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numero 45 - marzo 2017

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L'intervista

Intervista a Laura Artusio

Intervista a Laura Artusio

Cos’è e come funziona uno spin-off, e – soprattutto – è possibile uno spin-off, cioè un’attività imprenditoriale che dev’essere innovativa e ancorata all’evidenza empirica, avere come mission tematiche psicologiche? PER Lab è proprio questo: uno spin-off dell’Università di Firenze – in partnership con lo Yale Center for Emotional Intelligence. Fondato nel 2013, mira alla promozione del benessere e della performance di individui e organizzazioni, attraverso strumenti e metodologie evidence-based, volte alla misurazione e allo sviluppo delle abilità dell’intelligenza emotiva nei diversi ambiti: lavoro, sport, salute e scuola. Ne parliamo con Laura Artusio, che ne è la fondatrice.

D. Dopo un percorso di dottorato di ricerca europeo svolto presso l’Università di Firenze, ha deciso di intraprendere una propria attività imprenditoriale, pur restando nell’alveo universitario, e si è avvalsa dell’istituto dello spin-off: com’è nata l’idea di PER Lab, e perché ha scelto questa strada?

R. Nel 2009 mi sono recata a Yale per la prima volta per proporre all’autore che aveva avviato nel mondo la ricerca sull’intelligenza emotiva, il prof. Peter Salovey (all’epoca Rettore di Yale, oggi 23° Presidente) di instaurare una partnership per diffondere in Italia le loro metodologie: così è nato il mio progetto di dottorato. A quell’epoca ero stata l’unica italiana ad aver visitato il loro laboratorio, mi ritenevo molto fortunata e sentivo il desiderio, ma anche il dovere, di diffondere quanto più possibile ciò che avevo appreso negli USA. Nel 2012 ho dunque promosso l’organizzazione di un convegno sull’intelligenza emotiva a Firenze e l’evento ha suscitato un interesse straordinario, anche nei media. Dopo tale iniziativa sono emerse numerose richieste di intervento e ho capito che non potevo e non volevo più farvi fronte da sola, era necessario creare un team.

Lavoravo come impiegata, ma iniziai a orientarmi verso la creazione di uno spin-off. Molti ricercatori mi criticavano perché la consideravano una contaminazione rispetto alla “ricerca pura”, ma per me rappresentava la soluzione ideale, esprimeva perfettamente lo spirito della ricerca applicata che avevo respirato a Yale e che desideravo svolgere: tradurre in azione sul territorio i risultati della ricerca scientifica.

D. Qual è l’oggetto societario di PER Lab e come si integra nei fini di ricerca e formazione proprie dell’Università? 

R. PER Lab svolge consulenza e formazione in ambito psicologico, sviluppa strumenti (questionari, dispositivi tecnologici, ecc.) e metodologie (quali RULER Social Emotional Learning, PERWORK, PERHEALTH, PERLART e PERSPORT) volte a promuovere il benessere individuale e di gruppo in diversi contesti.
Un approccio scientifico come quello dello spin-off ha un grande valore per le organizzazioni, permette loro di poter selezionare interventi che hanno dimostrato la propria efficacia con dati oggettivi, oltre a poterne verificare i risultati essi stessi. Al tempo stesso il confronto con il territorio permette l’aggiornamento costante di modelli, strumenti e metodologie di intervento. Il metodo di Educazione Emozionale RULER, ad esempio, nasce proprio dalla ricerca scientifica su come le emozioni influenzino i processi di pensiero (in particolare: attenzione, concentrazione, memoria e apprendimento) unita all’esperienze degli insegnanti.

D. Qual è stato il ruolo dell’Università nella start-up di PER Lab? Che vantaggi comporta avere un ateneo come partner, e quali vincoli o freni?

