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La risorsa della psicologia ospedaliera nei processi di umanizzazione delle cure
La risorsa della psicologia ospedaliera nei processi di umanizzazione delle cure
l tema dell’umanizzazione delle cure ha, negli ultimi anni, coinvolto operatori sanitari e amministratori in un dibattito che, a volte, ha rischiato di scivolare più su un piano etico-morale e di dichiarazione d’intenti, piuttosto che operativo-assistenziale. Frequentemente si confonde l’umanizzazione solo con la buona educazione, oppure con la capacità di comunicare. A nostro parere è un processo culturale che abbraccia complessivamente vari aspetti della prestazione sanitaria e della organizzazione del sistema e li raccoglie in un unicum personalizzato che non è solo la sommatoria dei vari aspetti.
L’umanizzazione delle cure deve soddisfare contemporaneamente bisogni di carattere organico, psicologico, relazionale e strutturale: la buona educazione, l’empatia, spazi adeguati, linguaggio comprensibile, tempo adeguato per le visite, informazioni sanitarie chiare, riduzione tempi d’attesa, risorse umane adeguate, capacità di ascolto, comfort alberghiero, privacy ecc. alcuni degli aspetti che determinano la qualità della prestazione sanitaria e danno al paziente la percezione di essere “visto e considerato” nella sua interezza bio-psico-sociale. Pertanto, la relazione di cura che si integra con la relazione d’aiuto, rappresenta il microcosmo all’interno del quale si producono importanti e significativi processi che influenzano in modo determinante gli interventi, la cura e la prognosi.
Il concetto di base è che un ricovero ospedaliero rappresenta un “trauma”, un’interruzione della continuità esistenziale del paziente e include, oltre al dolore per la patologia, una sofferenza emotiva amplificata da un mancato riconoscimento delle particolari condizioni determinate dal ricovero stesso: l’allontanamento dalla famiglia, il convivere con persone estranee, l’interruzione del lavoro e delle relazioni sociali, la mancanza di privacy, l’affidare la propria vita a degli “ sconosciuti”, la depersonalizzazione, l’angoscia di morte ecc. Questi aspetti risultano, a volte, ignorati, sebbene fondamentali nella qualità percepita dal paziente: egli non ha la competenza per valutare se una prestazione sanitaria è stata effettuata a regola d’arte oppure no (tranne ex post valutandone gli effetti). Si ricorderà piuttosto se è stato “visibile” come persona, nello specifico momento di fragilità.
Ormai risulta necessario, all’interno del sistema sanità, soprattutto negli ospedali, rispondere ai bisogni degli utenti attraverso un autentico approccio bio-psico-sociale, che metta al centro la salute della persona e non solo la cura della malattia. La cultura medica e la cultura psicologica, pertanto, in questa ottica, devono, all’interno di proprie identità e di epistemologie diverse, reciprocamente riconoscersi, legittimarsi e farsi promotori di un proficuo confronto che innalzi il livello dell’offerta di salute in una prospettiva di miglioramento del sistema sanità.
Così come confermato dalla psiconeuroendocrinoimmunologia, qualsiasi “malattia” del corpo è accompagnata da un carico emotivo che può influenzare e determinare l’esito della stessa. La psiche ed il corpo si influenzano reciprocamente in un gioco di rimbalzi e si fondono in un unico principio: la qualità della vita del paziente dipende dall’integrazione consapevole della mente e del corpo e, qualora l’operatore sanitario non la riconoscesse, ne risentirebbe anche la qualità della prestazione sanitaria.
Quest’ultima, infatti, non è solamente un atto tecnico, ma è un processo che attiva connessioni emotive e psicologiche che influenzano e qualificano gli effetti dell’atto in sé.
Lo schema seguente è un invito alla riflessione piuttosto che una oggettivizzazione esaustiva delle due prospettive:

Pertanto, ogni tipo d’intervento sanitario soprattutto quelli più invasivi, attivano scorrimenti emotivi correlati all’ansia, all’angoscia e alla paura di perdere sé stessi, che necessitano di uno specifico intervento psicologico.
L’intervento psicologico in una UOSD Chirurgia Pediatrica
Quando un bambino, necessita di un intervento chirurgico, poiché la sua dotazione cognitiva ed emotiva è in fase di sviluppo e pertanto a volte immatura, la gestione dei vissuti connessi all’esperienza e le rappresentazioni che si generano, diventa complessa e problematica; si amplificano paure ed ansie che invadono lo spazio mentale determinando condizioni psicologiche tali da poter dar vita all’eventualità di un’esperienza traumatica capace di influenzare, in vario modo, la qualità di vita futura.
Inoltre, accompagnare il proprio figlio sulla soglia della sala operatoria rappresenta un passaggio critico, doloroso ed emotivamente destabilizzante per qualunque genitore. Diventa fondamentale fornire uno spazio di riconoscimento alle emozioni, spesso immobilizzanti, trovare strategie per convertirle in risorse utili a ristabilire quel naturale e proficuo contatto genitore/figlio, quello scenario di sicurezza e sostegno che l’adulto ha il compito di fornire al bambino.
