L'intervista
Intervista a Roberto Cicioni
Intervista a Roberto Cicioni
Il Rorschach è il test psicologico più conosciuto anche al grande pubblico, e il più utilizzato. Pietra miliare della psicologia clinica, le numerose e anche recenti illegittime riproduzioni ne testimoniano la vitalità, a quasi cent’anni dalla sua creazione. La profondità d’indagine e la complessità interpretativa che lo caratterizzano hanno stimolato, nel corso del tempo e dopo la prematura scomparsa del suo autore, la riflessione intellettuale e la sperimentazione clinica, con l’affermazione di metodi interpretativi e scuole cliniche differenti. Ne parliamo con Roberto Cicioni, direttore dell’Istituto Rorschach Forense, con l’intento di avviare un dibattito sul presente e il futuro del Rorschach.
D. Lei dirige l'Istituto Rorschach Forense: come è nato e quali sono le sue finalità?
R. L’idea di creare un nuovo istituto prende le mosse da motivazioni interne di noi che lo abbiamo creato (Tommaso Caravelli, presidente e Rita Rossi, vicepresidente), quelle di meglio indirizzare le nostre idee ed energie professionali rispetto ai contesti dove eravamo precedentemente impegnati. Questo in particolare è valso per me e Caravelli che per anni abbiamo lavorato alla Scuola Romana Rorschach e che sentivamo la necessità di trovare un “contenitore” più moderno e vicino al nostro sentire riguardo la professione.
Le finalità sono una diretta conseguenza di tutto questo, ovvero attivare una serie di ricerche e aggiornamenti, mettere a punto nuovi strumenti e testi riguardo soprattutto al Rorschach, che convergano in modo sinergico verso piani formativi che sostengano al meglio possibile psicologi e psichiatri che intendono lavorare nel contesto clinico e forense. Il centro del nostro istituto sono i nostri soci e allievi che lo frequentano e che danno linfa vitale a tutti noi. Senza il loro sostegno in tutte le attività che ho elencato, non potremmo esistere se non come professionisti che svolgono un lavoro individuale.
Per quello che riguarda specificatamente il Rorschach poi, di cui mi occupo personalmente dal 1990, è anche di continuare a studiare e diffondere una cultura italiana sul test, che ha tradizione lunghissima e che a mio avviso non ha nulla da invidiare a quelle di altri Paesi.
D. Il Rorschach viene fatto risalire al 1921 con la pubblicazione di Psychodiagnostik. A distanza di quasi un secolo è sempre una delle prove più usate nel mondo. Cosa lo rende ancora così attuale?
R. Delle caratteristiche uniche e che sono di grande utilità per chi lo utilizza. Innanzitutto, il fatto che non bisogna cambiare le macchie per aggiornarle ai cambiamenti culturali che si susseguono molto rapidamente. Le macchie mantengono il loro potere evocativo e basta aggiornare gli indici per mantenere inalterato il loro potere investigativo; questo consente anche a chi le utilizza di potersi a sua volta aggiornare molto facilmente. Il test, poi, non consente di utilizzare difese coscienti per alterare la propria immagine in meglio o peggio, a seconda della convenienza, cosa importantissima in ambito forense. È inoltre l’unico proiettivo al contempo quantitativo e qualitativo, che fonde la dimensione psicometrica, che permette di posizionare il soggetto rispetto alla popolazione di appartenenza, con quella più qualitativa per studiarne invece gli aspetti individuali e latenti. È anche una tecnica che consente da sola una descrizione della personalità in tutte le sue dimensioni, intellettiva, affettiva, adattativa. Non ne è stata ancora inventata una migliore, sempre a patto che la si utilizzi in modo adeguato.
D. L’improvvisa scomparsa di Hermann Rorschach ha sottratto da subito la possibilità di confronto con il creatore della prova, facilitando lo sviluppo di idee differenti riguardo a questa tecnica. Per il Rorschach, insomma, non ci fu mai un’“ortodossia” che potesse essere difesa ed incarnata dal suo creatore, cosa che ha reso la tecnica vitale a distanza di quasi cento anni dalla sua creazione. Si è però posta la questione del metodo per utilizzare il test e interpretarne i risultati: quale, dal suo punto di vista, la situazione attuale e le ragioni dell’uno e dell’altro metodo?
