-spatial sketch pad secondo Baddeley, 1986);
  • ispezione dell’immagine e il confronto con altri elementi presenti in memoria, attribuendo denominazioni linguistiche e relativi significati;
  • possibilità di trasformazione ed elaborazione dell’immagine prodotta: per esempio, ruotandola o modificandone i contorni e la forma;
  • interpretazione e descrizione, mediata linguisticamente, del contenuto del buffer d’immagine e delle sue trasformazioni;
  • attivazione psicofisiologica correlata o conseguente al processo immaginativo: eccitamento, emozioni positive o negative, ecc. cui fa seguito l’eventuale risposta somatica o comportamentale, variabile a seconda della specifica situazione e del contesto. Quando la conoscenza mediata dall’immagine si deposita nella memoria a lungo termine, essa è il frutto di questo complesso processo; ad esso, e non già puramente allo stimolo originario, si riferirà il richiamo successivo.
Tutte queste componenti entrano in gioco quando la persona usa le immagini per costruire forme di pensiero non puramente riproduttive ma “creative” di qualcosa che si stacca dagli stimoli consueti e realizza nuove forme di conoscenza.
 
Pertanto l’importanza dell’immaginazione mentale non si limita ad una ricostruzione dei dati sensoriali, o percettivi, o di memoria. All’immagine è spesso associata un’emozione, per cui ricostruzioni o anticipazioni in immagine di particolari sensazioni in atto non presenti, possono generare situazioni di piacere ma anche di disagio o in alcuni casi di vera patologia. Il richiamo di una immagine può eccitare o deprimere, così come, reciprocamente, un affetto di entusiasmo o di depressione può attivare immagini corrispondenti all’umore.
Di conseguenza, se da un lato l’immaginazione è fonte di produzione creativa, dall’altra può andare in direzione di vere e proprie patologie: lo ricordava già Ribot nel suo pionieristico saggio sull’immaginazione creativa (1900), ed altri autori hanno dimostrato come immaginazione, creatività e follia abbiano spesso le stesse basi (Nettle, 2001). Shakespeare nel Midsummer night dream faceva dire a Teseo che “il pazzo, l’innamorato e il poeta sono fatti tutti di immaginazione”. Di fatto, come si è detto, l’immaginazione immette nella memoria forti dosi di emozioni, positive e negative, e dunque condiziona follia, amore e poesia, oltre che la creatività artistica o quella che si mette in atto nella vita quotidiana. Psicologi sperimentalisti e psicodinamici, partendo da metodologie diametralmente opposte, arrivano alla stessa conclusione: la memoria del ‘reale’ è fortemente interferita dall’immaginazione e dalle emozioni ad esse connesse. Su questo dato si trovano d’accordo Wundt e Freud, Bartlett e Lacan: è forse l’unico caso di consenso pieno fra teorie psicologiche per altri versi contrapposte. E le neuroscienze non hanno mancato di confermare che l’intensità e la qualità dei ricordi dipende dal grado di attivazione emozionale indotto dall’apprendimento, per cui eventi/esperienze vissute con un’alta partecipazione emotiva vengono catalogati dalla mente come “importanti” (attraverso il coinvolgimento di strutture cerebrali del sistema limbico) e hanno una buona probabilità di venire successivamente ricordati, come avviene nelle cosiddette flash-bulb memories e nelle memorie collettive di eventi (Bellelli, Backhurst e Rosa, 2000). Questo ha rilevanti ricadute in varie discipline in cui sono valutati aspetti come: l’anamnesi clinica, la testimonianza giudiziaria, la narrazione storica; queste aree ricostruiscono dalla memoria dei contenuti, nella formazione dei quali l’immagine mentale ha giocato un ruolo essenziale nelle varie possibili trasformazioni, interpretazioni, assimilazione delle interferenze motivazionali ed emotive.
 
L’immaginazione, questa particolare forma di rappresentazione della realtà che produce ed elabora un oggetto di conoscenza senza che gli stimoli relativi ad esso siano effettivamente presenti nel sistema senso-percettivo, gioca nella vita quotidiana un ruolo importante quanto (e forse più) le idee e le parole. La conoscenza è troppo complessa per attuarla solo con le parole. Per conoscere occorrono strumenti diversi, concorrenti: e tra questi l’immaginario è tanto importante che, come diceva Federico Fellini, “nulla si sa, tutto s’immagina”.
 

