Osservatorio Orientamento
L’orientamento di fronte alla crisi e alle incertezze del futuro
L’orientamento di fronte alla crisi e alle incertezze del futuro
Le crisi che da un po’ di tempo stanno interessando e preoccupando i paesi occidentali comportano anche la necessità di ripensare a come aiutare le persone a progettare il proprio futuro professionale.
È chiaro infatti che anche gli assunti tradizionali dell’orientamento, come altre certezze, sono stati spazzati via dai repentini cambiamenti che si sono verificati nel mondo dell’economia e del lavoro in questi ultimi tempi.
Fin da quando, agli inizi del Novecento, Frank Parsons aveva iniziato a parlare di orientamento e di consulenza professionale, si è ritenuto che sia le persone che i contesti scolastici e lavorativi fossero abbastanza stabili, e che, almeno nei paesi più ricchi, esistessero per tutti ampie possibilità di scelta. Eravamo abituati al fatto che ai tempi della formazione seguivano, senza tante attese, quelli dell’inserimento lavorativo e che tra formazione e lavoro esistessero relazioni di tipo essenzialmente lineari. Si riteneva, addirittura, che il problema fosse la scelta tra opzioni lavorative diverse, spesso similmente attraenti e vantaggiose, e che quindi l’orientamento dovesse soprattutto aiutare le persone a ridurre le proprie opzioni e a focalizzarsi su quella più promettente.
Nei paesi occidentali, certi che fosse possibile e doveroso coniugare le possibilità delle persone alle richieste degli ambienti formativi e lavorativi, per più di un secolo sono stati proposti criteri e strumenti in grado di analizzare le relazioni esistenti tra la domanda e l’offerta; si sono organizzati servizi di orientamento e di inserimento lavorativo che promettevano a tutti possibilità di scelta e adattamenti con elevata probabilità di reciproca soddisfazione.
Che le cose non stiano più così è ormai chiaro… le prospettive di crescita e di sviluppo nei nostri paesi sono radicalmente diminuite e da più parti si sente dire che ci attendono tempi ancora più duri, che “il futuro non è più quello di una volta”, come già aveva affermato Paul Valéry (1931) a proposito dei sui tempi; sono sempre più frequenti le voci di giovani che si chiedono where is the future we were promised? e che, giustamente, pretendono che venga loro restituito ciò che sarebbe stato loro tolto: in primis, le possibilità di realizzazione professionale, speranza e ottimismo verso il proprio futuro.
In Italia più del 30% dei giovani, ormai, non lavora e non studia. La drammaticità di questo dato diventa ancor più evidente se si ricorda che i giovani tra i 18 e i 30 anni nel 1985 erano 15 milioni, mentre oggi sono solo 7, meno della metà, e nonostante questa diminuzione, una parte consistente di essi non lavora.
Le cause di tutto ciò sono diverse e complesse, una tra queste è sicuramente il diffondersi di processi produttivi sempre più automatizzati e altamente specialistici, è anche per questo che ci saranno poche occasioni di inserimento per coloro che non si saranno culturalmente attrezzati per ricoprire ruoli attivi e produttivi all’interno di quella che sarà la futura società della conoscenza (Bagnara, 2010).
È quindi comprensibile che il futuro possa suscitare vivaci indignazioni, soprattutto nelle nuove generazioni (Hessel, 2012); emergono sentimenti ambigui ed intense preoccupazioni in quanto “… il futuro è sinonimo di crescita … vederlo appannarsi e sparire … colpisce il cuore del sistema motivazionale e crea un lutto doloroso: assieme al futuro muore la speranza, l’autenticità, il piacere di vivere per crescere e diventare se stessi” (Pietropolli Charmet, 2012).
Trasmettere fiducia e speranza
Chi si occupa di giovani, di lavoro, di orientamento e di career counseling deve essere in grado di instillare fiducia, speranza, di pensare in ogni caso positivamente al futuro.
Romano Prodi, facendo un confronto sul diverso modo con cui affrontano il futuro studenti italiani e nord americani e cinesi, constata che questi ultimi “sono convinti del fatto che avranno un grande futuro. Magari si sbagliano ma la fiducia è già di per se stessa uno strumento per costruire il futuro … sanno di avere le gambe per correre … e questo significa avere una preparazione scolastica elevata nel mestiere specifico, che può essere infermiere, come può essere il ricercatore o l’agricoltore. Nel loro mestiere devono avere una preparazione e un’intraprendenza fortissime”. In Cina, prosegue la riflessione di Prodi “… imparare è quasi un’ossessione per l’intera società.” (2011, p. 18). Il consiglio che rivolge ai giovani è molto semplice: “Studiare. E fare tante diverse esperienze … A volte anche di breve durata ma certamente utili …. bisogna tuttavia essere molto attenti, perché si deve sempre trattare di esperienze mirate, esperienze inquadrate in un progetto di lungo periodo” (p.32). Non si tratta ovviamente di provare e accettare tutto, indiscriminatamente in quanto questo modo di fare potrebbe anche tradursi in un rinviare all’infinito qualsiasi progetto e decisione, ma di cogliere le occasioni per mettersi alla prova e poter fare stime più attendibili dei propri effettivi desideri e delle proprie possibilità.