R. Questo è un discorso lungo e complesso che proverò a sintetizzare cercando di darne un’idea complessiva. In effetti non c’è mai stata “un’ortodossia” in questa materia e questo ha rappresentato sicuramente un bene, visto che rispetto al metodo di Rorschach, che comunque rimane la base di tutti quelli accreditati, è stato possibile integrare siglature ed indici che hanno moltissimo arricchito la sua potenzialità diagnostica. Si pensi ad esempio a cosa sarebbe successo se ci fosse stata un’unica psicoanalisi; dietro ad una qualche confusione, ci saremmo persi sicuramente il pensiero di molti.La scuola nordamericana ha lavorato molto sulla dimensione psicometrica e quella francese su quella simbolica e contenutistica. Rizzo, in Italia, ha lavorato in entrambe le direzioni cercando di sintetizzare un metodo che le coniugasse. Per molti anni gli studiosi storici di questa materia hanno cercato di confrontarsi scientificamente e di scambiare e condividere idee e pensieri sul test. Noto invece da qualche anno la tendenza di alcuni a chiudersi e a non confrontarsi più con chi utilizza un metodo diverso dal suo. Questo per ragioni sicuramente narcisistiche di parte di taluni studiosi, di ignoranza sulla materia di parte di altri, ma talvolta anche per ragioni economiche. In effetti tali idee di supposta superiorità di un metodo rispetto ad altri mai vengono sostenute nelle sedi opportune, ovvero ai congressi della International Rorschach Society. Sicuramente non giova a nessuna materia scientifica un pensiero chiuso che non riconosce la diversità, meno che mai se tale materia è quella psicologica. Ad oggi, che io sappia, nessuno ha trovato delle verità assolute migliori di altri.Tornando al Rorschach, questa è una tecnica che mira a studiare e descrivere un sistema complesso come l’essere umano e, quindi, per poterne sfruttare appieno le caratteristiche, necessita a mio avviso di una notevole esperienza e preparazione da parte di chi la utilizza. Sicuramente è possibile sostenere che esistono metodi Rorschach complessi che abbisognano di tale preparazione ed altri più semplici e riduzionistici che richiedono un grado di preparazione meno elevato, ma che chiaramente danno minori informazioni diagnostiche. Siccome l’obiettivo è la descrizione di un sistema complesso di cui fare una valutazione diagnostica profonda ed articolata, ritengo che un esperto della materia e quindi un professionista che punti molto professionalmente su questa tecnica o meglio ancora che formi altri al suo utilizzo, debba conoscerla il più possibile per raggiungere tale scopo. Ho sempre pensato che esiste una psicologia diversa per ogni psicologo che la utilizza, perché questa materia è sempre qualcosa in più rispetto alle tecniche e alle teorie che apprendiamo, ed il Rorschach non fa eccezione.
D. Ritiene che sia scientificamente e clinicamente giustificata la coesistenza di più metodi di interpretazione dello stesso strumento?
R. Senza dubbio sì. Come ho appena detto, se la coesistenza è sinonimo di scambio e di condivisione, allora sì. Anche se sappiamo che in psicologia il “problema” dei vari approcci possibili è trasversale e sappiamo quanta confusione crei agli occhi di chi non è del nostro settore. In questo senso la segmentazione eccessiva, quella sì potrebbe diventare un problema.
Bisogna, perciò, sempre conoscere quanto fanno altri che hanno fatto una scelta teorica o metodologica diversa dalla nostra, a volte più o meno casuale, per sapere se nel loro percorso hanno trovato qualcosa di utile che può essere utilizzato anche da noi, senza timore di sentirsi diminuiti. Questo è stato l’intendimento e l’insegnamento di Rizzo, molto prima di altri, ovvero quello di mettere nel metodo che stava studiando anche il meglio creato e pensato da altri.
D. Il Comprehensive System di Exner è oggi il metodo di interpretazione del Rorschach più affermato. Una sua recente evoluzione, l’R-PAS, è in corso d'introduzione nel nostro Paese. Si tratta di metodi che forniscono una base quantitativa al test, forse garantendone la continuità in un'epoca che richiede evidenza delle diagnosi misurabille. Cosa ne pensa?
R. Anche questo è un discorso complesso e senza dubbio non posso affrontarlo se non con una certa durezza, che deriva da quanto vanno affermando alcuni rorschachisti italiani in modo assolutamente fuori luogo e deontologicamente scorretto, ovvero quello di una supposta superiorità di questo metodo rispetto agli altri perché darebbe appunto una solidità psicometrica che altri non avrebbero. Ho conosciuto Exner e mai egli ha sostenuto una cosa del genere ad un congresso internazionale, anche perché è sinceramente infondata.