Una relazione di accoglienza e riconoscimento che si basi su una sintonizzazione con il mondo emotivo del bambino, è aspetto imprescindibile nell’azione di cura e aiuto rivolte a quest’ultimo. Nella UOSD Chirurgia Pediatrica e Neonatale del PO Sant’Antonio Abate della Asp di Trapani, ormai da diversi anni, l’intervento dello psicologo si esplica nei diversi passaggi dell’iter di cura.
Nel testo di recente pubblicazione La Psicologia Ospedaliera in Italia: sentieri narrativi della clinica, curato da Giuseppe Giacalone e Antonino Domingo, dove vengono narrate esperienze di psicologia ospedaliera realizzate in alcuni tra i migliori nosocomi italiani, è descritto il caso di Marco, 5 anni, affetto da testicolo retrattile e bisognoso di un intervento di orchidopessi, di cui riportiamo alcuni stralci.
Gli intensi vissuti di paura e ansia condivisi dal piccolo e dai suoi genitori, visibili fin dai primi momenti dell’accesso al reparto e che generavano forti resistenze alle azioni di cura, iniziano a scongelarsi pian piano nella costruzione di una relazione mediata dall’aiuto giocoso di Spiderman, il supereroe che Marco adora, che lo accompagnerà nel corso della sua “avventura” ospedaliera. Durante il momento critico del prelievo ematico: «…spiego a Marco che, come Spiderman, ci aspetta una prova da coraggiosi, quella di riuscire a sopportare un pizzico sul braccio com’è successo a lui quando il ragno lo ha punto e trasformato in un supereroe. Nel momento in cui il paziente, per procedura, deve essere contrassegnato sul lato del corpo interessato dall’intervento prima di entrare in sala operatoria: «…Adesso ti faremo un tatuaggio sulla gamba…anzi aiutami tu a disegnarlo…e continuando a giocare, mi faccio guidare da lui nel disegnare sulla sua gamba un ragno con tanto di ragnatela: Marco è felicissimo, orgoglioso del suo “tatuaggio” e sorride di cuore…».
Il colloquio psicologico per la preparazione all’intervento chirurgico dissipa la paura dell’ignoto: «…Dico che affronteremo quest’avventura ospedaliera come se fosse un viaggio su un’astronave che porta nel mondo dei sogni e che, visto il coraggio che si ritrova, potrà esserne il capitano. Gli spiego che dovrà indossare una divisa colorata, che scenderemo in astronave con un letto con le ruote attraverso un ascensore pieno di luci; una volta arrivati in astronave conosceremo l’equipaggio (infermieri e medici) che si occuperà di accoglierlo e farlo stare bene. Aggiungo che, essendo lui il capitano, collegheremo tutti i congegni sul suo corpo (ECG), gli daremo il comando con un raggio infrarosso collegato al dito (saturimetro), misureremo la forza dei suoi muscoli (sfigmomanometro), allacceremo le cinture per il decollo e respireremo dentro ad una mascherina simile a quella dell’aerosol. Solo in questo momento potrà concentrarsi sul sogno che ha scelto insieme a me…».
L’utilizzo di tecniche di stabilizzazione psico-emotiva consente l’accesso alle risorse personali per la gestione delle proprie emozioni: spesso si guidano i bambini mediante la tecnica del “posto al sicuro”: «Per Marco la parola chiave è “viaggio”. Il suo “posto al sicuro” è un viaggio fatto insieme ai suoi genitori a Gardaland, un momento che ricorda con un’emozione intensa di felicità… Ma Marco vuole di più per il suo sogno in astronave, vuole sognare di incontrare Spiderman a Gardaland in un gioco che gli permetta di saltare e arrampicarsi come lui sui grattacieli».
Nel giorno dell’intervento, lo psicologo si propone al piccolo paziente come compagno di un’esperienza da fare insieme, rappresenta quella figura conosciuta il giorno prima e che, in assenza del genitore in sala operatoria, gli rimane accanto per tutta la durata del “viaggio”.
In alcuni casi l’intervento psicologico in sala operatoria, al fine di creare le condizioni di benessere dei piccoli pazienti, ha promosso e consentito l’attivazione di sottofondi musicali, di momenti creativi (disegno) o l’ingresso in sala operatoria di giochi/oggetti cari al bambino e che hanno per lui l’importante funzione di dargli conforto, calma e sicurezza.
Il supporto psicologico viene fornito anche ai genitori in attesa durante l’intervento chirurgico: un momento di forte intensità emotiva in cui bramano informazioni, manifestano bisogno profondo di esprimere i loro vissuti, di sentirsi accolti, compresi, nella loro fragilità del momento.
Una celebre frase del film di Spiderman recita «Da un grande potere derivano grandi responsabilità». Nei percorsi di cura ospedalieri gli operatori sanitari si trovano in una condizione di potere: potere di dire, potere di fare, potere di decidere che implica anche un forte senso di responsabilità. Le azioni di cura devono essere orientate non solo a “tenere in vita”, ma a “tenere alla vita” nel suo complesso e straordinario intreccio bio-psico-sociale che caratterizza ogni singolo essere umano.
