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numero 74 - febbraio 2020

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L'intervista

Intervista a Marco Armellini

Intervista a Marco Armellini

Marco Armellini ha una grande esperienza nell’ambito dei disturbi dello spettro autistico, sia in riferimento alla diagnosi che al trattamento. È un esperto conoscitore di alcuni programmi di intervento che vedono il coinvolgimento della famiglia e di altri partner sociali nella promozione di competenze nei bambini con autismo come l’Early Start Denver Model (ESDM), il Pediatric Autism Communication Therapy (PACT) e il Social Communication Emotional Regulation Transactional Support (SCERTS). Ha promosso la diffusione di questi programmi sul territorio nazionale attraverso iniziative di formazione e ne ha fatto esperienza diretta. Con lui abbiamo voluto fare il punto sull’intervento nell’ambito dei disturbi dello spettro dell’autismo, attraverso, ma non solo, una panoramica e un confronto tra questi tre approcci.  

D. Negli ultimi dieci anni, nel campo del trattamento dell’autismo nell’infanzia si è sempre più consolidato il ruolo attivo della famiglia, in un’ottica di “collaborazione terapeutica” con il professionista che prende il carico il bambino. Come è stata maturata questa posizione?

R. Ci sono molti fattori che hanno concorso a questa posizione. In primo luogo, la ricerca (e l’esperienza diretta dei familiari) hanno dimostrato che il funzionamento delle persone con autismo (dal punto di vista della comunicazione sociale, della regolazione e della partecipazione) è in genere molto migliore nel contesto familiare che a scuola o nella comunità. In secondo luogo, gli studiosi ‒ come David Oppenheim o Jessica Mayer ‒ che hanno indagato la qualità dell’attaccamento nell’autismo, hanno dimostrato che la qualità dell’attaccamento non dipende dalla gravità dell’autismo, e che nelle persone con autismo si riscontra la stessa proporzione di attaccamento sicuro, insicuro e patologico che si incontra nello sviluppo tipico; d’altra parte, la qualità dell’attaccamento è correlata positivamente alla qualità del gioco, alla risposta all’intervento riabilitativo, alla qualità della vita. In terzo luogo, è stato dimostrato da molti studi dell’ultimo decennio che la risposta al trattamento riabilitativo, in termini di riduzione della gravità dei sintomi nucleari, è maggiore quando i genitori sono presenti attivamente nelle sedute. Anche i pari, i compagni di asilo, di scuola, gli amici, sono molto efficaci nel promuovere il cambiamento delle dimensioni centrali dell’autismo. In generale, ci sono evidenze solide che i partner sociali (e, ovviamente i familiari sono i partner più efficaci) possono fare molto per cambiare in senso positivo, a lungo termine, le traiettorie di sviluppo dei bambini, adolescenti e adulti con autismo.

D. L’idea di puntare alla precocità dell’intervento, anche nell’attesa di una vera e propria diagnosi clinica, appare predominante nel campo dell’autismo, ma in generale della psicopatologia dell’età evolutiva. Come mai, in passato, l’attività clinica sull’autismo si avviava in età più avanzata?

R. I disturbi dello spettro autistico sono un insieme eterogeneo di alterazioni del neurosviluppo per i quali non disponiamo di markers biologici e fisiologici attendibili. Pertanto, quanto prima si possono riconoscere i segni comportamentali del disturbo, tanto prima potremo cominciare un intervento abilitativo diretto e indiretto. Da qui la battaglia, iniziata circa venti anni fa, per anticipare l’età della diagnosi al di sotto dei tre anni. Eric Fonbonne dimostrò, nel 2005, che tra i sospetti dei genitori e la conferma da parte dei professionisti passavano in media nove mesi. Per molti anni la diagnosi (o la comunicazione della diagnosi) di disturbo autistico è stata ritardata pensando di “proteggere” i genitori da una prognosi considerata infausta. Lo stesso concetto di disturbo dello spettro autistico è stato messo in dubbio a lungo. Dai primi anni 2000 sono stati proposti molti strumenti di screening, che hanno dato risultati poco soddisfacenti. L’approccio più efficace si è dimostrato quello della sorveglianza dello sviluppo, che mantiene l’attenzione ai segnali di disturbo dai primi mesi di vita in poi. La sorveglianza deve coinvolgere i pediatri di famiglia, il personale dei nidi e delle scuole dell’infanzia, e la popolazione generale: in Australia, ad esempio, è stata realizzata ASKDetect, un’app che aiuta i genitori a verificare i propri sospetti e a trovare Servizi competenti. La Regione Toscana ha iniziato nel 2009 un’azione sistematica per l’individuazione precoce, chiedendo a tutti i pediatri di famiglia di inserire ni bilanci di salute del 12° e 18° mese degli item di sorveglianza, e creando un canale di contatto facilitato con gruppi multiprofessionali per l’autismo dei Servizi di Salute Mentale Infanzia e Adolescenza. Oggi, la diagnosi avviene in un terzo dei casi prima dei due anni, e in due terzi proprio grazie alla consapevolezza dei genitori.  