Innanzitutto non esiste un metodo senza chi lo utilizzi, e quindi esso non funziona di per sé. Un metodo detta regole e strategie per meglio consentire ad un professionista di trovare ed organizzare una serie di informazioni diagnostiche che poi confluiranno in una relazione. Se chi lo utilizza non è un professionista e quindi non conosce o mal utilizza tali regole, il danno è fatto ed indipendentemente dal metodo che utilizza.
Il sistema Exner, “comprensivo” come definito dal suo creatore, comprende in realtà soltanto i metodi di studiosi americani del passato, quindi parte già con un taglio molto poco comprensivo e sicuramente non considera molta conoscenza rorschachiana prodotta da altre culture. Questo fatto non incontra sicuramente il mio favore. Io sono uno psicologo italiano, ma non per questo considero solo la psicologia italiana, però apprezzo anche le nostre tradizioni e non prendo per oro colato quello che viene dall’estero solo perché mi viene raccontato che è una novità. Confesso e confermo poi, che l’americanizzazione culturale del mondo, anche nella psicologia, non incontra il mio favore, perché mossa da fattori spesso eminentemente economici e perché alla lunga uccide la diversità. Tra parentesi il Metodo Scuola Romana Rorschach quello che insegno da decenni è quello al mondo che può vantare la tradizione più lunga ed antica di studio e applicazione. Tornando, poi, al fatto alla solidità di cui ha bisogno il test, ricordo a tutti che Rorschach aveva pensato e creato un metodo assolutamente ed esclusivamente psicometrico, tarato e fondato soltanto su certezze statistiche. Questo aspetto c’è sempre stato e continua ed essere presente in tutti i metodi seri e non è una novità come qualcuno vuol farla passare. Anche dentro Exner c’è tutto Rorschach, quindi se vale adesso, valeva anche prima.
La base del Rorschach è la statistica e lo è sempre stata. Tanti anni fa Exner fece visita alla Scuola Romana cercando di capire cosa esattamente facevamo e quando comprese quale fosse il nostro sistema, ci disse che noi già avevamo un “metodo comprensivo“, perché ebbe modo di verificare che il nostro sistema era avanzatissimo per ricchezza e complessità.
Poi bisogna decidere quale sia l’obiettivo del Rorschach, ovvero se quello di dare risposte cliniche, cosa che fa da decenni e che se non avesse fatto ne avrebbe determinato l’oblio, oppure se soddisfare criteri scientifici di validità ed attendibilità e sull’altare di questo escludere possibilità interpretative meno psicometriche solo perché rischiose. Ricordo sempre che non esiste test senza somministratore e che mai si parla di “taratura” di un somministratore, dando per scontato che quest’ultimo sia capace di per sé. Se l’esaminatore è esperto, deve saper sfruttare anche la dimensione più qualitativa e meno psicometrica e non scartarla a priori, come detta il sistema exneriano, per avere dati più oggettivi, ma meno profondi ed utili al clinico. L’esperto deve saper maneggiare la complessità e non averne paura. Può averne paura l’inesperto che si avvicina alla materia, non chi ci lavora e deve dare risposte al committente.
Per quanto riguarda questo nuovo sistema, l’R-PAS, confesso che non ho ancora avuto testi sui quali poterlo studiare, ma spero soltanto che venga proposto e tarato da chi pratica la materia sul campo e non da chi la studia soltanto da un punto di vista teorico. Ho avuto spesso dei contraddittori con studiosi del test, ma mai sono riuscito a vedere una loro relazione psicodiagnostica fatta sul campo. Questo è il fine della nostra materia.
D. Parliamo adesso delle tavole parallele: quanto è diffuso il loro utilizzo?
R. Sono molto poco diffuse e studiate. Molti neanche ne conoscono l’esistenza. Ne esistono alcune con pochi studi statistici a sostegno, che raramente vengono aggiornati e che riguardano spesso solo le popolazioni di chi le ha ideate. Ne esiste anche una italiana messa a punto dalla Scuola Romana Rorschach che utilizzo quando sono obbligato a somministrare altre macchie rispetto alle originali, soprattutto in contesti forensi. Possono essere una buona risorsa in questo ambito.
D. Nel Rorschach le risposte vengono spesso interpretate prevalentemente per il loro contenuto, dando poco valore agli indici derivanti dalla siglatura. Inoltre, l’impressione è che ci sia una forte tendenza ad andare alla ricerca di software che si occupino di calcolare gli indici senza chiedersi quale sia la loro natura matematica. Lei è un esperto di Specchio dei computi. Non pensa che la mancanza di consapevolezza psicometrica renda parziale anche la dimensione interpretativa?
