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numero 70 - settembre 2019

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L’interazione uomo-macchina nella psicologia dell’aviazione. Riflessioni a partire dal caso del Boeing 737 Max 8

L’interazione uomo-macchina nella psicologia dell’aviazione. Riflessioni a partire dal caso del Boeing 737 Max 8

Il drammatico caso del Boeing 737 Max 8 della Ethiopian Airlines, precipitato in Etiopia il 10 marzo 2019, riapre il problema della sicurezza nei cieli. In questo caso, ci si trova di fronte a un tema di interazione uomo-macchina, forse innescato da una eccessiva fiducia nell’automazione, una problematica che sta emergendo in modo netto in diverse aree della vita e del lavoro di numerose persone, professionisti e utenti-clienti.

L’ambito del volo civile è probabilmente quello che ha avuto l’impatto maggiore da questo punto di vista. Oggi, i cockpit, cioè le cabine di pilotaggio, sono irriconoscibili rispetto a come si presentavano soltanto pochi decenni addietro e, abbastanza spesso, il piloti che hanno vissuto altre epoche si lamentano di vedersi ridotti quasi a delle appendici dei computer di bordo. Riflettendo su tale ampio ambito di analisi si può iniziare proprio prendendo spunto dal crash del volo della Ethiopian Airlines. Le domande che ha fatto sorgere questo drammatico episodio sono molte, a cominciare dalle analogie che hanno coinvolto a distanza di pochi mesi due aeromobili della stessa tipologia (vedi il disastro dell’aereo della Lion Air dell’ottobre 2018). A valle dell’incidente, la Boeing aveva inizialmente comunicato che avrebbe rivisto il settore del SW di stabilizzazione e che avrebbe aggiornato le istruzioni sui manuali di volo, assumendo quindi una posizione soft rispetto all’evento. Dal loro canto, le compagnie aree nazionali hanno gradualmente (qualcuno può dire “timidamente”) iniziato a bloccare i voli del Boeing 737 Max 8 e, finalmente, l'AGENZIA EUROPEA PER LA SICUREZZA AEREA - EASA, ha deciso di sospendere le operazioni di volo dei Boeing 737-8 e 737-9. Ciò che inizialmente poteva apparire come un “difetto” rimediabile con adattamenti del SW, migliori istruzioni e un aggiornamento di addestramento per i piloti, ha poi invece reso necessario un blocco totale a questo modello di aeromobile. Oggi, a distanza di 6 mesi dall’evento, nessun Boeing 737 Max 8 (ultima versione di un velivolo che ha visto la luce negli anni ottanta) è autorizzato a decollare!

Le analisi che hanno fatto seguito a tale evento drammatico sono sostanzialmente giunte alla conclusione che i piloti hanno “lottato contro” il sistema automatico di controllo anti-stallo che, recependo dai sensori una determinata fisionomia di dati, meccanicamente faceva fare al velivolo una manovra molto pericolosa: spingere l’aereo in picchiata quando era ancora nella fase di decollo. Ma come è possibile che un pilota in volo si debba trovare a “lottare” contro un sistema di controllo automatico, un software, che insiste (per così dire) a correggere l’assetto e la velocità dell’aeromobile, peraltro in una fase di volo delicata com’è quella del decollo?

Nel caso del volo della Ethiopian Airlines i piloti hanno effettuato le manovre che dovevano svolgere, applicando le procedure raccomandate dalla Boeing al verificarsi di casi simili, ma senza riuscire a riprendere il controllo del velivolo; quante volte sarà accaduto che il pilota è riuscito soltanto in extremis a “vincere” il comando automatico che – percependo una situazione di stallo di potenza  fa puntare l’aereo verso il basso? Alcune testimonianze in questo senso sono emerse nelle settimane e nei mesi successivi al crash del Boeing della Ethiopian Airlines. Come si leggeva già nei resoconti preliminari pubblicati nel mese di aprile 2019, “The preliminary report clearly showed that the Ethiopian Airlines Pilots who were commanding Flight ET 302/10 March have followed the Boeing recommended and FAA approved emergency procedures to handle the most difficult emergency situation created on the airplane ... Despite their hard work and full compliance with the emergency procedures, it was very unfortunate that they could not recover the airplane from the persistence (of) nose diving”.

Sono certamente numerosi i fattori che hanno condotto verso un maggiore e diverso livello di complessità il lavoro del pilota, sia fattori “interni”, come l’elevata automazione dei comandi e dei controlli, sia “esterni”: tra questi ultimi, soprattutto, la deregulation, la maggiore competizione tra i vettori aerei, la ricerca di modalità utili a minimizzare i costi di esercizio, ottimizzare i tempi di volo, e offrire alla clientela un servizio abbordabile e facile da utilizzare. Come ha ricordato Sampson (1984, p. 285) “nel 1522 la nave di Magellano, Vittoria, fece ritorno in Spagna dopo aver circumnavigato il globo per la prima volta in poco meno di due anni”, mentre oggi non solo centinaia di migliaia di persone volano intorno al mondo, ma per effettuare un giro del mondo in aereo il tempo necessario è poco meno di due giorni (ma gli aerei supersonici potranno ridurre il tempo a un giorno circa).