D. Negli anni programmi come l’Early Start Denver Model (ESDM), il Pediatric Autism Communication Therapy (PACT) e il Social Communication Emotional Regulation Transactional Support (SCERTS) hanno acquistato notorietà e seguito, prima all’estero e poi progressivamente anche in Italia. Lei che li conosce tutti e tre, ci può delineare le principali caratteristiche di ognuno?

D. L’ESDM è stato sviluppato da Sally Rogers e Geraldine Dawson come strumento manualizzato e sistematico di intervento precoce sui disturbi dello spettro autistico. In un’epoca in cui c’era una feroce diatriba tra sostenitori di un intervento basato sullo sviluppo e sostenitori dell’intervento basato sull’analisi applicata del comportamento,  Rogers e Dawson scelsero di unire i due approcci, fino ad allora apparentemente incompatibili, per creare un curriculum abilitativo basato sulla sequenza evolutiva dello sviluppo tipico, che usasse al tempo stesso strumenti educativi comportamentali, per sostenere l’acquisizione dell’attenzione condivisa, della risposta alle proposte comunicative, dell’iniziativa comunicativa, attraverso una metodologia dotata di una dettagliata manualizzazione, che si basava su accurati studi di validità e replicabilità. L’efficacia dell’ESDM è stata studiata con rigore attraverso studi caso-controllo di grandi dimensioni e la sua metodologia è stata modificata e adattata ai bambini di età inferiore a un anno, ai gruppi, all’intervento mediato dai genitori e all’intervento nella scuola con i gruppi di pari.  La forza dell’ESDM è la relativa facilità con cui può essere trasferito a genitori ed educatori, trasmettendo loro competenze e promuovendo la loro capacità di utilizzare il legame di fiducia che hanno con il bambino per amplificare le sue iniziative comunicative e le sue abilità di cognizione sociale. L’esperienza di questo decennio nelle scuole di Prato ci ha confermato la potenza di questo strumento, spingendoci a generalizzare l’intervento a tutti i bambini con diagnosi di disturbo autistico.

D. Le indicazioni previste dall’Early Start Denver Model possono essere proposte già a bambini molto piccoli. Qual è in genere il feedback dei genitori a cui si chiede di attivarsi e di confrontarsi con la possibilità di una diagnosi che indubbiamente spaventa?

R. I genitori vogliono prima di tutto conoscere, e vogliono capire che cosa succede alla loro bambina o al loro bambino; nell’epoca della Rete succede spesso che i genitori abbiano studiato molto, prima ancora di rivolgersi a uno specialista, pongono domande precise e pretendono giustamente risposte precise. Quando i genitori trovano un approccio coerente, in cui possono giocare una parte da protagonisti, anche se sono spaventati dalla diagnosi, sono anche rassicurati dal fatto di poter svolgere un ruolo attivo e di primo piano per aiutare il loro bambino. L’ESDM usa un linguaggio accessibile a tutti, parla di quello che i genitori vedono ogni giorno e offre una prospettiva comprensibile del percorso da fare.

D. Uno degli elementi caratteristici del programma PACT è il video feedback. Quanto è immediato per un genitore comprendere e modificare il proprio comportamento osservandolo a posteriori, grazie alla registrazione video?

R. La ripresa video di momenti di interazione nella vita familiare non sembra, in apparenza, particolarmente complessa. Quando vediamo delle clip di filmati naturali, realizzati dai genitori per ricordare un momento della vita dei figli, non teniamo conto che c’è uno di loro che sta riprendendo. Nel caso del video-feedback che usiamo nel PACT, dobbiamo aiutare i genitori a imparare a fare dei video senza operatore, perché in nessuna situazione davvero naturale c’è qualcuno riprende. Bisogna quindi imparare a predisporre un setting di ripresa senza operatore, a scegliere un angolo di inquadratura che permetta di includere i soggetti e le attività in modo tale da osservare i dettagli dell’interazione, a disporre gli oggetti in modo da comprendere nel video quanto più possibile; poi c’è da selezionare le clips, organizzare il filmato e prepararlo per la seduta con il terapista. Questo lavoro, secondo me, rappresenta già, di per sé, un grande impegno, che si impara progressivamente e costringe a riflettere sul materiale già prima di incontrare il terapista. Il lavoro di quest’ultimo consiste nel misurare gli aspetti salienti dell’interazione e a rafforzare questo sforzo osservativo, appoggiandosi anche su misure precise dei comportamenti osservabili. La prima seduta di video-feedback, quindi, richiede un grande lavoro preparatorio.

