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numero 76 - aprile 2020

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L'intervista

Intervista a Silvio Ciappi

Intervista a Silvio Ciappi

Per questo numero della rivista, che inevitabilmente ha subito l’influenza dell’attuale emergenza sanitaria, abbiamo deciso di intervistare Silvio Ciappi, fra i promotori della pagina Facebook Psicologi e psicologhe resistenti.

D. Ha aperto la pagina Facebook Psicologi e psicologhe resistenti assieme a Toni Giorgi e Roberto Troisi con l’obiettivo di ospitare interventi di psicologi, professionisti e studiosi e creare uno spazio di discussione in questo particolare momento storico. Ci può spiegare come è nata questa idea?

R. L’idea è nata essenzialmente dal desiderio di far sentire che come comunità di psicologi ci siamo. Avevamo voglia di far sentire la nostra voce, di dire alla comunità “virtuale” di Internet “Guardate che noi siamo qui. Questa pandemia virale e informativa non ci travolgerà”. A tale scopo visto l’entusiasmo del pubblico abbiamo aperto anche un canale YouTube che va sotto la voce Movimento Psicologi Resistenti. Abbiamo scelto “movimento” non per creare l’ennesima sigla di psicologi ma come parola chiave che indica il nostro scopo principale rimettere in moto le energie, i saperi, le competenze.
Uno dei nemici da evitare in questo momento è la dispersione, che può divenire anche dispersione dell’identità, come la definiva Jaspers e che rischia di farci confondere. 
Il mio lavoro di psicologo serve a far sì che le persone riescano a individuare e comprendere meglio le loro modalità di funzionare, di vivere. Servo a loro per ristabilire un buon senso di sé, allorquando parti di loro appaiono incomprensibili sembrano impossessarsi del senso di identità. Ridare una significanza, un senso alla nostra vita è essenziale soprattutto quando si determina un trauma epistemologico, ovverosia un evento che manda in frantumi l’idea che ci eravamo fatti di noi stessi, che erode ciò che fino ad allora credevamo vero, che mina la fiducia che avevamo in noi, che ci getta nell’abisso dell’inconsapevolezza da cui sorgono paure, sofferenza e dolore con il loro correlato di sintomi che rendono amara l’esistenza. 
Il trauma epistemologico lo stiamo un po’ vivendo oggi ed equivale a ciò Blankenburg chiama “la perdita della naturale evidenza del mondo”. Ci troviamo spaesati, esseri senza dimora, bisognosi di appigli sicuri, perché abbiamo perso cosa significa vivere senza darsi un’essenza, liberi di essere ciò che sì è deciso di essere. Esistere è soggettività, è singolarità, è cosa il mondo significa per me, è il “prendersi cura”.
Quindi è davanti ai giorni non facili che stiamo vivendo, che nasce questa iniziativa, che vuole indirizzarsi a professionisti sanitari ma anche a gente comune con l’obbiettivo di condividere informazioni e riuscire nell’intento di ritrovare un ordine capace di tenerci in vita, un qualcosa che riesca a dare coesione alla nostra mente smarrita che non sa più dove poggiare i piedi. Adesso siamo come nomadi e da loro dobbiamo imparare cosa significhi una sistemazione parziale, la provvisorietà di una tenda; imparare da loro che la non appartenenza alla vita che facevamo prima può essere anche la via di un’accoglienza più profonda e sincera con gli altri.

D. Che tipo di contenuti sono stati finora oggetto della vostra discussione?

R. Finora i contenuti sono stati essenzialmente di tipo psicologico ma con incursioni anche nei territori della sociologia, della comunicazione sociale, della filosofia, e delle arti. L’idea è quella di rendere alcuni contenuti accessibili, il più possibile, e quindi abbiamo parlato di violenza in famiglia, di trauma, di adolescenti e videogiochi, di comunicazione sociale, di tecniche di mindfulness insieme anche a contenuti più prettamente filosofici, discutendo circa il tipo di società che stiamo attraversando e quella che ci troveremo davanti. L’importante è far sentire più voci possibili, creare una comunità virtuale.