R. L’Università di Firenze (Unifi), in particolare CsaVRI [Centro di Servizi di Ateneo per la Valorizzazione della Ricerca e la gestione dell'Incubatore universitario, NdR], ha rivestito un ruolo fondamentale per la nostra
start-up, mettendoci a disposizione “una palestra”, l’Incubatore, che ci ha permesso di trasformare l’idea di una studentessa in un’impresa. Il periodo di incubazione è stato molto utile, anche se ottenere il riconoscimento spin-off è stato piuttosto difficile e ha richiesto molto tempo. Nel nostro caso l’Università ha “approvato lo spin-off”, ma non ne detiene delle quote. Ad oggi, in generale, direi che i vantaggi sono di gran lunga superiori rispetto ai vincoli. Alcune aziende possono avvertire una sorta di “pregiudizio” nei confronti del mondo accademico, temono che il nostro intervento possa essere troppo teorico, ma quando esplicitiamo il fatto di essere noi stessi un’impresa, allora ne ravvedono soprattutto i punti di forza.
Il prestigioso “Re Salomone”, logo dell’Università di Firenze, è di fatto una certificazione di qualità e di serietà; significa che ciò che proponiamo come spin-off è frutto della ricerca scientifica e questo ha un valore significativo per chi si trova a scegliere a chi affidare un intervento.

D. In fase di start-up, vi sarete sicuramente dovuti confrontare con delle difficoltà: amministrative, gestionali o commerciali. Come è stato l’avvio?

R. L’avvio è stato abbastanza difficile, ad essere sincera. Provavo molta rabbia e frustrazione all’inizio quando vedevo che altri competitor ci stavano copiando, o che alcune figure molto più solide della nostra facevano di tutto per ostacolarci, ma poi pensavo che fosse comunque un buon segno, significava che stavamo facendo qualcosa di importante, e finivano per avere l’effetto contrario, mi motivavano ad andare avanti.
I primi anni lavoravo ancora come impiegata e di fatto potevo dedicarmi allo spin-off solo nel tempo libero ed ero una psicologa priva di una specifica formazione come imprenditrice. Non avevo dubbi sulla qualità e sull’importanza degli interventi che stavamo proponendo e vedevo che negli USA il metodo di Yale stava ottenendo un riscontro straordinario (migliaia di organizzazioni e di scuole lo stavano applicando con soddisfazione e anche personaggi del mondo dello spettacolo, come Lady Gaga, ne erano promotori!), e non di rado ciò che ha successo negli USA trova terreno fertile anche in Italia; tuttavia non ero sicura che il mercato italiano fosse davvero pronto a recepire quest’innovazione. Mi sembrava di giocare alla “piccola imprenditrice”, provavo a cercare partner come case editrici e fondazioni, ma di fatto questi primi tentativi non si sono consolidati. Decisi di investire i miei risparmi personali per pagare le persone che collaboravano al progetto e per coprire i costi delle attività. Adattate le metodologie al contesto italiano, è stato possibile proporsi sul territorio con dei dati in mano e lì è iniziato un circolo virtuoso, che si è autoalimentato principalmente grazie alla soddisfazione delle organizzazioni e delle scuole che hanno applicato i nostri interventi. Perfino le scuole pubbliche, che sembravano rappresentare la parte debole del nostro business plan, si sono organizzate per trovare fondi e acquistare il metodo di Educazione Emozionale RULER. Ad oggi non abbiamo ancora una figura commerciale attiva, perché in questo momento la richiesta d’intervento è superiore alla nostra possibilità di farvi fronte e abbiamo bisogno di rafforzare il nostro team, per garantire gli standard di qualità che ci siamo prefissati.

