QI - Questioni e idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore

Qi, il magazine online di Hogrefe Editore.
Ogni mese, cultura, scienza ed aggiornamento
in psicologia.

numero 78 - giugno 2020

Hogrefe editore
Archivio riviste

L'intervista

Intervista a Niccolò Collini

Intervista a Niccolò Collini

Negli utlimi mesi tutta l'attività nel contesto clinico-sanitario è stata riorganizzata per rispondere alle richieste di gestione dell'emergenza sanitaria e al contempo garantire supporto professionale. Con il Dott. Collini riflettiamo non soltanto sugli accorgimenti adottati in un serizio per persone con autismo, ma anche sulle prospettive future che la recente esperienza potrebbe aprire o aver già aperto. 

D. Gentile Dott. Collini, lei è responsabile dell’ambulatorio per bambini e ragazzi autistici della Fondazione Santa Rita di Prato, la cui attività, nell’ultimo periodo, ha inevitabilmente risentito dell’emergenza COVID-19 e delle disposizioni sanitarie conseguenti. Ci può raccontare che modifiche al servizio sono state apportate e che servizi siete riusciti a garantire?

R. In seguito al primo DPCM del 9 marzo in cui è stato deciso il lockdown per tutta l’Italia, anche il nostro servizio ambulatoriale è stato chiuso al pubblico da un giorno all’altro. Nonostante un iniziale momento di incertezza, avevamo chiara la consapevolezza di non poter lasciare le famiglie e i nostri pazienti soli e senza alcun supporto proprio in un momento così particolare e insolito. Dopo un breve confronto con tutta l’equipe, composta da psicologi, psicoterapeuti, logopedisti, educatori e neuropsicomotricisti, abbiamo identificato nella teleabilitazione la possibile risposta più efficace da dare in questa situazione, e il giorno stesso della chiusura abbiamo proposto a tutte le famiglie dei nostri pazienti di proseguire la continuità terapeutica mediante questo tipo di servizio a distanza.

D. Proporre attività educative a distanza significa in genere ristrutturare attività da svolgere in presenza o progettare attività del tutto nuove?

R. La nostra equipe ha affrontato la teleabilitazione senza nessuna esperienza specifica pregressa. Non avevamo linee guida a cui attenerci, ce le siamo create strada facendo. Il punto di partenza è stato identificare a livello generale delle possibilità di intervento da remoto e poi personalizzarle su ogni singolo paziente in modo da rispondere alle specifiche esigenze del paziente stesso e della famiglia. Questo, in realtà, è il nostro modo di lavorare canonico anche in presenza, in quanto crediamo fermamente che a fronte di tipologie di trattamento generali sia poi necessario costruire un piano riabilitativo altamente individualizzato che risponda ai bisogni di ogni singolo paziente e della famiglia. Abbiamo pertanto applicato lo stesso principio alla teleabilitazione. Inoltre, essendo pazienti già in carico al nostro servizio e quindi già conosciuti e con un proprio piano riabilitativo individuale, abbiamo cercato di portare avanti gli obiettivi di intervento attraverso una modalità diversa e in un contesto diverso. Questo tipo di adattamento si è poi concretizzato in diverse forme di intervento. Per esempio, con i bambini in età prescolare in alcuni casi è stato possibile fare interventi in diretta mediati dalla presenza del genitore che seguiva le indicazioni del terapista e svolgeva una serie di attività mirate per il raggiungimento di uno o più obiettivi. In altri casi, data la difficoltà del bambino a stare seduto davanti al computer, è stato più funzionale lavorare in modalità asincrona, ovvero i genitori filmavano una serie di attività, le inviavano al terapista e successivamente ne discutevano insieme in videochiamata. Sempre in modalità asincrona è stato davvero considerevole l’impegno che tutti i terapisti hanno impiegato nella preparazione di materiali comunicativi e ludico/didattici personalizzati e che hanno inviato settimanalmente ad ogni famiglia per offrire ulteriori supporti alla comunicazione e alle proposte di attività condivise da fare con i propri figli.
Con bambini più grandi, invece, i mezzi tecnologici attuali hanno reso possibile vere e proprie sessioni di intervento molto simili a quelle fatte in presenza. Penso, ad esempio, alla possibilità di condivisione dello schermo sul computer o sul tablet: questo ci ha permesso non solo di lavorare in modo efficace con i singoli bambini ma addirittura di fare delle sessioni di coppia o di piccolo gruppo (anche se a distanza), aspetto di fondamentale importanza in un momento in cui le relazioni sociali erano ridotte al minimo.

