L'intervista
Intervista a Irene Bressan
Intervista a Irene Bressan
Assieme alla Dott.ssa Bressan, facciamo il punto sulla dimensione professionale del terapista occupazionale.
D. Che tipo di attività sono previste nell’ambito della terapia occupazionale? Con che tipologie di pazienti viene utilizzata?
R. Il terapista occupazionale lavora con un tipo d’utenza molto vasta: dall’anziano con una patologia neurodegenerativa cronica al bambino con disturbi specifici di apprendimento, dalla persona che soffre di schizofrenia, alla persona con tetraplegia. Inoltre, lavora anche nell’ambito dell’inserimento lavorativo mirato, della prevenzione e promozione della salute, nell’abbattimento delle barriere architettoniche, nella progettazione di ausili e ortesi ecc.
In tutti questi ambiti così diversi tra loro, la terapia occupazionale ha trovato e valorizzato un denominatore comune che ne definisce la propria identità professionale: essere coinvolti in un’occupazione costituisce l’essenza della vita, conferendole significato. Obiettivo della terapia occupazionale è quindi la promozione della partecipazione in attività significative della vita quotidiana. Attraverso il miglioramento delle performance occupazionali la persona promuove la propria capacità di svolgere, nel miglior modo possibile, i propri ruoli occupazionali facendo fronte ai compiti ad essi collegati in aree specifiche come attività ludiche e ricreative, attività di vita quotidiana oppure lavoro. Autonomia e qualità di vita possono essere inoltre facilitate nel progetto di terapia occupazionale attraverso l’introduzione di ausili, adattamenti degli ambienti o elaborazione di strategie alternative per l’adeguamento delle attività alle capacità della persona.
D. Come si diventa terapista occupazionale? Quanti sono ad oggi i terapisti in Italia?
R. Nel decreto del 17 gennaio 1997 n. 136 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, viene descritto il profilo professionale del terapista occupazionale in Italia. Da questo momento in poi si dichiara ufficialmente l’autonomia della professione e il via libera per la formazione di professionisti sanitari della riabilitazione in terapia occupazionale nelle università italiane. Il percorso formativo per l’abilitazione alla professione prevede l’acquisizione dei 180 crediti previsti nel corso di laurea di primo livello in terapia occupazionale. Ad oggi si contano più di 2.000 terapisti occupazionali distribuiti tra le diverse regioni d’Italia.
D. Quali sono gli strumenti d’elezione della terapia occupazionale?
R. Attraverso un approccio olistico, centrato sulla persona e orientata alle risorse, la terapia occupazionale fa leva su attività terapeutiche individualizzate e ludico-ricreative, adattamento dell’ambiente, costruzione di ausili, consulenze specifiche per promuovere la capacità di partecipazione in attività di vita quotidiana della persona, la quale a causa di una patologia, di un incidente, oppure dell’invecchiamento, sperimenta un ostacolo alla propria autonomia e qualità di vita.
D. Il terapista occupazionale è coinvolto anche nella fase di valutazione e inquadramento diagnostico, oppure tale professionalità viene direttamente coinvolta solo nel momento dell’intervento abilitativo e/o riabilitativo?
R. Il profilo professionale prevede che il terapista occupazionale, in riferimento alla diagnosi ed alla prescrizione di un medico, si inserisca nell’ambito delle proprie competenze in una collaborazione con le altre figure socio-sanitarie del team interdisciplinare. Il processo di presa in carico prevede una valutazione e l’elaborazione di un bilancio specifico-professionale, necessario per definire gli obiettivi abilitativi o riabilitativi di terapia occupazionale. La fase valutativa è essenziale per sostenere il ragionamento clinico del terapista. In coerenza con i dati rilevati si sceglierà quali approcci, strumenti oppure metodi applicare per promuovere l'uso ottimale di funzioni finalizzate al reinserimento, all'adattamento e all’integrazione della persona nel proprio ambiente personale, domestico e sociale per migliorarne la propria capacità di partecipazione in attività significative di vita quotidiana.
D. Quali sono gli elementi di base della Teoria ASI® (Ayres Sensory Integration) e come si integrano nel lavoro del terapista occupazionale?
