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numero 11 - ottobre 2013

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Le minoranze sessuali tra stress e resilienza

Le minoranze sessuali tra stress e resilienza

È ormai noto che l’orientamento omosessuale non è di per sé patologico e in termini di salute mentale i gay e le lesbiche non sono distinguibili dagli eterosessuali sulla base dell’orientamento sessuale. I risultati di numerosi studi hanno suggerito tuttavia che la minoranza omosessuale possa essere più vulnerabile a livello di adattamento psicosociale e benessere psicologico, poiché risulta molto più esposta a stressor sociali rispetto alla maggioranza eterosessuale (Lewis, Kholodkov, & Derlega, 2012).

L’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ha diffuso per l’Anno 2011 un report relativo alla popolazione omosessuale nella società italiana, da cui emergono alcuni dati rilevanti: il 61.3% dei cittadini tra 18 e 74 anni ritiene che in Italia gli omosessuali siano molto o abbastanza discriminati e corrispondentemente appare forte la condanna dei comportamenti discriminatori, infatti il 73% è in totale disaccordo con il fatto che non si assuma una persona o non le si affitti un appartamento perché omosessuale. D’altra parte però a una parte della popolazione crea problemi che persone omosessuali rivestano alcuni ruoli: per il 41.4% non è accettabile un insegnante di scuola primaria omosessuale, per il 28.1% un medico, per il 24.8% un politico. Il 55.9% si dichiara d’accordo con l’affermazione se gli omosessuali fossero più discreti sarebbero meglio accettati, mentre il 29.7% con la cosa migliore per un omosessuale è non dire agli altri di esserlo. Gli omosessuali dichiarano inoltre di aver subito discriminazioni a scuola o all’università più degli eterosessuali (24% contro 14.2%) e così anche nel lavoro (22.1% contro 12.7%). Ciò rende bene l’idea di come in Italia, sebbene il livello di accettazione sociale dell’omosessualità negli ultimi anni sia aumentato, permangano ancora molti stereotipi e un forte pregiudizio nei confronti delle persone omosessuali e di come presumibilmente il contesto italiano sia per i gay e le lesbiche fonte di numerosi e invalidanti fattori di stress, interni ed esterni all’individuo.

L’atteggiamento negativo e sfavorevole nei confronti degli omosessuali è rintracciabile sia nei singoli individui che nelle istituzioni e le due realtà di solito si alimentano a vicenda (Herek, 2007). Lo specifico concetto di omofobia, come lo aveva originariamente inteso Weinberg quando lo coniò nel 1972, focalizzava l’attenzione sulle cause individuali, ma trascurava la componente culturale e le radici sociali dell’intolleranza. Weinberg (1972) usò il termine omofobia per indicare la paura degli eterosessuali di trovarsi a stretto contatto con gli omosessuali e il disgusto per se stessi degli omosessuali medesimi. Successivamente diversi autori sottolinearono tuttavia la scarsa appropriatezza del termine (Lingiardi, Falanga, & D’Augelli, 2005). Da una prospettiva al contrario socioculturale, l’omofobia può essere definita come: un sistema di credenze e stereotipi che mantiene giustificabile la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale; l’uso di un linguaggio offensivo nei confronti delle persone gay e lesbiche; qualsiasi sistema di assunti che svaluti gli stili di vita omosessuali rispetto a quelli eterosessuali. Esistono dunque molti modi di esprimere il disagio e l’avversione nei confronti delle persone omosessuali e dell’omosessualità stessa. I tentativi di classificare tutti gli atteggiamenti negativi verso i gay e le lesbiche nell’unico concetto di omofobia, unidimensionale e sbilanciato in senso strettamente psicologico, sono quindi impropri (Herek, 2007).

Molti studiosi hanno maggiormente condiviso l’utilizzo del concetto multidimensionale di omonegatività, secondo il quale l’omofobia in senso stretto sarebbe solo un fattore nel contesto più ampio di atteggiamenti che coinvolgono il piano sociale, culturale, legale, morale (Morrison, Morrison, & Franklin, 2009). In altre parole, molti comportamenti e affermazioni comunemente considerati omofobici non sono principalmente basati sulla paura o sull’imbarazzo, ma piuttosto sul pregiudizio e sulla disapprovazione. L’omonegatività indica allora una disposizione negativa, personale e/o collettiva, psicologica e/o sociale, nei confronti delle persone e delle esperienze omosessuali: dal generico disagio all’avversione esplicita, fino a manifestazioni attive di discriminazione, ostilità e violenza. Negli ultimi anni anche in Italia il gay bashing, l’aggressione non solo fisica, ma anche verbale e psicologica, nei confronti delle persone omosessuali, è un fenomeno tutt’altro che irrilevante e in preoccupante aumento.