D. Che tipo di riscontro avete avuto da parte dei pazienti e delle famiglie alle attività a distanza che avete messo a punto?

R. La risposta in termini di partecipazione è stata sicuramente superiore alle aspettative e di questo siamo stati molto contenti. Con la teleabilitazione abbiamo raggiunto il 70% dei nostri pazienti (al momento della chiusura per l’emergenza COVID-19 avevamo circa 200 utenti in carico). Abbiamo avuto difficoltà a realizzare la teleabilitazione soprattutto con le famiglie di origine straniera in cui la barriera linguistica è stata un grosso ostacolo e in quelle situazioni in cui non era possibile per la famiglia trovare il tempo necessario per seguire il progetto. In questi casi abbiamo mantenuto i contatti telefonici settimanali per far sentire comunque la nostra vicinanza e ribadire la nostra disponibilità al supporto. 
Anche da un punto di vista qualitativo gli interventi a distanza si sono rivelati in generale più efficaci di quanto avessimo ipotizzato inizialmente. In primo luogo, abbiamo avuto l’ulteriore conferma che il coinvolgimento diretto dei genitori in determinate attività ludiche e relazionali contribuisce in modo consistente al raggiungimento degli obiettivi individuali, senza tuttavia snaturare il loro ruolo di genitori e senza attribuire loro compiti da terapisti. 
In alcuni casi, inoltre, partecipando come osservatori alle sedute di teleabilitazione, i genitori hanno “scoperto” alcune capacità dei loro figli che nel contesto domestico tendevano a restare più nascoste.
Per quanto riguarda i pazienti, soprattutto per quelli con buone capacità di comunicazione o comunque in grado di partecipare attivamente alle sessioni di terapia a distanza, si sono mostrati molto contenti di poter continuare ad avere una qualche forma di interazione (seppure virtuale) con i terapisti. In una fase in cui ogni routine e ogni attività era stata bruscamente interrotta, questo minimo di continuità ha rappresentato per loro un punto fermo con una figura di riferimento. 

D. Che tipo di feedback le hanno restituito gli operatori del settore rispetto alle attività svolte a distanza? Quanto è diverso il lavoro di un operatore che non ha fisicamente davanti a sé il suo paziente?

R. Per prima cosa mi preme sottolineare la fortuna di lavorare con un gruppo di professionisti non soltanto molto preparato da un punto di vista tecnico, ma soprattutto molto motivato e appassionato. Ogni terapista si è lanciato in questa nuova prospettiva mettendosi in discussione e concentrandosi su ciò che di positivo poteva ottenere dalla situazione piuttosto che sui limiti. Questo atteggiamento ha sicuramente fatto la differenza sia per i pazienti e le loro famiglie sia per i terapisti stessi. Detto questo, è innegabile che sia stato molto faticoso. Basti pensare alla mole di lavoro che ha richiesto la preparazione di ogni singola sessione di teleabilitazione. Mancando la prossimità fisica che a cose normali ci permette di agganciare i pazienti quando perdono l’attenzione attraverso giochi più motori o di contatto, diventava fondamentale trovare materiale altamente motivante per l’intera durata della sessione e cambiarlo ogni volta. 
Dopo tre mesi di interventi a distanza avevamo tutti voglia e necessità di tornare a fare terapie in presenza. Ciononostante, in questa situazione anche noi come terapisti abbiamo “scoperto” cose nuove sui pazienti che abbiamo in carico e che cercheremo di mantenere anche nel lavoro in presenza.  

