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numero 27 - maggio 2015

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L'intervista

Intervista a Roberto Leonetti

Intervista a Roberto Leonetti

In virtù del suo ruolo di Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Sanitaria Firenze e Direttore dell’UOC di Neuropsichiatria Infanzia e Adolescenza e dell’Unità Funzionale Complessa di Salute Mentale Infanzia Adolescenza dell’Azienda Sanitaria Firenze, abbiamo chiesto al Dott. Leonetti alcune informazioni sulla situazione, l'offerta e la tipologia di utenti che afferiscono al servizio sanitario territoriale, sia in età adulta sia in età evolutiva. 

D. Dott. Leonetti, nel corso degli anni è cambiata l’utenza che si rivolge alla Neuropsichiatria Infantile?

R. Negli ultimi anni senz’altro l’utenza che afferisce ai servizi di Salute Mentale Infanzia Adolescenza, all’interno dei quali è inserita la Neuropsichiatria Infantile, è cambiata qualitativamente e quantitativamente. Va sottolineato che anche il contesto intorno al minore è molto cambiato, soprattutto la famiglia e gli adulti di riferimento e le loro funzioni, la presenza di famiglie di etnie diverse spesso con ricongiunzioni in adolescenza e il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati.

D. Se ha riscontrato dei cambiamenti, di che tipo sono stati?

R. I cambiamenti riguardano il tipo di disturbo e la precocità di alcune manifestazioni, una volta tipiche dell’adolescenza. Sono in forte aumento i disturbi della condotta, i disturbi del comportamento alimentare, i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), i disturbi da deficit di attenzione e iperattività, il disagio adolescenziale e gli scompensi psichici in adolescenza.

D. Che impatto ha l’attuale normativa nazionale e regionale in merito alla diagnosi dei DSA sull’attività del servizio pubblico?

R. Più che sulla complessità dei casi, la questione riguarda l’elevato numero di richieste da parte di bambini ed adolescenti segnalati dalla scuola, e in base alla normativa regionale per l’approfondimento diagnostico sono richiesti ben tre operatori: il neuropsichiatra infantile, lo psicologo, la logopedista. Tutto ciò comporta un notevole impegno da parte dei servizi per l’infanzia.

D. Parliamo di Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA). A breve sarà presentata una proposta di legge che ha l’obiettivo di rendere possibile il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) nei casi in cui, in seguito a DCA, insorgano gravi conseguenze organiche associate a un rifiuto del trattamento da parte della persona. Pensa che il TSO possa facilitare la cura dei DCA? Non può esserci il rischio che le persone vivano ancora peggio la cura?

R. Ritengo che, come previsto dalla legge, il TSO possa avere un significato dal punto di vista sanitario e sia da ricorrervi solo dopo aver utilizzato tutti gli altri presidi. Nel caso dei DCA, la normativa attuale già prevede l’erogazione di cure in regime di obbligatorietà quando esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici e se gli stessi non vengano accettati dal paziente. Penso che vadano sempre approfonditi i motivi che sottostanno al rifiuto di farsi curare, altrimenti  l’uso del TSO di sicuro non facilita la cura, con il rischio di recidive e ricadute.
Inoltre, i servizi psichiatrici di diagnosi e cura dovrebbero prevedere spazi ad hoc ed attualmente non sono dotati di competenze sul piano nutrizionale, internistico e riabilitativo.

D. Poco più di un mese fa, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) sono stati chiusi o, comunque, hanno smesso di accettare nuovi ingressi in seguito alla Legge 211 del 22 dicembre 2011. Gli utenti, da ora in poi, dovranno seguire dei trattamenti sanitari presso le Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza (Rems). Quali conseguenze immagina per i Dipartimenti di Salute Mentale?

R. La questione rimane molto complessa, in quanto i pazienti sono in carico ai servizi del DSM ma sono sempre sottoposti ai provvedimenti del giudice di competenza, inoltre permangono tuttora non risolti gli aspetti connessi alla pericolosità, tema rispetto al quale, non essendo stato modificato il concetto che ne sta alla base, permane una certa confusione sulla responsabilità dei curanti. Molto utile può risultare in questo settore lo scambio tra sanitari e giudici, che va dalla formazione a sottoscrizione di protocolli, come è avvenuto tra il DSM-ASL Firenze e il Tribunale. Il passaggio alle REMS detentive risulta non facile anche perché ancora non operative, con il rischio che i pazienti vengano inviati in carcere. La ricaduta sui DSM è quindi notevole, va detto che nella nostra ASL abbiamo esperienze pilota che ci permettono di non partire da zero (il progetto che riguarda la struttura intermedia Le Querce).