La ricerca neuropsicologica sul Mental Imagery

Nelle diverse accezioni sopra ricordate, il Mental Imagery comporta un’associazione di linguaggio verbale e figurativo. L’antico dibattito sulle “immagini nella mente”, che metteva in contrasto la teoria proposizionale (basata su concetti e verbalizzazioni) e la teoria analogica (pittorica, analoga alla elaborazione percettiva), è stato superato dalla constatazione (confermata dalla ricerca neuropsicologica) che entrambe le teorie sono valide in differenti condizioni (Pylyshyn, 1973; Finke, 1980; Ahsen, 1985; Kosslyn, 1994).
È stata ridimensionata anche la teoria secondo cui esistono specifici “stili cognitivi” basati sull’uso delle capacità immaginative piuttosto che di quelle linguistiche, capaci di differenziare le persone come dei tratti persistenti di personalità (Richardson, 1977): esiste una mescolanza continua delle due capacità, prevalente l’una sull’altra in relazione a specifici contesti di uso, anche se una persona può apprendere ed usare prevalentemente l’una o l’altra.
 
Si è verificato che l’immaginazione su basi visive ha gli stessi fondamenti neurobiologici della visione stessa (Ishai et al., 2000), e le aree che controllano la percezione spaziale sono necessarie anche per mantenere le immagini mentali attive nella memoria di lavoro (Trojano et al., 2006): lo stesso avviene per gli stimoli uditivi e verbali: canzoni preferite, dialoghi di un film, etc. Ma, come si è detto, l’immagine non va solo "vista" o "udita" con l’occhio o l’orecchio della mente: va anche denominata, classificata linguisticamente e connotata emotivamente, ricordata, trasmessa. Difatti anche le aree verbali vengono attivate durante il recall e la qualificazione semantica di una immagine ai fini della sua memorizzazione (Farah, 1984, 1985; Kosslyn e al., 1999; Sala e al., 2003). Seguendo l’intuizione di Moulton e Kosslyn (2009), secondo cui “tutta l’imagery è simulazione”, le recenti teorie di intelligenza artificiale hanno considerato il Mental Imagery  esperienza analoga all’esperienza percettiva ma in assenza di appropriati stimoli esterni per la percezione sensoriale (come una simulazione biologica in cui la mente rappresenta, simula appunto, se stessa in azione: una forma di cognizione off-line coinvolgente la propriocezione che realizza una embodied cognition, specie quando l’immaginazione coinvolge il movimento: Jeannerod, 2001; Iachini, 2002; Ziemke et al., 2005; De La Cruz et al., 2011; Di Nuovo et al., 2011).
Come verifica di questa ipotesi, è stato dimostrato sperimentalmente da studi di cronometria mentale che il tempo impiegato ad immaginare un movimento è correlato al tempo necessario a eseguirlo fisicamente, suggerendo che i movimenti reali e quelli immaginati sono funzionalmente simili (Decety, et al., 1989; Calmels et al., 2001, 2006; Reeds, 2002; Guillot & Collet, 2005). Inoltre, sul piano neuropsicologico, la corteccia motoria primaria M1 risulta attivata durante la produzione di immagini motorie (Jeannerod, 1994, 2001). Com’è noto, alcuni neuroni motori possono attivarsi quando è percepito il movimento di un altro agente (Rizzolatti et al. 1996)
 

Le molteplici applicazioni del Mental Imagery

È stata più volte sottolineata l’importanza dell’immaginazione mentale nel favorire forme produttive e creative di pensiero e di azione, con chiare ricadute applicative in ambito educativo e clinico-terapeutico (Marks, 1985; Parrott, 1986; Marucci, 1995; Giusberti, 1995).
Studi empirici condotti anche in Italia (ad es. Benedan e Antonietti, 1997; Di Nuovo, 1999) dimostrano le possibilità che l’immagi­nazione venga educata ed orientata, mediante interventi mirati, non solo per facilitare l’apprendimento e prevenirne o recuperarne i disturbi, ma anche per costruire una progettualità creativa in grado di far utilizzare al meglio le capacità cognitive ed emozionali, superando difficoltà di problem solving e di adattamento personale e sociale.
La riabilitazione neurologica si avvale utilmente della pratica mentale immaginativa, che è in grado di riorganizzare i processi funzionali cerebrali (Jackson et al., 2001). A livello neuropsicologico ciò comporta una riorganizzazione del sistema neuronale e l’attivazione di una plasticità dei sistemi coinvolti i cui meccanismi sono ancora poco noti ma di cui il sistema della immaginazione visiva è certamente componente essenziale (Jackson et al. 2003).
 