Queste considerazioni formulate da un esperto di economia sembrano far eco a quanto afferma l’antropologo Marc Augé a proposito di futuro: “La crisi provocata dalla finanza ci ha rubato il futuro” e questo ha determinato un clima di grande incertezza. “L’incertezza accomuna tutti. I giovani temono di non trovare un lavoro, di non poter progettare il loro avvenire e si sentono bloccati in un eterno presente fatto di precarietà. I loro padri, invece, hanno paura di perdere la pensione, l'assistenza sociale, di finire in miseria” (Augé, 2012). E dato che sembra difficile anticipare e costruirsi un futuro, si registra di fatto la supremazia del presente, in un perpetuo hic et nunc.
Le discipline e le professionalità che si occupano di futuro (l’orientamento e l’educazione in primo luogo) non possono più procedere come se il futuro fosse ancora anticipabile, prevedibile e ricco di possibilità e promesse. Questi professionisti si troveranno sempre più spesso ad operare in contesti lavorativi e formativi improntati a marcata temporaneità e flessibilità, con azioni da svolgersi soprattutto nel settore privato e con sporadiche collaborazioni con il servizio pubblico.
Sebbene in molti paesi europei esistano, a differenza di quanto accade oltre oceano, molte più reti pubbliche di supporto alla scelta e alla progettazione professionale, questi cambiamenti riguarderanno ben presto anche i nostri servizi e i nostri professionisti che, tra l’altro, dovranno anche rivedere i loro tradizionali riferimenti teorici e le loro pratiche.
Quali possono essere i modelli teorici di riferimento per l’orientamento che cambia?
I modelli teorici che tradizionalmente, in modo più o meno esplicito, si ancoravano ai matching paradigm enfatizzando il principio dell’idoneità delle persone in relazione alle aspettative, pretese e necessità dei diversi contesti formativi e lavorativi, si stanno dimostrando deboli, riduttivi e semplicistici e non più in grado di consentire letture esaustive delle complessità, globalità e precarietà che sta caratterizzando il mondo del lavoro dei paesi occidentali.
Fra gli approcci che possono giocare un ruolo importante nel tentare di fronteggiare le sfide sociali, economiche e culturali almeno due sembrano oggi particolarmente promettenti: la teoria sociocognitiva, con le argomentazioni proposte da Albert Bandura (2009) e, recentemente, da Robert Lent (2012) a proposito della cosiddetta “prontezza professionale” e la visione costruttivista della progettazione professionale, formulata da Mark Savickas (2005) e recentemente rivisitata dal Gruppo internazionale di ricerca del Life Design (Savickas, Nota, Rossier, et al., 2009) che, fra l’altro, sta riscuotendo numerosi consensi anche nell’ambito della ricerca europea di settore.
Queste visioni dell’orientamento e del career counseling enfatizzano la necessità di proporre interventi personalizzati, che permettano di approcciare i clienti e gli utenti con l’intenzione di dar loro voce e di favorire la manifestazione e il rispetto delle loro peculiarità.
Viene in tal modo criticato il ricorso a modalità standardizzate di consulenza, o alla realizzazione di interventi in extremis, nel corso esclusivo delle fasi di transizione (dalla scuola al lavoro, dal lavoro al lavoro o dalla scuola alla scuola) in quanto orientati soprattutto alla diagnosi, all’analisi dei requisiti di accesso alla formazione e al lavoro, alla precisazione degli indici di congruenza e alla formulazione di previsioni a proposito della loro adattabilità agli ambienti formativi e lavorativi.
I nuovi approcci ritengono invece più vantaggioso predisporre relazioni personalizzate di consulenza e “alleanze” tra consulente e cliente in grado di rendere disponibili le risorse necessarie alla progettazione e alla pianificazione professionale. Questo è possibile con procedure di analisi sia quantitative che qualitative, invece di limitarsi ad accertamenti di tipo essenzialmente psico-attitudinale.
Sia la visione sociocognitiva che quella del Life Design si soffermano a considerare con attenzione nuove e importanti dimensioni quali, ad esempio: credenze di efficacia, speranza e ottimismo, visione e rappresentazione del futuro, autodeterminazione e adaptability (nei prossimi numeri di QI ci occuperemo di tutte queste dimensioni in modo più approfondito).