D. Come è costruito il modello di assessment alla base del programma SCERTS? Quali competenze e abilità vengono valutate?

R. Il modello di assessment è uno dei punti di forza e la stessa base dello SCERTS. La valutazione è preliminare alla stesura del progetto educativo e si basa su un’osservazione strutturata dei punti forza e di debolezza della persona con autismo nei diversi contesti naturali in cui si trova incluso, in modo da evidenziare con estremo dettaglio le capacità di Comunicazione Sociale, di auto e co-Regolazione Emotiva, e la qualità e quantità dei Sostegni Transazionali, sia in termini interpersonali che di occasioni di apprendimento (l’acronimo SCERTS sta infatti per Comunicazione Sociale, Regolazione Emotiva e Sostegno Transazionale). Dato che abilità e disabilità dei bambini e in genere delle persone con autismo variano in maniera considerevole a seconda dei partner e dei contesti, l’assessment dello SCERTS ha lo scopo di disegnare nella maniera più accurata possibile il profilo delle forze e dei bisogni in modo da includere anche tutta la variabilità. Vengono quindi inclusi nella valutazione i contributi dei diversi partner sociali (i familiari, gli educatori, i pari). È un processo in continua evoluzione, che deve essere aggiornato sulla base del processo di intervento. Oltre all’osservazione nei contesti naturali, si basa sulla rilevazione di alcuni specifici comportamenti, su interviste e questionari, e su valutazioni semistrutturate. Il profilo ottenuto, confrontato nel tempo, fornisce, oltre a una guida per la costruzione dell’intervento, una misura dell’esito. Questo ha permesso di ottenere una elevata qualità di ricerca negli studi sull’evidenza del metodo.

D. Il focus del trattamento dell’autismo in età evolutiva sembra dunque essere la promozione delle abilità sociali e comunicative. È un’affermazione corretta? A questi aspetti si affiancano altri obiettivi terapeutici?

R. Il disturbo autistico è un costrutto che ci serve a descrivere situazioni molto diverse per modalità di esordio, traiettorie di sviluppo e peso relativo dei cosiddetti “nuclei sintomatici centrali”, ovvero il disturbo della comunicazione sociale e la ripetitività e restrizione degli interessi, accompagnati molto spesso da un disturbo dell’elaborazione sensoriale e da un funzionamento cognitivo che assume spesso caratteristiche del tutto peculiari, anche quando non c’è una disabilità intellettiva vera e propria, o non è particolarmente grave. Lo sviluppo di competenze comunicative sociali e di cognizione sociale sono sicuramente alla base della maggior parte degli interventi. D’altra parte, il bambino e in genere la persona con autismo può sviluppare (più o meno lentamente) competenze in questa dimensione, ma è altrettanto importante sostenere la regolazione emotiva (come auto e co-regolazione), che è la capacità di sostenere le sfide percettive, cognitive, comunicative che pone il contesto sociale; la regolazione è la condizione che permette, ad esempio, il successo del processo di inclusione scolastica. Gli interventi come SCERTS, PACT e, in diversa misura, l’ESDM hanno inoltre come obiettivo fondamentale quello di promuovere le capacità di sostegno dei partner sociali naturali e di farne crescere progressivamente l’efficacia.

D. Che cosa assicura che i genitori, che non hanno una specifica formazione clinica, possano essere affidabili e competenti nel trattamento domiciliare?

R. Il trattamento mediato dai genitori (e in genere dai partner sociali più significativi come i pari e gli insegnanti) può assumere due forme: nella prima, che definirei asimmetrica (la forma tradizionale del parent training), l’esperto fornisce al genitore degli esercizi da proporre al bambino, e si misura l’abilità del genitore sulla base della sua fedeltà alla consegna; nella seconda, più “simmetrica”, invece, si investe sulla motivazione del genitore, che è maggiore di qualsiasi altro partner sociale del bambino, e a cui corrisponde una motivazione altrettanto potente del bambino, dovuta al suo legame di attaccamento, per osservare insieme, misurare insieme, studiare insieme attività, posizioni, ritmi, tempi, in modo da amplificare le capacità di entrambi di comunicare, regolarsi, collaborare, e sostenere quindi al genitore nel ruolo di guida che gli compete. In altri termini, si tratta di potenziare il ruolo di partner sociale competente del genitore. Le due “forme” non sono necessariamente in contrapposizione, ma possono armonizzarsi quando il terapista mette a disposizione del genitore le sue competenze tecniche.