QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

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numero 3 - dicembre 2012

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Recente ma già molto ricca è la discussione incominciata nel gruppo AIDP riguardo il della dinamica negoziale che spesso si instaura con il datore di lavoro allorché un dipendente rassegna le dimissioni: accettare o no le contro offerte? La discussione, che nasce ispirata da un articolo statunitense che si schiera in maniera netta (le controfferte non dovrebbero essere mai accettate) ed è portata avanti da professionisti HR che lavorano nell’ambito della selezione del personale. Il candidato che cambia idea cedendo alla controfferta del datore di lavoro rappresenta un problema obiettivo per chi fa fatturato sulla chiusura di una selezione: è interessante che la discussione si dipani tra chi si occupa di selezione e dunque in qualche maniera subisce la dinamica negoziale senza poter aver alcun controllo e invece non veda partecipanti che rappresentino le funzioni HR delle aziende, ovvero chi effettivamente poi propone la controfferta, nonostante il gruppo AIDP. Perché un’azienda fa una controfferta?  E perché spesso non la fa? E perché un candidato preferisce rimanere in un contesto che in qualche maniera gli ha causato insoddisfazione, accontentandosi di essere ricomprato? E perché un’azienda pensa che sia sufficiente una ricompensa maggiore, dimenticando uno dei fondamenti della psicologia del lavoro, ovvero che il denaro è una leva motivazionale che esaurisce rapidamente i suoi effetti?
 
Con molto piacere segnaliamo anche un’altra discussione, decisamente “psico”: ogni quanto sentite parlare de “l’effetto Pigmalione”? Bene; ecco un divertente dialogo applicato alla psicologia del lavoro. Sembra infatti che si tratti di un aspetto molto spesso trascurato nelle aziende ma i cui effetti sembrano manifestarsi frequentemente e talvolta intensamente: parliamo di quella condizione che si verifica quando ci sono delle aspettative radicate e rigide da parte dei capi nei confronti delle persone con cui lavorano che guidano in maniera rigida la valutazione di quella o quelle persone favorendo un’interiorizzazione da parte di queste delle caratteristiche che vengono loro attribuite con il conseguente innescarsi di circoli viziosi. Nella discussione in particolare, si parla del ruolo e del peso delle aspettative riflettendo sull’impatto di queste sul sistema premiante e sulla motivazione intrinseca. La discussione si focalizza sul ruolo e sull’importanza di un sistema premiante efficace evidenziando come questo ostacolerebbe il rischio di fenomeni come il “presenteismo”, ovvero l’essere presente sul posto di lavoro come figurante piuttosto che come attore protagonista del proprio lavoro. Avete presente quella strana convenzione sociale per cui è sempre meglio fare “un po’ più tardi” al lavoro?
 
Il gruppo ASP – Associazione Italiana Psicologi è sempre ricco di spunti: segnaliamo questa discussione che ha coinvolto un discreto numero di partecipanti. Il tema è tra quelli che regolarmente generano interesse diffuso, anche o soprattutto da parte di chi non è psicologo: la menzogna, la sua rilevazione e la sua gestione. Il dialogo è avvincente poiché si dipana, senza essere superficiale tra temi molto (in apparenza?) tra loro: teorie e tecniche del colloquio, testistica clinica e non, costrutti psicoanalitici, FACS, i lavori di Ekman e le loro “storpiature”, efficacia dei processi di selezione del personale e neuroimaging.
Anche la discussione intitolata “Psicoanalisi: ma il lettino ci fa bene o ci fa male?” ha uno sviluppo simile. L’articolo che viene proposto come “la” è una interessante riflessione di James Hillman sull’efficacia della psicoanalisi a un secolo dai suoi esordi e il suo fallimento nel riuscire a rendere il mondo un posto migliore. Nella discussione però, l’articolo non viene mai praticamente menzionato, tanto è vero che il titolo potrebbe essere riformulato in “Quale approccio terapeutico? C’è un limite sia per la coerenza che per l’eclettismo nella formazione alla psicoterapia?” e vede contributi sia di psicoanalisti di esperienza che di studenti o giovani colleghi, in uno scambio molto acceso e appassionato.
 
Con un pizzico di sano narcisismo, segnaliamo infine non tanto la discussione, bensì l’intero gruppo di discussione  edicato alla norma ISO 10667 e alla quale dedichiamo il nostro resoconto su questo numero. È bello e importante allo stesso tempo che questa norma, cui abbiamo deciso di dedicare un intera rubrica nel nostro mensile sia oggetto di discussione internazionale. Questa è una norma che potrebbe davvero fare la differenza tra un lavoro con o per le risorse umane e un lavoro di qualità. Avere la possibilità di dichiarare con trasparenza qual è la propria metodologia e il proprio riferimento teorico è un passo avanti non indifferente per qualificare la propria offerta consulenziale.
 
Chiudiamo la rassegna di questo mese con l’immancabile contributo dal gruppo The Psychometrics Forum. La discussione su cui ci contriamo è una sorta di provocazione rispetto al mix tra modalità di risposta a scala likert e possibilità che 2 persone rispondano dando punteggi uguali e contrari: saranno diametralmente opposti sulle dimensioni previste dal test, in una identica situazione? Sembra una questione di lana caprina, ma dal punto di vista di chi costruisce questionari e reattivi di mestiere è una domanda che spesso rimane “nel retro della nostra mente”, giorno dopo giorno. Implica tantissime questioni: validità di facciata, di contenuto, di costrutto. Per la cronaca, la discussione scivola subito sulla IRT e il modello di Rasch, metodologie su cui in Italia siamo generalmente ancora un po’ indietro: una discussione per cultori, insomma che ci piace poter segnalare.
 
Anche per questo mese vi salutiamo e vi diamo appuntamento al prossimo numero con la consueta citazione: “Essentially, all models are wrong, but some are useful.”