Sul piano della ricaduta psicologica per la persona omosessuale, un numero crescente di ricerche ha indicato il pregiudizio e la discriminazione come fattori rilevanti e misurabili di stress. In particolare, è stato evidenziato come lo sviluppo psicologico della maggior parte delle persone omosessuali sia segnato da una dimensione di stress che l’individuo vive quotidianamente attraverso esperienze traumatiche di varia entità all’interno di ambienti ostili o indifferenti. Questo fenomeno prende il nome di stress da minoranza (minority stress;Meyer, 2003).

Brooks (1981) è stato il primo a parlare distress da minoranza, concependolo come una condizione tipica della persona appartenente a una minoranza che deriva da atteggiamenti e comportamenti del gruppo di maggioranza esprimenti una valutazione delle persone del gruppo minoritario come, quantomeno in alcuni aspetti, inferiori e peggiori, con un conseguente impatto negativo sul benessere psicologico e un successivo difficile adattamento psicosociale della persona appartenente alla minoranza. Al centro della condizione dello stress da minoranza vi è l’incongruenza tra la cultura, i bisogni, le esperienze del membro del gruppo minoritario e le strutture sociali dominanti che esprimono le caratteristiche e le esigenze del gruppo maggioritario. Lo stress da minoranza è l’esperienza continua in una società in cui il gruppo dominante ha definito norme e valori di superiorità ed esclusione.

Inoltre, il pregiudizio antiomosessuale può essere interiorizzato dalle stesse persone gay e lesbiche, che possono corrispondentemente, con modalità e misure diverse, rifiutare il proprio orientamento omosessuale. Si apre così la strada alla disistima o all’odio di sé, a emozioni e sentimenti di incertezza, inadeguatezza, inferiorità, senso di colpa e vergogna, all’incapacità di comunicare agli altri il proprio orientamento sessuale, al forte timore di essere rifiutati a causa della propria omosessualità, all’identificazione con gli stereotipi denigratori più diffusi, compresa la condanna alla solitudine e a una vita infelice (Hamilton & Mahalik, 2009). Frequentemente si aggiunge il senso di colpa o di inadeguatezza nei confronti dei propri genitori, o comunque della famiglia d’origine in senso lato, per la sola ragione di essere omosessuali e spesso, in conseguenza a ciò, per l’idea di aver deluso o tradito le loro aspettative. Si parla in questi casi di omonegatività interiorizzata, che può compromettere il benessere e l’equilibrio psicologico e sociale, nonché l’affettività e la vita di relazione e di coppia della persona omosessuale (Frost & Meyer, 2009). L’omonegatività interiorizzata si riferisce infatti al processo inconsapevole e automatico di adozione da parte dei gay e delle lesbiche dei significati negativi dell’omosessualità, sotto forma di atteggiamenti, credenze e sentimenti ostili e sfavorevoli, condivisi in una determinata cultura (Ross, Rosser, & Smolenski, 2010). La corrispondente paura o convinzione di “essere malati” possono affliggere la persona omosessuale, al punto da spingerla a contrastare o a mascherare completamente la propria reale identità (Pascoe & Smart Richman, 2009).

Entrando nel dettaglio di uno dei modelli teorici maggiormente accettati nella letteratura scientifica di riferimento per la spiegazione delle condizioni che vivono e fronteggiano quotidianamente le minoranze sessuali, il Modello dello Stress da Minoranza (Minority Stress Model;Meyer, 2003), l’omonegatività interiorizzata è una delle tre dimensioni che compongono il costrutto di stress da minoranza. Le altre due dimensioni di tale costrutto sono lo stigma percepito e le esperienze vissute di discriminazione e violenza. Quest’ultima, la più “oggettiva” delle tre, può assumere caratteristiche traumatiche sia acute che croniche: un’esperienza di trauma acuto può essere quella di una coppia gay o lesbica che subisce un’azione di violenza mentre è a passeggio; un’esperienza di trauma cronico si verificherebbe sopprimendo la manifestazione d’affetto rinunciando a camminare mano nella mano. La dimensione intermedia (stigma percepito), in parte soggettiva e in parte oggettiva, riguarda una tendenza allo stress cronico: maggiore è la percezione del rifiuto sociale, maggiore è il livello di vigilanza per dissimulare la propria omosessualità e maggiore è il ricorso a strategie di fronteggiamento inadeguate. È importante sottolineare che tali tre dimensioni correlano e si potenziano vicendevolmente.