R. Quali sono state, fino ad oggi, le soddisfazioni maggiori? 

D. La svolta è avvenuta quando US Air Force ha creduto nell’idea progettuale e ha deciso di avviare una ricerca con noi in Italia sull’applicazione dell’intelligenza emotiva in ambito aeronautico (Human Factor). Era un momento molto difficile per il nostro team, continuavamo a lavorare con impegno ma ancora le soddisfazioni non erano arrivate e nonostante il grande entusiasmo iniziale, molti membri del gruppo PER Lab iniziarono ad andarsene. Inviai il progetto a US Air Force e una loro delegazione venne a Roma per incontrarmi. L’idea è stata considerata molto innovativa e di grande impatto, definita “il pezzo di puzzle mancante per promuovere safety e performance in aviazione”, è stato un grande giorno. Anche in Italia abbiamo avuto soddisfazioni importanti. Lancôme, per esempio, è diventata nostro partner contribuendo alla diffusione di RULER nelle scuole e applicando il nostro metodo sull’intelligenza emotiva a tutto il top management.
Un’azienda di alta moda italiana, tra le più conosciute a livello internazionale, ha definito la nostra formazione “la più efficace e interessante effettuata negli ultimi dieci anni” estendendola a tutti suoi dipendenti.  Più che clienti, cerchiamo partner, e un’altra soddisfazione è stata quindi ricambiare la fiducia di tale azienda, vincendo un Bando della Regione Toscana in partnership con Confindustria Firenze (Co.Se.Fi.), che supporterà le loro attività future. Anche in ambito sportivo abbiamo avuto belle soddisfazioni, in particolare una nuotatrice che, applicando il nostro metodo, ha migliorato il suo record di 1 secondo sui 100 metri stile libero! Le scuole pubbliche sono state comunque la sorpresa più grande; i disegni, i temi e i racconti di centinaia di studenti che stanno applicando i nostri strumenti, che ci dicono di litigare “meno e meglio” e di aver imparato strategie efficaci per gestire la paura prima della verifica, ci donano ogni giorno motivazione e ispirazione. In ambito artistico-creativo, è la musica l’area nella quale si stanno applicando maggiormente i nostri strumenti per favorire la creatività, ad opera del Maestro Andrea Portera, che oltre a essere mio marito, è un compositore di musica classica colta contemporanea. Con Andrea abbiamo composto un’opera lirica buffa “Risus abundat in ore… hilariorum!” sulla nascita del concetto dell’intelligenza emotiva e di una nuova cultura dove le emozioni non sono “sintomo di debolezza o di scarsa intelligenza”; la prima esecuzione è stata un’esperienza magnifica per noi. Infine, il Peter Salovey, Presidente di Yale, ed io abbiamo firmato un Manifesto culturale, lo scorso 10 giugno al Bargello, che sintetizzava la nostra mission, come team di Yale e di Firenze: è stato un grande onore, un momento storico per il nostro spin-off.

D. Come si organizza uno spin-off di questo tipo? Quante sono le persone che oggi ci lavorano e che provenienza hanno?

R. Il nostro team è composto da sette persone, principalmente dottori di ricerca, psicoterapeuti e psicologi,  ma abbiamo anche un architetto, un commercialista e un compositore di musica classica contemporanea.
Di recente una studentessa di Yale ha concluso un periodo di visiting presso PER Lab, ma la maggior parte di noi proviene dall’Università di Firenze, persone appassionate di ricerca scientifica e di psicologia applicata. Lo spin-off è una realtà dinamica che richiede un atteggiamento molto propositivo, flessibile, oltre a un desiderio di aggiornamento continuo. Il nostro “Contratto dell’Intelligenza Emotiva” vede come parole chiave: “determinazione appassionata; fiducia; rispetto; libertà/responsabilità; meritocrazia; organizzazione; spirito di squadra e chiarezza”, questo è il clima che intendiamo favorire in PER Lab.
Il nostro “organigramma” è circolare, ci sono “anelli di coordinamento”, ma non sono vere e proprie gerarchie, cerchiamo di favorire il lavoro per obiettivi ma soprattutto di divertirci mentre lavoriamo.
A livello di organizzazione c’è ancora molto da fare, ma arrivare a creare l’equilibrio di oggi ha richiesto molto impegno; all’inizio l’aver impostato un team senza gerarchie, con una leadership molto partecipata ha creato confusione e forse un po’ di ansia nel gruppo. Il mio socio, l’architetto Filippo Terzaghi, appassionato di vela, continuava a ripetermi che la condivisione è molto bella, ma di non dimenticare l’importanza del ruolo del capitano della barca, per affrontare le onde dell’imprenditoria! I suoi suggerimenti sono sempre stati molto preziosi. Ad oggi condivido il coordinamento del team e delle attività con la mia collega e amica dott.ssa Silvia Guarnieri, che ha profuso un impegno straordinario per l’avvio della start-up, anche quando la nostra realtà era molto più difficile e meno gratificante.