D. Spostando l’attenzione sul Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC), quali sono, secondo lei, i cambiamenti più importanti che ci sono stati negli ultimi anni nella diagnosi e nella cura?

R. Senz’altro la crescita delle competenze di tutto il personale dell’SPDC di lavorare con i pazienti e con le loro famiglie. Il lavoro con le famiglie, anche attraverso un lavoro di psicoeducazione, in modo da renderle più collaboranti con i servizi e più competenti con i loro familiari, si è rivelato molto positivo.

D. Qual è l’utenza che caratterizza il l’SPDC? Ci sono prevalenze in termini di categorie diagnostiche?

Pur essendoci un’omogeneità tra i cinque SPDC del DSM dell’ASL 10, le caratteristiche dell’utenza dipendono anche dal territorio nel quale è collocato l’SPDC, se inserito in un contesto metropolitano oppure rurale o di piccoli centri urbani, e dalla presenza di stranieri senza fissa dimora. Negli ultimi anni, oltre alle situazioni in acuto con diagnosi “classiche”, sono in aumento soggetti che presentano disturbi di personalità con sintomatologia dirompente e soggetti con disturbi psichici che fanno uso di sostanze stupefacenti (cosiddetta doppia diagnosi).

D. Che servizio è in grado di offrire l’SPDC? È possibile fornire in questo trattamento protocolli che effettivamente portino a una riduzione significativa della sintomatologia clinica?

R. Gli SPDC all’interno della rete dei servizi offrono una risposta nelle situazioni di acuzie attraverso il ricovero, pur facendo parte del percorso assistenziale territoriale del paziente. Nel tempo stanno subendo una trasformazione in positivo nel senso che presentano i requisiti richiesti a tutti gli altri reparti ospedalieri. A Firenze , come in gran parte della Toscana, l’équipe dell’SPDC è costituita dallo stesso personale che segue i pazienti nel Centro di Salute Mentale: questo permette di poter utilizzare il ricovero in SPDC e le dimissioni in maniera molto appropriata. Cito con piacere che tutto il DSM e quindi anche gli SPDC hanno avuto recentemente la verifica di accreditamento da parte della Commissione regionale con esito positivo.

D. Le persone che accedono all’SPDC mantengono il riferimento al servizio nel corso del tempo o vi si rivolgono nei momenti di maggiore criticità, per poi abbandonare ai primi segnali di miglioramento?

R. Da quanto detto precedentemente risulta che i pazienti mantengono gli stessi riferimenti del territorio ed il ricovero in SPDC può anche essere programmato da parte dei curanti.

D. Nel contesto dell’SPDC vengono utilizzati test psicologici per l’inquadramento diagnostico? Si riesce a verificare l’efficacia degli interventi proposti?

R. Il paziente nella maggior parte dei casi è già conosciuto dai servizi, pertanto sono già stati somministrati i test diagnostici in precedenza e comunque la situazione di urgenza per la quale avviene il ricovero esclude l’uso di test. Per quanto riguarda la valutazione dell’efficacia degli interventi, in alcuni degli SPDC vengono utilizzati test collegati alla psicoeducazione che valutano la soddisfazione dei pazienti. Inoltre, per la verifica dell’efficacia degli interventi ci avvaliamo anche degli indicatori che la Regione Toscana propone, validati dal MeS della Scuola Superiore S. Anna di Pisa.

D. Qual è, secondo lei, l’atteggiamento che, in generale, gli operatori della salute mentale hanno verso i test psicologici?

R. Mi pare che l’utilizzo mirato ed appropriato di test sia molto utile nell’approccio al paziente e che l’atteggiamento degli operatori stia cambiando, anche perché abbiamo sempre più bisogno di rendere oggettivo il nostro modo di operare e ridurre le interferenze ed il margine di essore dovuti alla nostra soggettività.