R. Ribadisco ancora una volta che la base interpretativa del Rorschach è e deve essere assolutamente statistica. Gli elementi strutturali di una personalità derivano da indici psicometrici e gli elementi qualitativi possono essere letti in modo adeguato solo dopo le certezze derivate da questi indici. È la scuola psicoanalitica francese che tende a fare una lettura soprattutto qualitativa del test, cosa possibile solo se chi la fa ha una grandissima esperienza in materia. Il metodo francese è molto incentrato sulla bravura dell’esaminatore, mentre quello americano di oggi cerca di attribuire al test le certezze interpretative; non a caso quest’ultima non considera minimamente una lettura contenutistica del test, ritenendola non attendibile e nel timore che l’esaminatore possa sbagliarla. Tale logica è a mio avviso eccessivamente riduzionistica, e sarebbe come abolire il bisturi nell’ansia che il chirurgo possa sbagliare ad usarlo. Nella clinica la lettura qualitativa del test può essere molto utile perché può cogliere aspetti che la psicometria non coglie ed è qui che l’esaminatore subentra con la sua esperienza e capacità di capire limiti e vantaggi di se stesso e del test che utilizza. Ricordiamo sempre che un test è uno strumento fallibile in mani fallibili. Può funzionare soltanto se chi lo utilizza ne conosce in profondità limiti e vantaggi, cosa possibile solo dopo molta esperienza pratica, e verifica sul campo se la propria intuizione qualitativa tende ad essere sensata oppure no. Ma se tale intuizione si basa sulle certezze psicometriche, allora il discorso è molto più sicuro. Ripeto che un esaminatore esperto deve conoscere tanto la dimensione quantitativa che quella qualitativa. Infatti nel contesto forense la dimensione quantitativa è assolutamente principale ed è su questa che si fonda la maggior parte del lavoro che viene fatto. In questo campo occorre spesso “quantificare” qualcosa e l’approccio statistico torna ad essere importante.
I sistemi informatici debbono essere intesi come un qualcosa che svolge un compito al nostro posto, senza errori e brevemente, dandoci maggiore tempo ed energia per dedicarsi a scrivere la relazione. Possono archiviare con ordine un protocollo, assistere didatticamente ad una siglatura coerente e calcolare indici rapidamente e senza errori. Niente di più. Noi stessi all’Istituto ne abbiamo fatto uno (I-Ror), con questo unico intento. Ma quello che dice è giustissimo, prima di utilizzarli bisogna imparare a fare uno Specchio dei computi od uno psicogramma a mano. Se infatti non si sa calcolare a mano un indice, non si può comprenderne profondamente il significato.
D. Le risposte comuni (definite Volgari nel metodo Rizzo) sono riconducibili a ciò a cui le persone assistono e a ciò che vivono (anche attraverso i mass media) in un certo periodo storico? E le risposte complessuali?
R. In realtà è tutto il test, ovvero l’insieme degli indici a dare l’idea di quali siano gli orientamenti di una cultura e non soltanto le Volgari. Anche se il mio sogno di rorschachista sarebbe quello di avere Volgari ed R+ statistiche (quelle che superano il 2% su grandi campioni) di più nazioni possibile, per capire in sintesi cosa producono altre culture. Tornando al discorso più generale, forse non è un caso che negli ultimi anni le medie degli indici della popolazione italiana si sono molto avvicinate a quelle degli americani di decenni fa... Per sintetizzare, alcuni dati che stanno emergendo dai test di oggi ci dicono che il numero di risposte è diminuito, con aumento delle Volgari e prevalenza delle Globali su quelle di Dettaglio: questo a significare che, nonostante i mezzi culturali a disposizione, l’italiano si mostra sempre meno curioso, esplorativo, stimolato e produttivo, meno orientato al pratico ed in difficoltà a discriminare ciò che sarebbe essenziale invece che superfluo, con una lettura della realtà generalizzante, un po’ conformistica e quindi superficiale. Volendo utilizzare questi dati in modo leggermente provocatorio, potrei dire che, forse, si corre il rischio sensato che, in termini rorschachiani, lo psicologo italiano risenta di tutto questo e tenda a sposare modelli psicologici riduzionistici invece che complessi? Mi auguro certamente di no.