D. Come viene effettuata la selezione dei contenuti? Che cosa vi motiva a proporre un tema piuttosto che un altro?

R. Con Toni e Roberto abbiamo messo su questa piattaforma su Facebook che fin dall’inizio ha avuto un numero incredibile di accessi. Non solo, ad ognuno di noi arrivavano messaggi anche in privato, suggerendoci altri argomenti di discussione. L’iniziativa ci ha incoraggiato ad andare avanti e la platea è aumentata sempre di più.
Diciamo che siamo io, Roberto e Toni a selezionare i contenuti e le proposte che ci arrivano. Ovvio che il contenuto diretto e indiretto debba essere di tipo clinico o psicologico, ma questo non ci ferma ad accettare proposte che vadano aldilà dello stretto ambito professionale. Non solo ma anche durante le dirette arrivano numerosi commenti e questo ci incoraggia ad andare avanti e ci conferma l’idea che abbiamo bisogno di parlare, di condividere, di relazionalità.

D. Che cosa fanno gli psicologi e le psicologhe resistenti? Come affrontano questo momento di difficoltà in cui i temi dell’emergenza sanitaria si intrecciano a quelli personali e familiari?

R. Non è facile. Innanzitutto molti di noi psicoterapeuti hanno riformulato il loro modo di lavorare, la seduta è diventata virtuale. Alcune persone hanno deciso di sospendere il percorso altre invece hanno preferito continuare con questa modalità on line utilizzando alcune piattaforme digitali come ZoomHouse Party eccetera. Anche la supervisione clinica ha preso questi aspetti e devo dire che nonostante alcune “resistenze” iniziali all’uso di questi strumenti molti studi incoraggiano all’uso di tali prestazioni professionali on line mostrando come l’esito degli interventi psicologici on line porti a significativi miglioramenti clinici. Per chi poi lavorava come perito forense la presenza fisica in un carcere ad esempio è stata ineludibile.

D. Quali sono le risorse degli psicologi resistenti?

R. Voglia innanzitutto di andare avanti e di creare una piattaforma di professionisti della salute mentale e non solo capaci di offrire al più vasto pubblico le loro competenze. La risorsa principale è come sempre la motivazione individuale.

D. Avete avuto modo di raccogliere molti feedback e spunti di riflessione da parte delle persone che hanno seguito la vostra attività?

R. Estremamente positivo. Molte persone ci hanno scritto congratulandosi per la semplicità anche dei contenuti esposti e commentando come ho già detto anche in diretta o sotto i post. Ci sono state anche richieste di aiuto psicologico provenienti da tutta Italia alle quali abbiamo risposto dando dei consigli in linea e poi indirizzando a professionisti sul territorio.

D. Quali potrebbero essere le risorse che tutti coloro che ora stanno affrontando la quarantena, a livelli diversi, potrebbero attivare per resistere alla situazione attuale?

R. Informarsi, relazionarsi (anche se in forma virtuale per adesso), trovare o ritrovare qualcosa che ci faccia piacere, sprigionare la nostra energia creativa. In fondo di noi esiste, e ce lo ricordano filosofi come Spinoza, una forza o meglio uno sforzo per farci recuperare quella carica vitale capace di poterci ancora dire: questo sono io! Un conatus capace di non cedere al naufragio della nostra identità.
Sono sicuro che ci riaffacceremo fuori con una voglia commossa e potente di stare al mondo, forse ci daremo meno per scontati ma ritorneremo di nuovo alla ricerca di cose che potrebbero darci piacere, che possano declinarsi in reciprocità, alla ricerca nuova di qualcosa che dia sapore alla vita, una relazione, un libro, una canzone, una sera di primavera. Mi viene in mente un filosofo come Nietzsche quando affermava che in casi così non si perisce mai per opera d’altri, ma soltanto di se stessi. Sta quindi a noi, magari anche con l’aiuto di altri o di professionisti del settore, riprenderci la naturale evidenza delle cose e del mondo.

D. Siete riusciti a raccogliere feedback e partecipazione al di fuori del contesto dei professionisti della psicologia?

R. Anche in questo caso, estremamente positivi. Sociologi, filosofi, antropologi ma anche persone appartenenti ad associazioni del sociale, ad associazioni culturali che si sono congratulati per l’iniziativa e per la sua portata “culturale”, per la nostra voglia di diffondere cultura psicologica e non solo.