In aggiunta, una variabile che può influenzare l’intensità dello stress da minoranza,nel suo impatto sulla salute mentale delle persone omosessuali, è il livello di coming out. Nella vita sociale il problema di scegliere se rivelarsi gay/lesbica o nascondersi si presenta spesso e rappresenta anch’esso un fattore stressogeno, poiché nell’arco di pochi secondi il soggetto deve valutare le conseguenze positive e negative dello svelamento di sé e farne un bilancio. Una persona che tiene nascosta la propria omosessualità sarà meno soggetta a esperienze dirette di omofobia, ma non potrà contare su esperienze di validazione esterna, condivisione, riconoscimento e quindi di supporto sociale. Una persona omosessuale non dichiarata può imparare nelle conversazioni sociali a parlare senza mai rivelare il genere della persona cui è legata, né fornire dettagli chiarificatori della sua vita e delle sue esperienze. Viceversa un individuo che non nasconde la propria omosessualità sarà più esposto alla possibilità di attacchi omofobici, ma potrà contare su un’identità e un’affettività più strutturate e riconosciute nel proprio contesto affettivo-emotivo e sociale, con la possibilità di un importante sostegno da parte della famiglia d’origine e degli amici intimi (Szymanski & Carr, 2008).

Nonostante i risultati degli studi finora citati, altri recenti lavori (Newcomb & Mustanski, 2011) hanno rilevato livelli di soddisfazione e di adattamento simili nelle vite di persone e di coppie omosessuali ed eterosessuali. Lo stigma e la discriminazione possono infatti produrre resilienza, cioè la capacità di far fronte alle difficoltà e agli eventi traumatici, ossia all’insieme di fattori di stress da minoranza sessuale, riorganizzando positivamente e in modo più funzionale e adattivo la propria vita, di persona e di coppia. Lo stabilirsi e il consolidarsi per le persone omosessuali dei legami amicali e sentimentali mette infatti in gioco molte risorse e sistemi motivazionali. La forza degli affetti e il senso del diritto alla propria identità, uniti alla capacità di affrontare con successo le avversità, promuovono il benessere psicosociale e l’adattamento della persona omosessuale, e consolidano il funzionamento del suo rapporto di coppia, producendo il desiderio di formare una famiglia, anche con dei figli.

È importante sottolineare che fino a poco tempo fa i ricercatori e gli studiosi (Mays & Cochran, 2001) si riconoscevano maggiormente in un modello che vedeva come la resilienza tra le persone omosessuali esposte a eventi potenzialmente traumatici si verificasse raramente. Recenti ricerche (Dziengel, 2011; Meyer, 2010) sembrano invece indicare che una delle possibili reazioni tra gli individui esposti a tali eventi sia un modello relativamente stabile di funzionamento sano, accompagnato dalla capacità duratura di emozioni positive ed esperienze produttive. Un risultato di particolare interesse è che pare non esistere un unico tipo di modello resiliente. Piuttosto, sembra che vi siano modi multipli e talvolta inaspettati di essere resilienti, e certe volte la resilienza viene raggiunta con mezzi che non sono completamente adattivi in circostanze normali.

In definitiva, da quando negli anni '80 del secolo scorso la letteratura scientifica si è focalizzata su un modello positivo del funzionamento psicologico, orientato alla realizzazione individuale e all’ottimizzazione delle risorse personali, la psicologia positiva ha portato a una svolta rivoluzionaria che ha abbracciato trasversalmente la ricerca in diversi settori psicologici, tra cui quello relativo agli studi sull’orientamento sessuale (Ryff & Singer, 1996). All’interno di questo cambiamento di prospettiva si è sviluppato l’approccio dell’attuale psicologia e psicoterapia affermativa dell’omosessualità, che promuove e valorizza gli aspetti positivi e affermativi delle esperienze di vita di uomini e donne omosessuali, ponendo l’accento su come lo stress legato all’appartenenza a una minoranza sessuale possa offrire l’opportunità di trasformare esperienze oppressive in comportamenti di resilienza e di funzionamento psicologico adattivo (Riggle, Whitman, Olson, Rostosky, & Strong, 2008).

Bibliografia

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