R. La teoria di Integrazione Sensoriale secondo Ayres nasce dallo studio dei processi neurofisiologici che sottostanno alle capacità di apprendimento e del comportamento della persona. Tale teoria esalta l’importanza fondamentale dell'integrazione di input provenienti dal sistema tattile, vestibolare e propriocettivo per promuovere la formazione dello schema corporeo, delle idee sulle richieste degli oggetti e delle mappature spaziali centrate sul corpo nell’ambiente. Queste funzioni elementari dovrebbero diventare automatizzate, fungendo da piattaforma base per una successiva stratificazione di funzioni più complesse, come la capacità di stare seduto e attento in classe per ricopiare un testo scritto alla lavagna, oppure di scendere in autonomia dal seggiolino della macchina, ma anche di non essere infastidito da un tocco accidentale. La preoccupazione principale di Ayres, in quanto terapista occupazionale, era la relazione che intercorre tra questi processi neuronali e il funzionamento nel mondo reale del bambino. Questa preoccupazione per l'occupazione ha fortemente influenzato l'evoluzione delle idee di Ayres nel modo di valutare e di intervenire. La terapia occupazionale basata sull'integrazione sensoriale è diventata uno strumento per aiutare i bambini a essere coinvolti nelle occupazioni e, così facendo, a partecipare il più possibile ad attività significative di vita quotidiana. Gli elementi base in Ayres Sensory Integration esaltano quindi l’importanza del gioco all’interno di un’esperienza sensoriale arricchita. La cornice è quella di un approccio terapeutico individualizzato guidato dal bambino, basato sulla relazione e che intenda promuovere la capacità di azione della persona attraverso lo sviluppo di risposte adattative comportamentali sempre più complesse. Tale intervento è chiamato ad aderire agli standard scientifici della pratica clinica basata sulle prove di efficacia.
D. Esistono altri approcci teorici di riferimento nello svolgimento di questa professione?
R. Nel corso degli anni la terapia occupazionale ha sviluppato una grandissima varietà di strumenti terapeutici che si basano sui principi della medicina e delle scienze sociali. Gli approcci teorici utilizzati dal terapista occupazionali sono vari e mirano a rispecchiare pratiche basate sulle prove di efficacia del sapere scientifico. La scelta della cornice teorica, del quadro pratico concettuale e degli strumenti di valutazioni specifici del terapista occupazionale, dipendono dall’obiettivo formulato e dal tipo di contesto in cui si inserisce il progetto abilitativo/riabilitativo.
D. Quali sono gli elementi clinici che il terapista occupazionale tiene in considerazione nella progettazione dell’intervento?
R. La visione olistica proposta dal pensiero della terapia occupazionale descrive l’importanza di vedere la persona nel suo insieme, nella sua complessità e nell’armonia del rapporto con l’ambiente. Questa interazione si declina nei diversi ruoli occupazionali della persona che richiedono definite attività. Infatti, grazie a strumenti di analisi, rappresentate dai modelli teorici, il terapista occupazionale è in grado di analizzare i diversi sistemi che caratterizzano la persona e il suo ambiente: l’interazione tra persona e ambiente diventa così la chiave di lettura per la comprensione delle espressioni e dei comportamenti umani. Gli elementi fondamentali valutati dal terapista occupazionale per avviare la costruzione del progetto di intervento individualizzato, sono quindi la valutazione delle capacità della persona (sensori-motorie, cognitive…), delle caratteristiche dei suoi ambienti (fisici, culturali, sociali...) e delle attività (cura del sé, lavoro...).
D. Quali sono i contesti in cui si può condurre un intervento di terapia occupazionale? È possibile coinvolgere anche la famiglia o la scuola?
R. Lo sviluppo del bambino dipende dall’interazione tra patrimonio genetico ed ambiente. La centrale importanza di questo processo sta nell’esperienza e nelle relazioni. Il significato dell’ambiente, come possibilità che permette o impedisce lo sviluppo delle potenzialità del bambino, è un argomento particolarmente osservato dalla terapia occupazionale ed è stato un motivo di forte interesse di Ayres. Il contesto clinico dell’approccio di integrazione sensoriale infatti, prevede l’uso di un equipaggiamento terapeutico specifico, atto a provvedere al bambino esperienze sensoriali arricchite all’interno di un ambiente di gioco.
Tuttavia, l’ambiente clinico però non rappresenta la quotidianità del bambino. Osservare l’ambiente ecologico che circonda la persona vuol dire capire il suo comportamento e la sua motivazione all’occupazione. Da qui la spinta del terapista occupazionale che lavora in età evolutiva a proiettarsi oltre una visione meccanico-riduzionista del bambino, per affermare l’importanza del coinvolgimento nel progetto abilitativo della famiglia e della scuola. L’ambiente famiglia e l’ambiente scuola vengono intesi nella loro duplice componente di persone significative che ruotano intorno al bambino e di contesto fisico nel quale il bambino si muove per crescere. Questi due ambienti rappresentano le componenti chiave nella definizione degli obiettivi e durante la programmazione dell’intervento di terapia occupazionale. Attraverso il coinvolgimento delle diverse persone significative nel progetto abilitativo e alle modificazione dell’ambiente, si intende quindi promuovere con tutti gli strumenti a disposizione, il miglioramento delle capacità di partecipazione del bambino nelle attività di vita quotidiana per promuoverne il proprio processo di auto-attuazione.