D. Quali sono gli ingredienti per far crescere uno spin-off?

R. Credo che sia fondamentale lavorare ogni giorno sul significato che diamo a ogni nostro progetto, al tempo speso in PER Lab, come ben espresso dalle parole di Viktor Frankl: “chi ha un perché può sopportare qualsiasi come”. Integrare l’Educazione Emozionale nel sistema scolastico italiano, per prevenire molte delle notizie che leggiamo ogni giorno sui giornali, per esempio, va ben al di là del voler far business o del cercare un posto di lavoro. I membri del team PER Lab si sentono parte di questo processo, di un’“Emotion Revolution” che sta avendo luogo in Italia ma anche all’estero e che sta avendo un impatto su migliaia di persone.
Oltre a partire da un’idea nella quale si crede davvero, ciò che permette a uno spin-off di crescere è la scelta delle persone giuste. La selezione del personale, in generale, è di fondamentale importanza per un’organizzazione, a maggior ragione per una piccola start-up come la nostra. Per noi è fondamentale che le persone siano appassionate e intrinsecamente motivate; aggiornate e competenti; con buone abilità di gestione delle emozioni e soprattutto con un’etica molto elevata. Per coordinarci, al mattino facciamo un breve briefing sugli obiettivi della giornata e oltre a condividere il nostro stato emozionale, pratichiamo qualche breve strategia per facilitare la concentrazione, come le tecniche di respirazione o la meditazione, pochi minuti ben investiti a mio avviso. A livello di attività, un ingrediente importante credo resti la differenziazione del rischio: lavoriamo attraverso bandi, ma facciamo anche consulenze e formazione, sia in Italia che all’estero, con diverse tipologie di clienti, con l’obiettivo di rendere il più possibile scalabili i nostri interventi e favorire la creazione di prodotti innovativi. Un ultimo ingrediente rilevante, a mio avviso, è l’importanza di una prospettiva a lungo termine. Il nostro metodo, per esempio, prevede “la formazione dei formatori” all’interno delle organizzazioni nella quale lavoriamo; molti considerano poco saggio quest’approccio, ma il nostro obiettivo è favorire l’autonomia dei nostri clienti e non creare una “dipendenza” tra loro e il nostro spin-off. Credo sia più in linea con il ruolo e l’approccio metodologico che dovrebbe avere lo psicologo e che nel lungo periodo porti anche a maggiori soddisfazioni economiche, essendo l’unico modo per poter lavorare con numerose organizzazioni. Non a caso il nostro logo, la libellula, oltre a simboleggiare le cinque abilità dell’Intelligenza emotiva (percezione, comprensione, espressione, gestione e valorizzazione delle emozioni), intende evocare valori come libertà, equilibrio e leggerezza.

D. Parliamo di Intelligenza Emotiva, che è nel core di PER Lab: rispetto a qualche anno fa, riscontra per quest’approccio una diffidenza minore nel mondo aziendale? Cos’è cambiato?

R. Quando nel 2012 dissi di voler fondare un’impresa centrata sull’intelligenza emotiva, l’Italia si trovava in piena crisi economica e la maggior parte delle persone riteneva che quest’idea fosse romantica, naïf e poco concreta: “le scuole si sa, hanno difficoltà perfino ad acquistare i materiali di base e le organizzazioni hanno bisogno di strumenti più concreti!”. Devo dire che all’inizio l’impatto con le aziende è stato piuttosto frustrante, ma continuavo a ripetermi: “se tutti ne vedessero già il valore non sarebbe un intervento innovativo, è normale che sia così!”. Non ho mai perso la mia motivazione e convinzione rispetto all’importanza delle metodologie che stavamo proponendo, ma c’è voluto diverso tempo per vedere un cambiamento di apertura nei confronti di questa tematica e anche noi abbiamo lavorato molto su come presentare i nostri prodotti in maniera più efficace. Il progetto in ambito aeronautico militare credo ci abbia aiutato molto a ridurre i “pregiudizi” nei confronti delle nostre metodologie (il fatto che venissero dagli USA, che le emozioni sono considerate storicamente elementi più femminili o infantili, “sintomi” di debolezza e scarsa razionalità). L’aviazione è un ambiente altamente performante, per un pilota un panico non gestito efficacemente può voler dire non essere in grado di applicare una procedura, mettere a rischio la vita delle persone, distruggere macchine che valgono milioni di euro;  applicare l’intelligenza emotiva in questi ambienti ha a che fare con la sopravvivenza, più che con la “gentilezza” e se ne coglie l’essenza in maniera più immediata rispetto ad altri contesti. Un altro elemento che ci ha aiutato molto a entrare nelle organizzazioni è stato il poter collocare le nostre attività nell’ambito della sicurezza nei luoghi di lavoro. Le aziende possono così effettuare adempimenti obbligatori e al tempo stesso attivare un percorso di impatto per la promozione del benessere e dell’efficacia.