Queste visioni aggiornate dell’orientamento si basano essenzialmente sui principi del career construction counseling ed utilizzano procedure e tecniche che possono essere marcatamente individualizzate, face to face. Tuttavia, con alcuni adattamenti come è stato fatto con i programmi online 1,2,3… Futuro! e Prospera (ancora in via di sviluppo), queste metodologie possono essere realizzate anche all’interno di piccoli e grandi gruppi al fine di consentirne, in un’ottica prettamente preventiva, la fruizionead un più consistente numero di destinatari, a costi notevolmente contenuti.
Sia il modello socio-ognitivo che quello del Life Design, infine, attribuendo particolare importanza alle variabili di tipo contestuale ed ambientale, suggeriscono agli operatori di orientamento di ricorrere sovente al coinvolgimento di coloro che ricoprono ruoli significativi per i loro clienti (insegnanti, familiari e datori di lavoro in primo luogo); questo nel convincimento che i temi associabili alla scelta, allo sviluppo e alla progettazione professionale non possano essere ridotti a questioni prettamente individuali.
Nell’aiutare le persone a progettare il proprio futuro è necessario, in altre parole, considerare anche i vissuti, le rappresentazioni, le valutazioni e i supporti che i contesti di appartenenza dei destinatari degli interventi di orientamento e di career counseling sono disposti a fornire, in considerazione del fatto che ogni realizzazione professionale non potrà essere indipendente dal contesto in cui si verificherà (Savickas et al., 2009; Soresi e Nota, 2009; Richardson, 2012).
Ciò che le più accreditate visioni dell’orientamento sembrano proporre è il definitivo abbandono di approcci che, nella pratica, tendono a confondere le attività di aiuto e supporto alla scelta e progettazione professionale con azioni di marketing di questo o quel percorso formativo o di questa o quella attività professionale.
Career counseling e vocational designing devono garantire agli individui il supporto nella salvaguardia del loro diritto alla ricerca di realizzazione e soddisfazione personale e favorire l’incremento della solidarietà e della giustizia sociale. Infatti, non ci può essere di fatto benessere in quei contesti che puntano solamente al perseguimento di valori prettamente individualistici, come a volte potrebbero apparire anche quelli centrati sulla “meritocrazia” e sull’“autoimprenditorialità” a cui si sta facendo spesso riferimento in questi anni di crisi.
Nei prossimi numeri, all’interno della sezione che questa rivista dedicherà all’orientamento, saranno presentati, uno alla volta, i costrutti che caratterizzano la visione del Life Design, unitamente ad una serie di strumenti e di interventi che potrebbero essere utilizzati da quegli operatori che ritengono opportuno ispirarsi alle visioni dell’orientamento alle quali abbiamo fatto qui riferimento.
Riferimenti bibliografici
Augé, M. (2012). Futuro. Torino: Bollati Boringhieri.
Bagnara, S. (2010). Lavoro e sistemi formativi nella società della conoscenza. Torino: Fondazione Giovanni Agnelli.
Bandura, A. (2009). Social cognitive theory goes global. The Psychologist, 22(6), 504-506.
Hessel, S. (2012) Engagez-vous! Paris: Editions de l’Aube.
Parsons, F. (1909). Choosing a Vocation. Boston: Houghton Mifflin.
Pietropolli Charmet, G. 2012). Cosa farò da grande? Il futuro come lo vedono i nostri figli. Bari: Editori Laterza
Prodi, R. (2011). Futuro cercasi. Roma: Aliberti Editore
Lent, R. W. (2012). Prontezza professionale: Una nuovo impegno per lo sviluppo professionale e il counseling. Giornale Italiano di Psicologia dell’Orientamento.
Richardson, M. S. (2012). Counseling for work and relationship. The Counseling Psychologist, 40(2), 190-242.
Savickas, M.L. (2005). The theory and practice of career construction. In S.D. Brown e R.W. Lent (a cura di), Career development and counseling: Putting theory and research to work. Hoboken, NJ: John Wiley & Sons.
Savickas, M.L., Nota, L. Dossier, J. Dauwalder, J.P., Duarte, M.E., Guichard, J., Soresi, S., Van Esbroeck, R. e van Vianen, A.E.M. (2009). Life designing: A paradigm for career construction in the 21st century. Journal of Vocational Behavior, 75, 239-250.
Soresi, S. & Nota, L. (2009). Career counseling in Italy: from placement to vocational realization. In P. Heppner, L. Gerstein, S. Ægisdótti, A. Leung, & K. Norsworthy (Eds.), Handbook of cross-cultural counseling: Cultural assumptions and practices worldwide (pp. 291-300). Thousand Oaks, CA, US: Sage Publications
Valéry, P. (1931). Regards sur le monde actuel. Paris: Librairie Stock.