Rimane il tema dell’essere umano che ha la responsabilità del volo e della gestione di tutti i sotto-sistemi che si attivano tra la cabina di comando e la cabina passeggeri. Ridurre il tema ad un problema di avionica (l’insieme dei sistemi elettronici e automatizzati che sono di supporto al pilotaggio) appare davvero poco lungimirante. Oltre a dover vigilare sulla corretta ed aggiornata informazione delle procedure descritte nei manuali di volo, emerge il problema dell’addestramento tecnico e della formazione sulle soft skills  le non-technical skills, come sono definite nel campo della psicologia dell’aviazione . Si tratta di un’area assai vasta di intervento professionale che vede al suo centro (nell’ambito della gestione dell’equipaggio) il sistema denominato CRM – Crew Resource Management (v. la mia recensione a una recente pubblicazione sull’argomento in Qi – Questioni e Idee in Psicologia, n. 67, maggio 2019: https://qi.hogrefe.it/rivista/cat/recensioni/), e che alla base pone il tema delle selezione e della valutazione costante dei membri dell’equipaggio (Castiello d’Antonio, 2015).

Tornando al tema dell’interazione uomo-macchina e dell’interazione con i sistemi automatizzati, si deve precisare che i primi passi dell’automazione aerea datano ormai più di un secolo, nel momento in cui fu introdotto il primo sistema di pilotaggio automatico, come ha ricordato Nicholas Carr (2010); ma con l’avvento dell’A-320 la cabina di pilotaggio mutò completamente aspetto, passando dai controlli manuali e meccanici ai controlli automatici e ai visori digitali LED.

L’automazione è dappertutto, ma in talune professioni è più presente ed invasiva che in altre. La professione del pilota di aereo civile è stata molto studiata dal punto di vista dell’interazione uomo-macchina e, come afferma Carr (2014, p. 61), “se volete rendervi conto delle conseguenze umane dell’automazione, per prima cosa dovete guardare verso l’alto” (p. 61). Ci si è resi conto che il volo è perlopiù gestito dal pilota automatico, mentre i piloti in carne ed ossa durante il volo sperimentano la noia dei controlli sui monitor e, al momento in cui dovrebbero intervenire manualmente per effettuare rapidamente operazioni critiche, potrebbero non esserne più del tutto capaci. La vita nella cabina di comando può dunque diventare una sorta di trappola, riducendo la consapevolezza situazionale dei piloti i quali – come in molte altre professioni – possono tendere ad affidarsi ciecamente ai sistemi automatizzati e alle informazioni che da essi scaturiscono. Naturalmente, nella storia degli incidenti aerei vi sono esempi sia di una eccessiva fiducia nei sistemi automatizzati, sia di un egocentrico affidarsi soltanto al proprio “sentire” e alla propria competenza/esperienza. Ma a fronte dei disastri aerei causati dall’eccesso di fede nell’automazione diverse voci si sono levate a favore di ciò che è stato definito il deskilling degli equipaggi: ciò al fine di recuperare l’abilità di volo manuale dei piloti e la loro capacità di gestire in prima persona le situazioni più diverse. Peraltro in molte altre professioni le persone tendono a diventare dipendenti dai sistemi automatizzati, sviluppando compiacenza e acriticità verso ciò che è comunicato da tali sistemi, cosa che innesca una falsa sensazione di controllo e di sicurezza. A tutto ciò si accompagna la standardizzazione e l’uniformazione estrema delle attività, che risulta evidente (ad esempio) nell’utilizzo che i medici fanno delle cartelle cliniche computerizzate: analizzando le cartelle cliniche ci si rende conto fino a che punto si sia perduto l’impegno verso lo studio e verso la rappresentazione dell’individualità del paziente, del “caso clinico”.

Vi è ancora molta strada da percorrere nell’impresa di voler comprendere ciò che accade nella mente di una persona, collocata in ruoli di responsabilità, nel momento in cui è sommersa di “dati”, ha a che fare con sistemi automatizzati e deve prendere decisioni rapide, eventualmente (incredibilmente) “contro” ciò che i sistemi elettronici affermano. La variabilità psicologica individuale arricchisce e, nello stesso tempo, complica notevolmente il quadro; e non si tratta soltanto degli aspetti cognitivi come un tempo poteva sembrare (Tsang, Vidulich, 1989), dovendo prendere in più che seria considerazione gli aspetti emotivi e, in generale, caratteriali e di personalità. Ma anche l’aspetto situazionale rappresenta un elemento di complessità, sia se considerato nella prospettiva psicofisica e sociale della persona stessa, sia nell’ottica delle condizioni ambientali e delle circostanze.

Si ha l’impressione che il mondo del lavoro di oggi ponga richieste impossibili all’essere umano impegnato nel gestire sistemi e strumentazioni come, ad esempio, il mitico multitasking, mentre il mondo della società e degli utenti-clienti richiede di ottenere l’irrealizzabile garanzia della certezza e della sicurezza al cento per cento cercando di evitare di doversi confrontare con la sottile o evidente paura di essere sospesi nel cielo, in un tubo d’acciaio, a diecimila metri di quota (Castiello d’Antonio, 2011).

Bibliografia

  • Carr N. (2014), La gabbia di vetro. Raffaello Cortina, Milano, 2015.
  • Carr N. (2010), Internet ci rende stupidi? Raffaello Cortina, Milano, 2011.
  • Castiello d'Antonio A. (2011), La paura di volare. FrancoAngeli, Milano.
  • Castiello d’Antonio A. (2015), Come sono valutati I piloti dell’aviazione civile? Psicologia Contemporanea, 251, 14-21.
  • Sampson A. (1984), Empires of the Sky. Coronet Books, Hodder and Stoughton.
  • Tsang, P. S., Vidulich, M. A. (1989). Cognitive demands of automation in aviation. In: Jensen, R. S. (Editor). Aviation Psychology. Pp. 66-95. Gower, Aldershoot.