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numero 26 - aprile 2015

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Intervista a Mario Magnani

Intervista a Mario Magnani

Il Dott. Mario Magnani svolge attività di consulenza, ricerca e intervento per aziende del settore pubblico e privato, occupandosi prevalentemente di selezione del personale. A lui abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa circa la percezione del ruolo di assessor da parte di chi, a vario titolo, è coinvolto nel processo di selezione, le richieste più frequenti, la tipologia di strumenti e procedure utilizzate, nonché le difficoltà che quotidianamente può incontrare nello svolgimento della sua professione. 

D. Nella sua esperienza, in quali contesti e con quali motivazioni viene più frequentemente richiesto un assessment?

R. Generalmente è un processo largamente diffuso in aziende medio-grandi o multinazionali, ma l’ho introdotto anche in micro e piccole imprese con ottimi risultati.
È  una metodologia ottimale per i processi volume, quando un’azienda ha più posizioni aperte e molti candidati da vedere. È utile soprattutto perché consente confronti diretti tra i comportamenti e le caratteristiche dei candidati, anche all’interno della stessa aula.
Quelli più impegnativi sono quelli di sviluppo. Spesso le aziende hanno già il candidato ideale in testa per un possibile avanzamento e chiedono conferma a un occhio esperto prima della scelta. Mi è capitato di stravolgere le loro scelte e la restituzione alla committenza in quei casi è stata molto delicata.

D. Come variano le metodologie di assessment impiegate nella selezione del personale rispetto alla valutazione del potenziale o comunque in momenti diversi rispetto a quello di ingresso nell’azienda?

R. Più che nello svolgimento dell’assessment vero e proprio, l’impostazione del lavoro cambia a monte e a valle del processo di valutazione. In caso di valutazione del potenziale, o development center, particolare attenzione deve essere posta alla lettura iniziale del contesto di riferimento, raccogliendo elementi sulla cultura aziendale, su dove operano le risorse da inserire e su quali sono le aspettative e le dinamiche interne. Altro fattore importante è il tempo dedicato alla restituzione del feedback a ciascun candidato, fase generalmente prevista solo nei percorsi di sviluppo.

D. Quale tipologia di strumenti di assessment utilizza con maggiore frequenza?

R. La mia batteria “ideale” comprende generalmente un esercizio “ice breaking” di presentazione dei candidati, un test attitudinale, una prova di gruppo, un questionario di personalità e un colloquio di approfondimento. Posso inserire più prove di gruppo o più attitudinali, così come esercitazioni in-basket o in-tray, ma la scelta è sempre determinata dal modello di competenze da valutare.

D. Dal momento che opera come consulente esterno, le è mai capitato che la committenza richieda necessariamente la misurazione di un determinato costrutto? O l’utilizzo di un particolare strumento?

R. La definizione preliminare del modello di competenze da indagare è parte fondante di ciascun percorso di valutazione. Quindi i costrutti da indagare sono sempre concordati con il committente sulla base delle sue esigenze e di cosa prevede il ruolo in oggetto. Capita talvolta che la committenza si affezioni a certi strumenti e ne richieda l’utilizzo per poter effettuare confronti con valutazioni passate. Purtroppo talvolta ho visto utilizzare anche strumenti che di scientificità ne hanno ben poca. In questo caso bisogna “educare” il cliente su validità e attendibilità di uno strumento.

D. Un buon assessment center quanto dovrebbe durare, secondo lei? E quali variabili dovrebbero essere indagate?

R. Progettare un assessment è una questione di equilibrio tra più fattori: la quantità di informazioni che voglio ricavare, il numero di candidati che devo valutare, il numero di assessor presenti. Sulla base di questi fattori è possibile progettare assessment da mezza giornata così come da due giornate, assicurandosi l’utilizzo di metodi e strumenti che diano indicazioni su aspetti cognitivi, operativi e relazionali di ciascun candidato.

D. Nelle procedure di assessment, preferisce somministrare i test in presenza del candidato o a distanza attraverso internet?

R. È bene considerare sempre le condizioni di somministrazione di un test, esplicitando le finalità del percorso di valutazione. La questione del cheating, ossia che in candidato cerchi di imbrogliare nelle risposte soprattutto nei test attitudinali facendosi magari aiutare da altri, è un problema prevalentemente italiano. Sono a conoscenza purtroppo di candidati che cercano di acquistare i test per esercitarsi a casa e per trarne vantaggio durante le prove.
In linea di massima i test di massima performance cerco di somministrarli in presenza, mentre questionari di personalità o motivazionali posso distribuirli attraverso internet nelle fasi di pre-work. Sempre più frequentemente prevedo l’utilizzo di PC o tablet in aula per accorciare i tempi di scoring successivi e quindi abbandonare definitivamente i test cartacei.

D. Secondo lei, le aziende pubbliche dovrebbero in qualche modo ispirarsi alle aziende private nel fare assessment?

R. Questo è un passaggio culturale lento e delicato. Il settore pubblico è ancora troppo legato esclusivamente a conoscenze e competenze tecniche e in fase di selezione, ossia nei concorsi pubblici. È attento a munirsi di strumenti prevalentemente quantitativi per poter stabilire una chiara graduatoria dei candidati. In azienda la valutazione di aspetti relazionali, motivazionali o di personalità, quindi più qualitativi, è maggiormente consolidata. Il “sapere” tecnico è spesso messo in secondo piano e si pone sempre più l’accento al “saper essere”, centrando quindi la valutazione su aspetti difficilmente valutabili in modo strettamente quantitativo.

D. Quando decide di acquistare un test per effettuare un assessment, quali caratteristiche prende in esame nella scelta? Il report, la definizione del costrutto, le proprietà psicometriche, la durata, la modalità di somministrazione… ?

R. Cerco sempre di leggere un manuale prima dell’acquisto di un test e presto particolare attenzione alle proprietà metriche e al campione normativo. Anche il tempo di somministrazione influisce sulla scelta e, considerando questo aspetto, tutti i test basati sull’Item Response Theory e quindi adattivi riescono a rendere più efficiente la valutazione. Non ultima per importanza è l’intelligibilità del report. Nel creare il profilo del candidato, più informazioni offre il report e più facile sarà la sintesi dei punti di forza e delle aree di miglioramento.

D. Quali sono le principali difficoltà che incontra durante la sua attività di assessor?

R. Sicuramente non aiutano gli stereotipi che aleggiano attorno agli assessment center, soprattutto su internet. Si pensa che gli assessment center servano per valutare la “leadership”, come se ci fosse un modello unico di leadership ideale e senza contare che può essere solo una delle n competenze richieste per un ruolo. Così le persone talvolta indossano delle “maschere” che rendono più difficile valutare le reali caratteristiche di un candidato. È un meccanismo di difesa comprensibile dal momento la valutazione richiama una connotazione generalmente negativa, specialmente nella nostra cultura. Come suggerisco sempre nella presentazione della giornata: siate voi stessi senza fingervi qualcun altro, perché un buon assessor se ne sa accorgere, ma soprattutto perché non conoscete le caratteristiche che stiamo cercando.