Le Risposte complessuali sono quella parte del test, insieme alle Manifestazioni particolari, che consentono di fare la diagnosi differenziale e che ad esempio il sistema exneriano non prende in considerazione. Rappresentano quindi un perfetto esempio che riassume molto di quanto detto in precedenza. Le prime sono una parte della siglatura che coglie gli aspetti simbolici della risposta e non quelli manifesti, ed informa su punti di fissazione che possono influire molto o poco nella vita di un individuo. Rappresentano elementi di siglatura per veri esperti, ovvero per coloro che sanno cogliere non soltanto ciò che è evidente, ma anche gli elementi più occulti e più profondi proiettati da un individuo. In parte questo vale anche le per Manifestazioni particolari, che fissano i vissuti del soggetto relativi a quello che vede nelle macchie e sono importantissime per valutare il senso della realtà e le difese. Devo dire che senza queste siglature sarebbe difficilissimo per me poter fare una diagnosi differenziale. Il metodo Scuola Romana Rorschach comprende 21 risposte complessuali ed oltre 70 Manifestazioni particolari, che certo a volte sono difficili da riconoscere e siglare, ma che sono una parte del test fondamentale e che arricchisce moltissimo le sue possibilità diagnostiche.
D. L’uso del Rorschach nei bambini è molto dibattuto. Secondo lei è opportuno utilizzarlo? Se sì, quando?
R. Solo quando è strettamente necessario, è chiaro, come d’altronde anche per gli adulti, anche se la somministrazione delle macchie non ha “effetti negativi” su chi le osserva. Con i bambini, però, bisogna essere molto esperti di questa fascia d’età, perché nonostante siano moltissimi i libri sul Rorschach e l’età evolutiva, è sempre l’esperienza che conta moltissimo, anche perché con loro si utilizza la dimensione qualitativa piuttosto che solo quella psicometrica e quindi torniamo al discorso che facevamo in precedenza. Ma quando si necessita di informazioni sulla personalità, le macchie hanno la loro sicura utilità.
D. Cosa resta oggi del contributo di Carlo Rizzo, fondatore della Scuola Romana?
R. Resta tantissimo, perché è vivo, è studiato ed in Italia applicato moltissimo.
Posso sicuramente essere di parte, ma è certamente un vanto della nostra tradizione psicologica ed è senza dubbio il più ricco di siglatura e di indici tra tutti quelli noti. È un metodo al quale formo da un ventennio in tutta Italia, e tutti quelli che lo imparano ne apprezzano la profondità. I nostri migliori allievi sono anzi coloro che arrivano da altri metodi e che quindi immediatamente colgono moltissime cose che mancavano negli altri. Questo è un metodo che richiede un approccio attivo e non passivo e quindi la capacità di andare a cercare e prendersi informazioni diagnostiche attraverso i moltissimi elementi che contempla. È un sistema complesso che crea autoformazione anche dopo la fine del percorso formativo, perché sensibilizza alla complessità e non al riduzionismo.
Se Rizzo fosse stato di un altro Paese avrebbe avuto attenzioni che invece nel nostro mai ha avuto. Forse perché non era un accademico. Di questo mi dispiaccio tantissimo, perché ha dedicato una vita a studiare le macchie e ci ha lasciato un patrimonio di conoscenza straordinario. Ma, nel mio piccolo, cerco da anni di farlo conoscere, nonostante da sempre abbia avuto contro parte del mondo accademico che tende a screditare questo test, e nonostante appunto da qualche anno qualcuno, in modo assolutamente contro la deontologia professionale e la storia, sostenga che il sistema di Exner sia l’unico che in certi contesti può essere utilizzato. A proposito di idea unica. Anche quando scrivo qualcosa sul test, spesso le riviste mi dicono che non ho citato lavori sul sistema di Exner, con l’intento di farmelo fare, cosa che va ad alimentare appunto il fatto che tale sistema sia poi molto studiato e “citato”.
D. Esiste ancora un metodo italiano nell'approcciare il Rorschach? Se sì, è un segno di provincialismo o di originalità e indipendenza clinica e scientifica?
R. Credo di aver già risposto abbondantemente a questa domanda. Chiudo io con un paio di domande provocatorie alle quali posso io stesso simpaticamente rispondere, per aver conosciuto e frequentato molti congressi internazionali e quindi colleghi di altre nazioni. Se domandassimo ad un americano “se utilizzare un metodo americano è segno di provincialismo o indipendenza”, ci guarderebbe e non capirebbe la domanda. Se lo chiedessimo ad un francese, ci guarderebbe con un sorrisetto e neanche risponderebbe.
Una domanda poi la faccio alla nostra categoria: se un italiano utilizza un metodo straniero senza conoscere minimamente quello che la sua cultura ha prodotto, anzi criticandolo aprioristicamente, è sinonimo di quella apertura mentale che dovrebbe insegnarci ciò che abbiamo studiato?