I dipendenti che partecipano ai nostri interventi, arrivano spesso in aula “demotivati per l’ennesimo corso obbligatorio sulla sicurezza”, ma successivamente si stupiscono dell’utilità e della concretezza degli strumenti proposti, maturando un senso di profonda gratitudine nei confronti dell’azienda che permette loro un’opportunità di crescita professionale e personale.

D. Invece, nel mondo della scuola e della formazione in generale, quali sono stati i progetti più importanti seguiti da PER Lab?

R. PER Lab sta diffondendo nelle scuole italiane, soprattutto a Firenze e a Verona, il metodo RULER sviluppato a Yale, con la mission di “integrare l’Educazione Emozionale nel sistema scolastico italiano”. Abbiamo vinto diversi bandi, tra cui quello di Ente Cassa di Risparmio di Firenze per un progetto realizzato in partnership con ANGA Firenze (Associazione Nazionale Giovani Agricoltori) dove abbiamo portato “le scuole RULER” nella fattoria di Maiano.

Oltre a US Air Force ed ENAV (Società italiana per il Controllo del Traffico aereo) stiamo lavorando con organizzazioni pubbliche e private, di grandi dimensioni (un’azienda ferroviaria con più di 4.000 dipendenti, un’azienda di moda con più di 1.600 dipendenti), ma anche micro-imprese e singoli manager che desiderano iniziare un “allenamento individuale”. Nelle organizzazioni ci stiamo concentrando sulle valutazioni innovative dello stress lavoro-correlato (cfr. D.lgs 81/08 art. 28), integrate con il metodo PERWORK che propone azioni di miglioramento strutturate per prevenire e gestire le conseguenze negative da stress e promuovere benessere ed efficacia. All’estero abbiamo poi effettuato formazione in diversi paesi, tra i quali USA,  Svizzera, Arabia Saudita, Russia e Germania. Molta formazione avviene anche attraverso il canale telematico, in particolare per un noto motore di ricerca, leader nel settore, che sta formando migliaia di manager in tutto il mondo sul concetto di intelligenza emotiva.

D. Lo spin-off come alternativa alle incertezze di una carriera nella ricerca universitaria o di una libera professione che parte da zero: è così che possiamo leggerlo? Cosa consiglia al giovane che, da poco laureatosi, si accinge a definire la propria professionalità?

R. Non posso dire di aver voluto fare la ricercatrice da sempre, né tanto meno l’imprenditrice, avevo già un ottimo lavoro a tempo indeterminato, vicino a casa, con prospettive di carriera molto interessanti. Questa scelta professionale è diventata un’esigenza, per poter realizzare un progetto in cui credevo fermamente. Desideravo portare nel mio paese le metodologie che avevo visto negli USA per un motivo essenziale: perché funzionano. L’avevo riscontrato nelle scuole americane, nelle organizzazioni, ma soprattutto su me stessa. All’inizio avevo il terrore di perdere la mia autonomia economica e non ero convinta nemmeno io fino in fondo che le scuole pubbliche italiane avrebbero reso sostenibili questi interventi, ma per me era la cosa giusta da fare, partire dalle scuole perché è qui che, secondo la ricerca, possiamo avere i risultati più significativi, con tempi minori e agendo su numeri più ampi.

Il mio consiglio per un giovane che si accinge a percorrere una strada come questa è quindi quello di farlo solo se intrinsecamente convinto del progetto che intende realizzare, perché è una strada in salita, che richiede una motivazione straordinaria. Gli direi di provare ad applicare l’intelligenza emotiva per orientare le sue decisioni: integrare l’informazione del dato analitico (per es., il business plan è solido?) con l’informazione che proviene dalla saggezza delle proprie emozioni (ispirazione, entusiasmo, paura, ecc.) e del proprio corpo. Personalmente all’idea di andare a Yale e dedicarmi a questo progetto sentivo le “farfalle nello stomaco dalla gioia”, ma all’inizio i dati dicevano che il progetto non era molto sostenibile, c’è voluto molto impegno perché entrambe queste fonti di informazione fossero in armonia.

Un progetto spin-off a mio avviso non dovrebbe essere proposto per avere una gratifica economica, un posto di lavoro o una borsa di studio; tutto ciò dovrebbe essere la naturale conseguenza della realizzazione di un’idea che si ritiene importante e possa funzionare, mossa da altri valori, ad esempio migliorare l’ambiente o la qualità della vita delle persone.