D. È possibile pensare che alcuni degli accorgimenti e delle soluzioni messe in atto in contesto di emergenza possano sopravvivere anche in futuro?

R. L’esperienza della teleabilitazione ha aperto un orizzonte che sicuramente non si esaurirà con la conclusione dell’emergenza in corso, soprattutto in termini di opportunità. Penso ad una serie di situazioni che si sono presentate anche in tempi passati e in cui adesso questo tipo di risposta può essere data con professionalità ed efficacia. Per esempio, è capitato spesso che le famiglie dei nostri pazienti fossero riluttanti a prendersi un periodo di vacanze prolungato, soprattutto in estate, per il timore di far perdere troppe terapie ai figli. Con la teleabilitazione, invece, riusciamo a dare il supporto e la continuità di cui hanno bisogno, e già adesso alcune di queste famiglie ci hanno comunicato il desiderio di fare vacanze più lunghe se supportate a distanza come durante la fase di lockdown. Lo stesso discorso vale nei casi di lunghe convalescenze asintomatiche (dopo malattie o piccoli interventi chirurgici) in cui la terapia si interrompeva fino al rientro del paziente.  

D. A suo parere, quanto è stato comunicato e quanto è stato recepito dai pazienti del vostro servizio in merito alla COVID-19? 

R. Questo è uno dei punti su cui siamo intervenuti con maggiore tempestività e attenzione. Abbiamo provato a metterci nei panni dei nostri giovani pazienti, soprattutto di quelli che hanno difficoltà di comprensione verbale, e ci siamo chiesti come avrebbero vissuto l’improvvisa interruzione di ogni attività e routine senza un adeguato accompagnamento comunicativo. Anche in questo caso, il giorno stesso della chiusura del servizio, le nostre logopediste, tutte esperte in Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA), hanno realizzato una serie di tabelle in cui spiegavano attraverso simboli e immagini che cosa stava accadendo, cosa si poteva continuare a fare in quella situazione e cosa no, e quali erano le attività alternative da poter fare in casa. Le tabelle sono state inviate ad ogni famiglia e sono state date indicazioni su come utilizzarle e spiegarle ai propri figli. Alle iniziali tabelle generali sono poi seguite comunicazioni personalizzate che rispondessero in modo sempre più adeguato ai singoli pazienti e alle loro famiglie. 
Siamo convinti che questo abbia facilitato quantomeno la comprensione del contesto ed abbia risposto a molte delle domande che i nostri pazienti si sono fatti pur non riuscendo ad esprimerle verbalmente.  

D. Quali sono le prospettive nel prossimo futuro per il vostro servizio? Riuscite a prevedere una tempistica del ritorno alla normalità? 

R. Il servizio ambulatoriale ha ripreso l’attività in presenza dall’8 giugno. Ovviamente abbiamo un rigido protocollo di norme da rispettare per garantire la prevenzione del contagio che non ci permette di ripristinare lo stesso flusso di frequenza di trattamenti che facevamo prima della chiusura. Attualmente, quindi, in molti casi stiamo alternando le terapie in presenza alla teleabilitazione. 
Al momento della riapertura avevamo molte perplessità sull’utilizzo dei DPI, soprattutto rispetto alle reazioni che i pazienti avrebbero avuto vedendoci con camice monouso, mascherina, visiera e guanti. Invece i nostri pazienti ci hanno sorpreso ancora una volta perché non hanno manifestato reazioni avverse, anzi, erano tutti molto felici di rientrare. 
È difficile ipotizzare quando tutto tornerà alla normalità, noi ovviamente ci auguriamo il prima possibile, tuttavia immaginiamo che dovremo aspettare l’inizio dell’autunno per osservare l’andamento epidemiologico e una eventuale ripresa dei contagi. Qualora dovesse succedere, siamo certamente più preparati per affrontare un nuovo periodo di interruzione delle terapie in presenza.