Ma le applicazioni all’educazione e alla riabilitazione sono particolarmente estese nel campo della pratica motoria e sportiva (Sheikh et al., 1994; Martin et al., 1999; Hall, 2001; Murphy & Martin, 2002; Gregg et al., 2005; Vealey & Greenleaf, 2006; Fournier et al., 2008). L’addestramento mediante immaginazione mentale è efficace nel migliorare la prestazione motoria in quanto aggiunge, in base a stimoli interni, opportune varianti ai movimenti appresi (Munzert et al., 2009); essa è pertanto applicabile all’educazione e alla riabilitazione motoria, così come all’allenamento per numerose tipologie di sport sia individuali che di squadra. Ad esempio, Smith et al. (2001) hanno dimostrato che l’uso del Mental Imagery, nelle fasi di addestramento di atleti nel tirare verso una meta, migliora poi la prestazione effettiva. L’imagery aiuta ad apprendere e far pratica di tecniche in situazioni dove altrimenti sarebbe impossibile, per esempio in contesti molto diversi da quelli dell’allenamento, o in situazione di recupero dopo un infortunio (Nideffer, 1985; Morris et al., 2005). Quando un atleta o una persona nel corso della riabilitazione si impegna nel rehearsal mentale il suo sistema nervoso agisce in modo analogo a quando effettivamente compie quell’esercizio. Il rehearsal immaginativo ha anche una conseguenza sul piano emotivo, poiché serve a desensibilizzare dall’ansia legata alla previsione di situazioni competitive ignote o potenzialmente stressanti.
Più in generale, sono ipotizzabili numerose implementazioni pratiche dell’interazione fra modelli motori e di mental imagery, per esempio relativamente a:
  • formazione iniziale di bambini all’attività motoria e sportiva;
  • allenamento di atleti per prestazioni agonistiche;
  • riabilitazione dopo infortuni o traumi;
  • accrescimento di competenze motorie e sportive di soggetti disabili o con deterioramento fisico e mentale.
La ricerca sperimentale può aiutare a comprendere quali specifici usi del Mental Imagery Training possano essere più proficui per un’ottimale percorso educativo, addestrativo o riabilitativo del gesto motorio. Ad esempio, appare interessante e utile per le ricadute operative la conclusione (dedotta da uno studio di simulazione mediante l’addestramento di reti neurali sia feedforward che ricorsive) (Di Nuovo e al., 2012a,b) secondo cui l’integrazione della immaginazione mentale nell’apprendimento è valida per azioni non troppo distanti da quelle apprese senza di essa: per cui è necessario studiare accuratamente la curva di apprendimento ed inserire periodicamente il Mental Imagery Training in modo da non creare eccessive discrepanze fra ciò che è stato appreso e ciò che si deve inferire sulla base dell’immaginazione.
 

L’assessement psicometrico del Mental Imagery

Al fine di delineare in modo più preciso come l’integrazione del Mental Imagery con i tradizionali codici verbali possa concreta­mente avvenire nel lavoro educativo e clinico e riabilitativo, occorre un adeguato e attendibile sistema di assessment delle capacità di uso delle visualizzazioni. Le funzioni immaginative, distinte dalla elaborazione degli stimoli in loro presenza tipica della percezione, e dalla memoria che coinvolge stimoli verbali o facilmente verbalizzabili, sono da sempre state considerate nell’assessment psicologico con prove di tipo sperimentale, non tarate su popolazioni generali, senza pervenire quindi ad uno strumento in grado di valutare con attendibilità e validità psicometrica queste funzioni. Per quanto riguarda gli anziani, esistono in letteratura dati discordanti che riguardano il decadimento del Mental Imagery (Craik & Dirkx, 1992; Dror & Kosslyn, 1994; Brown et al., 1998; Palladino & De Beni, 2003; De Beni et al., 2007): le differenze dipendono presumibilmente proprio dal tipo di processi valutati e dagli strumenti usati.
A fini sia di ricerca che applicativi, è utile disporre di strumenti di assessment dell’immaginazione mentale adatti per anziani e capaci di differenziare questa variabile (rivelatasi indicatore precoce importante di eventuale decadimento) da eventuali deficit di memoria o percezione, con essa correlati. È importante ed auspicabile che la ricerca sperimentale produca dei risultati anche in quest’ottica psicometrica.
 

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